di Anna Balestrieri
Attenzione: prima di procedere con la lettura del seguente articolo, è importante avvertire il lettore della natura estremamente impressionante e sconvolgente del suo contenuto, che potrebbe urtare la sensibilità di alcuni lettori.
Un nuovo rapporto redatto dal Dinah Project documenta in modo dettagliato e scioccante l’uso della violenza sessuale da parte di Hamas durante l’attacco del 7 ottobre 2023. Il testo parla esplicitamente di “stupri sistematici, mutilazioni genitali e sevizie sessuali”, compiuti con brutalità sadica e premeditata in diversi punti del sud di Israele, contro donne e uomini, vivi e morti.
“Violenza sessuale come tattica militare”: i contenuti del rapporto
Il rapporto, che è stato pubblicato martedì 8 luglio ed è disponibile online, è stato redatto sotto la guida della professoressa Ruth Halperin-Kaddari, direttrice del Centro Rackman per l’Avanzamento della Condizione della Donna presso l’Università Bar-Ilan, con la collaborazione di Sharon Zagagi-Pinhas, ex procuratrice militare capo, e della giudice emerita Nava Ben-Or. “Combattere la negazione, la disinformazione e il silenzio globale” è, secondo le autrici, l’obiettivo centrale del lavoro. Il documento intende portare all’attenzione internazionale “una delle angolazioni meno documentate dell’attacco di Hamas”.
Secondo Zagagi-Pinhas, “Quello che abbiamo scoperto mostra chiaramente che si sono verificati stupri e stupri di gruppo in numerosi luoghi. Il fatto che ciò sia accaduto ripetutamente secondo schemi specifici indica una pianificazione premeditata, non un’eccezione.”
Il testo raccoglie testimonianze di 15 ostaggi rientrati in Israele, di sopravvissuti al Nova Music Festival, di soccorritori e terapisti. Le violenze sono state documentate a Re’im, Kfar Aza, Nir Oz, Nahal Oz, lungo la Route 232 e al festival rave Nova. Finanziato parzialmente dal governo britannico, il Dinah Project è stato oggetto dell’attenzione dei quotidiani The Sun e The Daily Mail.
Scene raccapriccianti: torture, mutilazioni e necrofilia
I corpi delle vittime sono stati spesso rinvenuti “nudi o parzialmente denudati, legati ad alberi o pali, con evidenti segni di stupro e mutilazione genitale”.
Secondo il rapporto, alcuni terroristi avrebbero continuato a stuprare cadaveri, mentre in altri casi “hanno inserito coltelli, granate e chiodi nei genitali delle vittime, spezzato ossa pelviche con la violenza delle aggressioni, e mutilato i corpi con armi da taglio.”
Un testimone ha raccontato che una donna ferita è stata ripetutamente accoltellata durante lo stupro, mentre altri hanno parlato di ragazze senza vita con il corpo devastato dalle violenze, i pubi fracassati dalla ferocia degli assaltatori.
La delusione verso le istituzioni internazionali
Le autrici del rapporto esprimono una profonda frustrazione per il silenzio e la reticenza delle organizzazioni internazionali, in particolare UN Women, accusata di non aver applicato il principio di base: credere alle vittime. “Ci sentiamo tradite da altre donne nel mondo,” ha dichiarato Halperin-Kaddari. “Quando lo standard è credere ai testimoni e ai sopravvissuti – non c’è alcuna giustificazione per il silenzio.”
Il documento invita il Segretario Generale dell’ONU António Guterres a inviare una missione investigativa in Israele e a includere Hamas nella lista nera delle organizzazioni che usano la violenza sessuale come arma di guerra. Una campagna mediatica aveva visto la nascita dell’hashtag metoounlessyoureajew, un’allusione sarcastica al movimento di revanche sessuale contro i predatori nel mondo hollywoodiana che segnò un empowerment femminile ed un’ondata di solidarietà intra-gruppo tra le vittime di abusi. Una solidarietà che, purtroppo, alle donne ebree del 7 ottobre è stata sistematicamente negata. Dalle istituzioni internazionali, dai gruppi femministi, da chi ha voluto o da chi continua a mettere in dubbio la veridicità delle loro testimonianze e della loro atroce sofferenza.
L’appoggio del rapporto ONU e la proposta di un nuovo quadro giuridico
Le conclusioni del Dinah Project si allineano con quelle contenute nel rapporto dell’inviata speciale ONU sulla violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten, che ha visitato Israele nel marzo 2024. La missione ha analizzato oltre 5.000 immagini e 50 ore di filmati, visitato i luoghi degli attacchi e intervistato 34 persone tra sopravvissuti, testimoni e ostaggi liberati. “Quello che ho visto in Israele sono state scene di violenza indicibile perpetrata con una brutalità sconvolgente,” ha dichiarato Patten. “Un catalogo delle forme più estreme e disumane di uccisione, tortura e violenza sessuale.”
Il team ONU ha trovato “informazioni convincenti“ anche su abusi sessuali subiti dagli ostaggi in prigionia, e ritiene plausibile che tali violenze siano continuate almeno fino a marzo 2024.
Responsabilità collettiva e giustizia internazionale
La giudice Nava Ben-Or ha sottolineato che il documento punta anche a introdurre un nuovo paradigma giuridico, capace di riconoscere e processare crimini sessuali di massa anche in assenza di un singolo colpevole identificabile: “In caso di violenza sessuale durante una guerra, non è necessario identificare l’aggressore specifico per dimostrare la responsabilità. Chi ha preso parte all’attacco – è responsabile delle sue conseguenze.”
Un attacco, 1.200 morti, 378 solo al festival Nova
Secondo le Forze di Difesa Israeliane, Hamas ha ucciso 1.200 persone nell’attacco del 7 ottobre, di cui 378 solo al festival Nova. Il rapporto denuncia che le violenze sessuali sono state non solo frequenti, ma condotte “con l’intento deliberato di umiliare, terrorizzare e devastare”.
A oggi, rimangono interrogativi aperti sul perché la comunità internazionale abbia tardato tanto a riconoscere queste testimonianze. Le autrici del Dinah Project chiedono ora che il mondo “ascolti, creda e agisca”. “Questo non è il momento del dubbio ideologico, ma della giustizia e della memoria,” concludono.
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