1938 – 2009 Dalle Leggi Razziali
alla crisi di Gaza

Italia

Intervista a Marie Anne Matard Bonucci.

«Voi siete molto più forti di Hitler. Quando non vi sarà alcuna traccia di Hitler, gli ebrei saranno sempre un grande popolo». Era il novembre 1934 e il duce, a Palazzo Venezia, si rivolgeva con queste celebri e poco consolanti parole a un Nahum Goldmann, capo del movimento sionista, visibilmente preoccupato. In quel momento le relazioni tra la Germania e Mussolini erano pessime. Ma presto sarebbero migliorate. E presto, com’è noto, sarebbero scattate le Leggi Razziali del luglio 1938.


Ma attenzione: Mussolini non le promulgò per mimesi o perché fosse particolarmente influenzato dalla politica razziale tedesca. No, la ragione fu un’altra: rivitalizzare il consenso intorno al regime, compattare di nuovo la nazione e raggiungere quei vertici di consenso e di mobilitazione entusiastica delle masse ottenute prima della guerra d’Etiopia.

Persecuzione degli ebrei e antisemitismo, dunque, come necessità politica, un modo per rinforzare il legame tra il duce e la nazione, e per superare il momento di stasi che il regime stava attraversando dopo la fine dell’avventura africana. Come dire che il momento antisemita italiano fu strumentale e servì a rilanciare la macchina totalitaria. Una risposta alla necessità di un regime che era in deficit di consenso, che aveva bisogno di rivitalizzarlo con una iniezione di vitamine, con una mobilitazione aggressiva.

Così fu inventato l’uomo nuovo fascista e la sua antitesi, l’ebreo. Insomma, il fascismo, nato non antisemita, lo diventò a un certo punto per necessità politica.


Questa, in estrema sintesi, è la tesi di fondo del saggio L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei (Il Mulino, 29 Euro, 514 pp), scritto dalla storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci e uscito in Italia pochi mesi fa.
Un saggio importante, scritto con forza espositiva e chiarezza notevoli, che ha inoltre il pregio di fare (o rifare) il punto su una delle pagine criminali della storia italiana del XX° secolo. E che si inserisce nel dibattito storiografico attuale, in particolar modo riguardo alla domanda: il fascismo fu strutturalmente antisemita fin dalle origini oppure lo divenne a posteriori e solo per opportunità politica?


Nel grande filone della storiografia dell’Olocausto, Marie-Anne Matard-Bonucci fa parte di una nuova generazione di studiosi che si concentra sul tema della responsabilità collettiva della società nazionale, sulle colpe della Chiesa e della monarchia dei Savoia.
Docente di Storia contemporanea all’Università di Grenoble II, fa parte del Centre d’Histoire de Sciences-Politiques a Parigi e ha pubblicato numerosi saggi dedicati alla storia della mafia italiana, all’Europa fascista (L’homme nouveau dans l’Europe fasciste), e all’antisemitismo (Antisemythes: l’image des juifs entre culture et politique).


Abbiamo intervistato Marie-Anne Matard-Bonucci di passaggio in Italia, in occasione di un convegno.


Cominciamo con l’oggi. In questi giorni in Italia si celebra la Giornata della Memoria e c’è chi sostiene che l’eccesso di ritualizzazione della Shoah rischi di museificarla in una memoria-dovere che la svuota del suo significato…
Personalmente ritengo che ci sia ancora molto da fare in materia di informazione, c’è ancora tutta una pedagogia del ricordo e della memoria da sviluppare. In Francia non c’è un’analoga Giornata della Memoria e ritengo che in questo l’Italia sia più avanti. Quello che conta ovviamente non è solo commemorare ma riflettere, ovvero “moins de memoire et plus de savoir”, meno memoria e più conoscenza: ho notato spesso che la gente pensa di sapere ma poi, se scavi, capisci che ne sa pochissimo. Le generazioni più giovani, in particolare, hanno spesso la retorica della Shoah ma non la conoscenza dei fatti storici.


Con la crisi di Gaza, l’antisemitismo ha ripreso forza in tutta Europa, abbiamo visto bandiere bruciate e sinagoghe oltraggiate, negozi di ebrei fatti oggetto di boicottaggio o vandalismo, stelle di David sovrapposte alla svastica. Alcuni scrittori e intellettuali ebrei hanno esplicitato una grande preoccupazione e c’è chi, come l’americana Cynthia Ozick, ha parlato di una nuova Kristallnacht, la Notte dei Cristalli… Come storico, lei vede delle similitudini con quei fatti?


Sì, la crisi di Gaza sta scatenando una nuova ondata di antisemitismo, più esasperata; assistiamo a numerose manifestazioni antiebraiche in Francia in nome dell’antisionismo. Questo conflitto sta portando a cristallizzazioni identitarie molto violente.


Ma è allora possibile gettare ponti tra l’oggi e la storia passata?


Sì, è possibile. Ad esempio riappare oggi il ricorso a stereotipi precisi, l’emergere delle stesse strutture di pensiero, il riciclaggio di vecchi miti: non dimentichiamoci che esiste una dimensione del mito nell’ideologia antisemita. Il complotto ebraico, la solidarietà nascosta tra ebrei a discapito degli altri, l’immagine di un giudaismo distruttore e dominatore, il presunto potere economico e finaziario degli ebrei. E poi, da non dimenticare, c’è un altro elemento: la strumentalizzazione politica della guerra a Gaza in funzione di una protesta sociale, di un disagio delle periferie principalmente maghrebine e arabe che trova in Israele e negli ebrei il nemico più comodo, il bersaglio facile.


Veniamo ora al suo ultimo libro, uscito qualche mese fa in Italia, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei (Il Mulino). Un altro libro che mette in ginocchio il luogo comune italiani brava gente. Lei parte da una domanda fondamentale: perché una popolazione che non era particolarmente ostile agli ebrei fu testimone silenziosa e spesso complice delle persecuzioni? Perché una collettività così ben integrata come quella ebraica e mai fatta oggetto di manifestazioni di odio da parte della popolazione -come invece accadde in Francia e Germania-, fu discriminata e messa al bando in un tempo brevissimo e nell’acquiescenza quasi generale?

Ricordiamoci che l’antisemitismo non era assente in Italia, esisteva nella forma dell’antigiudaismo cattolico. Certo non era l’antisemitismo politico, non c’erano partiti o leghe ferocemente antiebraiche, come altrove in Europa. Ciononostante, tutto accadde in pochi mesi, a partire dal luglio 1938: in 150 giorni l’Italia si ritrovò antisemita.


Quindi, la domanda giusta, semmai, è perché proprio in quel momento e con quella rapidità si adottarono le Leggi Razziali?


La mia lettura è che in quel momento il fascismo stava attraversando un momento di stagnazione, di stasi. Non c’era più mobilitazione generale come era accaduto con la guerra di Etiopia e, meno clamorosamente per la Spagna. Ricordiamoci che il fascismo ha sempre costruito il consenso sull’enfasi e sul movimento. Bisognava creare quindi una nuova mobilitazione e per far questo era utile disegnare una nuova figura di nemico. L’antisemitismo fu un bisogno congiunturale di Mussolini: gli servì per compattare un’altra volta la nazione. Dal punto di vista della scommessa, le Leggi Razziali sono state un incredibile successo. Riuscirono a trasformare in protagonisti della persecuzione antisemita delle persone che prima non avevano coltivato particolarmente l’odio degli ebrei.

Ottennero quindi di instillare in pochi mesi un sentimento antisemita in un popolo che non lo aveva mai coltivato?


Praticamente sì.


Quindi Mussolini antisemita o antisemitismo come mera opportunità politica?


Le Leggi Razziali furono una decisione unilaterale di Mussolini, ma tale decisione fu certamente appoggiata dai gerarchi fascisti che ne amplificarono la sua portata. Mussolini condivideva certi stereotipi ereditati da una tradizione di antisemitismo sociale – il mito dell’ebreo legato al denaro- e nazionalista. Inoltre il duce, com’è noto, era affascinato dalla Germania nazista, dai tempi così rapidi con cui Hitler aveva attuato i cambiamenti della società. Era tornato molto impressionato dal viaggio in Germania nel settembre 1937, più che altro dalla disciplina delle masse. Le Leggi Razziali furono una sua decisione autonoma ma certo con gli occhi puntati sulla Germania. In questo senso vedo pochi nessi tra il razzismo coloniale fascista dispiegato durante l’avventura dell’Africa Orientale Italiana (altra pagina nera della storia del fascismo) e l’antisemitismo: i percorsi del razzismo antiafricano e quelli dell’odio per gli ebrei rimasero abbastanza separati malgrado il discorso ufficiale che insisteva sulla continuità tra politica coloniale e leggi razziali.
Contro i neri si sviluppa una teoria dell’inferiorità dell’altro. Nell’antisemitismo c’è una spinta diversa, la paura dell’altro, visto come uguale, anzi, quasi superiore. I due razzismi si avvicinano solo perché vogliono trasformare il carattere degli italiani, compiere una rivoluzione antropologica e fabbricare l’italiano nuovo, capace di odiare il nemico, unito nella lotta al pietismo verso gli ebrei (chi veniva considerato un pietista e dimostrava solidarietà o pena verso gli ebrei, veniva buttato fuori dal Partito).


Quindi il fascismo non fu davvero antisemita?


Sì, certamente lo fu, anche se nella dottrina l’antisemitismo non fu presente all’inizio. Lo diventò per effetto della logica totalitaria del regime, per necessità politica. Per costruire l’uomo nuovo fascista, ambizione presente sin dall’inizio, la figura del nemico era assolutamente necessaria. Nel 1938, l’ebreo era diventato in Italia come in Europa il nemico più probabile.
L’ideologia antiebraica non era più “soltanto” un principio di esclusione. Con i movimenti e regimi totalitari, prima in Germania, ma anche in Italia, l’antisemitismo divenne un principio in sé, il motore di una forma di escatologia politica. Questo legame intimo con un progetto politico ne amplificò notevolmente la capacità destruttiva.