Nethanyahu: “Solo una pace pragmatica farà del sogno una realtà”

Israele

Nel memorabile discorso al Congresso americano del 24 maggio, Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele è pronto a “dolorosi compromessi” pur di arrivare alla pace, ma non ad accettare che questa si basi sui confini precedenti la guerra del 1967, come chiesto dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Per parte sua nel corso del meeting della Lega Araba di Doha dei giorni scorsi, Mahmoud Abbas ha ribadito le sue posizioni: chiederà all’ONU, a nome dell’Anp, il riconoscimento dello Stato palestinese, senza ulteriori negoziati con Israele, per i quali ha dichiarato “non c’è alcuna speranza”. Alla Lega Araba ha chiesto poi di svolgere il ruolo di “rete di sicurezza” qualora la dichiarazione di Indipendenza, come teme, produrrà sanzioni di tipo economico nei confronti dei palestinesi.
I leader del G8 riuniti a Deuville, nel frattempo, sono pervenuti ad una dichiarazione congiunta nella quale affermano che l’unica via per la pace è quella delle trattative. Esso infatti, si legge nel testo, “sono l’unico modo per arrivare ad una risoluzione del conflitto che sia complessiva e durevole. Le aspirazioni della popolazione della regione devono essere prese in considerazione, compresa quella dei palestinesi per uno Stato sovrano e quelle degli israeliani per un’integrazione regionale e della sicurezza. Il tempo per riprendere il processo di pace è adesso”.

Tre diverse posizioni dunque, che paiono, allo stato dei fatti attuali, pressocché inconciliabili, salvo l’arretramento dalle proprie posizioni, di una o l’altra delle parti in causa.
Di fronte a questa empasse diplomatica, riproponiamo il testo completo, in traduzione italiana (a cura di Ilaria Myr in esclusiva per Mosaico), del memorabile discorso di Bibi Netanyahu al Congresso americano. In esso il premier israeliano esprime chiaramente le concessioni e i punti fermi di Israele per lo stabilimento di un accordo di pace con i palestinesi.

“Vice presidente Biden, portavoce Boehner, distinti senatori, membri della Casa Bianca, ospiti onorati, sono profondamente commosso da questo caloroso benvenuto, e sono profondamente onorato dal fatto che mi avete dato la possibilità di rivolgermi al Congresso una seconda volta. Vedo qui molti vecchi amici, e vedo anche molti nuovi amici di Israele, democratici e repubblicani allo stesso modo. Israele non ha un amico migliore dell’America, e l’America non ha un amico migliore di Israele. Siamo insieme per difendere la democrazia. Siamo insieme per difendere la pace. Siamo insieme per combattere il terrorismo. Congratulazioni, America. Congratulazioni, signor Presidente: avete preso Bin Laden. Una grande liberazione!

In un Medio Oriente instabile, Israele è l’àncora della stabilità. In una regione di alleanze mutevoli, Israele è il fermo alleato dell’America. Israele è sempre stato filoamericano. Israele sarà sempre filo-americano.

Amici, non dovete fare una nazione, non dovete costruire Israele. Siamo già costruiti. Non dovete esportare la democrazia in Israele. Ce l’abbiamo già. E non dovete mandare truppe americane in Israele. Ci difendiamo da soli.

Siete stati molto generosi a darci gli strumenti per permetterci di poter difendere Israele noi da soli. Grazie a tutti voi, e grazie a Lei, Presidente Obama, per il Suo forte impegno per la sicurezza di Israele. So che il momento economico è difficile. E apprezzo molto questo sforzo.

Alcuni di voi mi hanno detto che la propria convinzione si è riaffermata negli ultimi mesi in cui il supporto alla sicurezza di Israele è stata un saggio investimento per il nostro futuro comune, per una battaglia epica che è oggi in corso in Medio Oriente fra tirannia e libertà. Una grande convulsione sta scuotendo la terra dal Passo di Khyber allo stretto di Gibilterra.

I moti hanno mandato in pezzi gli Stati. Hanno rovesciato governi. E possiamo tutti vedere come il terreno sia ancora in movimento.

Ora, il momento storico contiene la promessa di una nuova alba di libertà e opportunità. Ci sono milioni di giovani lì fuori che sono determinati a cambiare il futuro. Noi tutti guardiamo a loro. Loro raccolgono coraggio. Rischiano la loro vita. Chiedono dignità. Desiderano libertà. Le scene straordinarie di Tunisi, del Cairo, evocano quelle di Berlino e Praga nel 1989. Come allora, condividiamo le loro speranze.

Sapete, considero un simbolo di onore, e così dovreste fare voi, che nelle nostre società libere oggi si possa protestare. Non si potrebbero avere queste proteste nei ridicoli parlamenti di Teheran o Tripoli. Questa è vera democrazia.

Condividiamo le speranze di questi giovani in giro per il Medio Oriente. Dobbiamo anche ricordarci che quelle speranze possono essere smorzate, come furono in Teheran nel 1979. Vi ricordate cosa successe allora. La breve primavera democratica di Teheran fu soffocata da una feroce e inclemente tirannia. Ed è la stessa tirannia che ha soffocato la democratica Rivolta dei Cedri in Libano e inflitto a quel Paese il governo medievale di Hezbollah.

Quindi oggi il Medio Oriente si trova davanti a un crocevia fatidico. E come tutti voi, io prego che i popoli della regione scelgano il sentiero meno battuto, quello della libertà.

Nessuno meglio di voi sa in che cosa consiste questo sentiero. Nessuno. Questo sentiero di libertà non è segnato solo dalle elezioni. La strada è segnata quando i governi permettono le proteste nelle piazze delle città, quando ai poteri dei governanti vengono posti dei limiti, quando i giudici sono fedeli alle leggi e non agli uomini, e quando il rispetto dei  diritti umani non  può essere sostituito da fedeltà tribali o governi di piazza.

Israele ha sempre abbracciato questa scelta in un Medio Oriente che l’ha sempre scartata. In una regione dove le donne sono lapidate, gli omosessuali sono impiccati, i cristiani sono perseguitati, Israele si distingue. È una realtà diversa. E questo è stato notato.

George Eliot era un grande scrittore Inglese del 19° secolo. Era una donna e il suo nome era uno pseudonimo. George Eliot aveva già previsto un secolo fa, come sarebbe stato, una volta creato, lo Stato Ebraico. Ecco cosa disse: “Lo Stato Ebraico brillerà come una stella di libertà in mezzo ai despoti dell’Est.” Aveva ragione.

Abbiamo la libertà di stampa, tribunali indipendenti, una economia di mercato, dibattiti parlamentari burrascosi; adesso, non ridete, vedete? Pensate di essere duri nei confronti dei vostri colleghi al congresso? Venite a passare una giornata alla Knesset. Sarete i miei ospiti.

I coraggiosi arabi che protestano stanno ora lottando per garantire questi diritti ai loro popoli, alle loro società. Siamo orgogliosi che in Israele più di 1 milione di cittadini arabi israeliani possano godere di questi diritti da decenni. Tra i 300 milioni di arabi che popolano il Medio Oriente e il Nord Africa, solo i cittadini arabi di Israele hanno realmente diritti democratici.

Adesso vi invito a fermarvi un secondo e rifletterci sopra. Di questi 300 milioni di arabi, meno della meta dell’1 per cento sono davvero liberi, e sono tutti cittadini israeliani.

Questo assunto di partenza rivela una verità basilare: Israele non rappresenta il lato oscuro del Medio Oriente bensì ne rappresenta il bene.

Israele sostiene pienamente l’aspirazione dei popoli arabi della regione a vivere liberamente. Sogniamo ardentemente il momento in cui Israele sarà solo una delle tante vere democrazie del Medio Oriente.

Quindici anni fa, stavo in questo stesso posto. Stavo qui e dissi che la democrazia deve iniziare a prendere piede nel mondo arabo. Bene, il processo è cominciato, e segna l’inizio di un futuro brillante di pace e prosperità, perché credo fortemente che un Medio Oriente democratico sarà anche un Medio Oriente veramente in pace.

Tuttavia, mentre nutriamo speranze e lavoriamo per un futuro migliore, dobbiamo anche riconoscere che forze potenti ostacolano questa prospettiva. Ostacolano la modernità, ostacolano la democrazia, ostacolano la pace.

La principale di queste forze è rappresentata dall’Iran. La dittatura di Teheran brutalizza il proprio popolo, fomenta gli attacchi contro le truppe americane in Afghanistan, sottomette il Libano e Gaza, sponsorizza il terrorismo nel mondo.

Quando fui qui l’ultima volta, parlai delle conseguenze dello sviluppo delle armi nucleari da parte dell’Iran. Ora il tempo sta scadendo. Il cardine della storia potrebbe presto girare, e il pericolo più grande per tutti potrebbe essere presto sopra di noi: un regime islamico militante armato di armi nucleari.

L’Islam militante minaccia il mondo. E minaccia lo stesso Islam.

Ora, io non ho dubbi – sono assolutamente convinto – che alla fine sarà sconfitto. Credo che alla fine esso soccomberà davanti alle forze di libertà e progresso. Esso nasce dall’isolamento in cui per anni sono stati tenuti i giovani; ma l’accesso alle informazioni alla fine sconfiggerà questo movimento. Come tutte le forme di fanatismo anche l’Islam militante è condannato al fallimento  ma potrebbe esigere da tutti noi un prezzo terribile prima della sua definitiva sconfitta.

Un Iran dotato di armi nucleari potrebbe accendere la corsa al nucleare in Medio Oriente. Darebbe ai terroristi un “ombrello” nucleare. Potrebbe rendere l’incubo di un terrorismo nucleare un chiaro e presente pericolo in tutto il mondo.

Vedete, voglio che capiate cosa ciò significa, perché se non lo fermiamo, questo sarà. Potrebbero mettere una bomba in qualsiasi luogo. Potrebbero metterla in un missile: stanno lavorando su dei missili che potrebbero raggiungere questa città. Potrebbero metterla in una nave dentro a un container e raggiungere così qualsiasi porto. Potrebbero anche metterla in una valigia in metropolitana.

Ora, la minaccia al mio Paese è più che concreta. Quelli che la rifiutano nascondono la testa nella sabbia. Meno di 70 anni fa 6 milioni di ebrei furono assassinati, i leader dell’Iran negano l’Olocausto del popolo ebraico mentre chiedono l’annientamento dello Stato ebraico. I leader che sputano tale veleno dovrebbero essere banditi da qualsiasi circolo rispettabile del pianeta. Ma c’è qualcosa che rende l’oltraggio ancora più grande. Sapete cos’è? È la mancanza di reazione all’oltraggio, perché da molti della comunità internazionale, gli appelli alla nostra distruzione vengono accolti dal silenzio più totale. È perfino peggio, perché ci sono molti che corrono a condannare Israele per il fatto di difendersi dai terroristi ingaggiati dall’Iran.

Non voi. Non l’America.

Voi avete agito in modo diverso. Avete condannato il regime iraniano per i suoi scopi genocidi Avete fatto passare dure sanzioni contro l’Iran.

La storia vi renderà onore, America.

Il presidente Obama ha detto che gli Stati Uniti sono determinati a prevenire che l’Iran possa sviluppare armi nucleari. Il presidente ha portato con successo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad adottare sanzioni contro l’Iran. Voi nel Congresso avete approvato sanzioni persino più dure.

Ora, queste parole e azioni sono di vitale importanza: il regime degli ayatollah ha sospeso per breve tempo il suo programma nucleare una sola volta, nel 2003, quando ebbe paura di una possibile azione militare. Nello stesso anno, e per la stessa ragione, Muhammar Gheddafi abbandonò il suo programma nucleare. Più l’Iran crede che tutte le opzioni siano sul tavolo, meno c’è la possibilità di un confronto. E questa è la ragione per cui io vi chiedo di continuare a mandare l’inequivocabile messaggio che l’America non permetterà mai all’Iran di sviluppare armi nucleari.

Ora, tornando a Israele, se la storia ha insegnato qualcosa al popolo ebraico, è che dobbiamo considerare seriamente gli appelli alla nostra distruzione. Siamo una nazione nata dalle ceneri dell’Olocausto. Quando diciamo “mai più”, intendiamo mai più.

Israele si riserva sempre il diritto di difendersi.

Miei amici, mentre Israele sarà vigile nella sua difesa, non abbandoneremo mai la ricerca della pace.  Credo che non ce ne occuperemo più solo quando l’avremo raggiunta. Perché noi vogliamo la pace. Perché abbiamo bisogno di pace. Ora, abbiamo raggiunto accordi storici di pace con l’Egitto e la Giordania, e questi durano da decenni.

Mi ricordo come era prima che avessimo la pace. Io fui quasi ucciso in un conflitto a fuoco nel Canale di Suez: intendo dire proprio dentro il canale di Suez. Stavo andando a fondo nel canale con un peso di 80 libbre sulla schiena, quando qualcuno riuscì ad afferrarmi. Fui quasi ucciso lì. E mi ricordo che combattevamo contro i terroristi sulle due rive del Giordano.

Troppi israeliani hanno perso i propri cari, e conosco il loro dolore. Io ho perso mio fratello. Quindi nessuno in Israele vuole il ritorno di quei terribili giorni.

La pace con l’Egitto e la Giordania ha costituito un’àncora di stabilità e di pace nel cuore del Medio Oriente. E questa pace dovrebbe essere sostenuta da un supporto economico e politico da parte di tutti quelli che sono coinvolti nel processo di pace. Gli accordi di pace fra Israele ed Egitto e fra Israele e Giordania sono vitali, ma non sono abbastanza. Dobbiamo trovare un modo per forgiare una pace duratura con i Palestinesi.

Due anni fa, mi sono pubblicamente impegnato per una soluzione di due Stati per due popoli, uno Stato palestinese accanto a uno Stato ebraico. Sono disposto a fare dolorosi compromessi pur di raggiungere questa storica pace. In quanto leader di Israele, è mia responsabilità guidare il mio popolo alla pace. Ora, ciò non è semplice per me.

Non è facile, perché riconosco che in una pace genuina ci verrà richiesto di rinunciare a parte dell’antica patria degli ebrei. E dovete capire questo: in Giudea e Samaria, il popolo ebraico non è un occupante straniero. Non siamo inglesi in India. Non siamo belgi in Congo. Questa è la terra dei nostri antenati, la terra di Israele, nella quale Abramo portò l’idea di un Dio unico, dove Davide si preparò per affrontare Golia, e dove Isaia ebbe la sua visione di una pace eterna. Nessuna distorsione della storia – e quando ero bambino leggevo molte distorsioni della storia, vecchia e nuova – nessuna distorsione della storia potrebbe negare il legame che dura da 4000 anni fra il popolo ebraico e la terra ebraica.

MA c’è un’altra verità. I palestinesi condividono questa piccola terra con noi. Noi cerchiamo una pace in cui essi non saranno né soggetti ad Israele né cittadini israeliani. Essi dovrebbero godere di una vita nazionale dignitosa di popolo libero, produttivo e indipendente nel proprio Stato. Dovrebbero godere di un’economia prosperosa, dove possa fiorire la loro creatività e iniziativa.

Ora, abbiamo già visto i primi effetti e cosa è possibile [ottenere]. Negli ultimi due anni, i palestinesi hanno iniziato a costruire una vita migliore per loro stessi. A proposito, il primo ministro Fayyad è stato dalla loro parte e li ha guidati in questo sforzo ed io gli auguro una pronta guarigione dalla sua recente operazione. Dal canto nostro, abbiamo aiutato la crescita dell’economia palestinese togliendo centinaia di barriere e blocchi stradali per la libera circolazione di beni e persone, e i risultati sono stati certo notevoli.

L’economia palestinese sta esplodendo: sta crescendo di più del 10% all’anno. E le città palestinesi appaiono oggi molto diverse da quello che erano solo pochi anni fa. Ci sono centri commerciali, cinema, ristoranti, banche. C’è persino un business del digitale anche se questo non potete vederlo quando visitate le città.

Questo è quello che hanno [costruito]. È un grande cambiamento. E tutto ciò sta succedendo senza che vi sia la pace. Quindi, immaginate cosa accadrebbe con la pace.

La pace potrebbe annunciare l’arrivo di un nuovo giorno per entrambi i popoli, e potrebbe rendere realistico il sogno di una più ampia pace arabo-israeliana. Quindi ora questa è la domanda. Dovete chiedere: se i benefici della pace con i palestinesi sono così chiari, perché la pace ci è sfuggita? Visto che tutti e sei i  primi ministri israeliani, dalla firma degli accordi di Oslo, incluso il sottoscritto, hanno accettato di costruire uno Stato palestinese? E perché la pace ancora non è stata raggiunta? Perché da sempre i palestinesi non hanno voluto accettare uno Stato palestinese se ciò significava accettare uno Stato ebraico accanto.

Vedete, il nostro conflitto non ha mai riguardato la costruzione di uno Stato palestinese; ma ha invece sempre riguardato l’esistenza dello Stato ebraico. Questo è il nodo di questo conflitto.

Nel 1947 l’Onu votò la spartizione della terra in uno Stato ebraico e in uno arabo. Gli ebrei dissero sì; i palestinesi dissero no. In anni recenti, i palestinesi hanno rifiutato due volte offerte generose di primi ministri israeliani per creare uno Stato palestinese in quasi tutto il territorio conquistato da Israele nella guerra dei Sei Giorni. Loro semplicemente non volevano mettere fine al conflitto. E mi dispiace dire una cosa: essi continuano a educare i loro figli a odiare. Continuano a dedicare piazze pubbliche a terroristi. E peggio di tutto, continuano a perpetuare la fantasia che Israele sarà sommersa dai discendenti dei rifugiati palestinesi. Amici, tutto ciò deve finire.

Il presidente Abbas deve fare quello che io ho fatto. Davanti al mio popolo – e vi dico, non è stato facile per me – ho detto: “Accetterò uno Stato palestinese”.  È tempo che il presidente Abbas dica davanti al suo popolo “Accetterò uno Stato ebraico”. Queste quattro parole cambieranno la storia. Renderanno chiaro ai palestinesi che questo conflitto deve finire; che essi non stanno costruendo uno Stato palestinese per continuare il conflitto con Israele, ma per mettervi fine.

E queste quattro parole convinceranno il popolo di Israele che hanno un vero partner per la pace. Con un tale partner, il popolo palestinese e quello israeliano saranno pronti a fare un compromesso di vasta portata. E io sarò pronto a fare un compromesso radicale.

Questo compromesso deve riflettere i drammatici cambiamenti demografici che sono accaduti dal 1967. La maggioranza dei 650.000 israeliani che vivono al di là delle linee del 1967 risiedono in quartieri e sobborghi di Gerusalemme e della Grande Tel Aviv. Queste aree sono densamente popolate, ma stanno crescendo geograficamente molto poco. E con qualsiasi accordo di pace realistico, queste aree, così come alti luoghi strategici e di importanza nazionale sarebbero incorporati nei confini di Israele.

Lo status degli insediamenti sarà deciso solo nelle negoziazioni, ma dobbiamo anche essere onesti. Sto dicendo oggi qualcosa che dovrebbe essere detto in pubblico da tutti quelli che sono seri sull’argomento pace. In qualsiasi accordo reale di pace, in qualsiasi accordo che metta fine al conflitto, alcuni insediamenti finiranno oltre i confini israeliani.

La delineazione precisa di questi confini deve essere negoziata. Saremo generosi riguardo le dimensioni del futuro Stato palestinese. Ma come ha detto il presidente Obama, i confini saranno diversi da quelli che esistevano il 4 giugno 1967.

Israele non ritornerà ai confini indifendibili del 1967. Voglio essere molto chiaro su questo punto. Israele sarà generoso sulle dimensioni dello Stato palestinese, ma sarà molto fermo su dove fissare i confini con esso. Questo è un punto importante, che non dovrebbe essere perso di vista.

Riconosciamo che lo Stato palestinese deve essere abbastanza grande per essere vivibile, indipendente, prosperoso. E tutti voi – e anche il presidente – si sono riferiti a Israele come la patria del popolo ebraico, così come avete parlato di un futuro Stato palestinese come la patria del popolo palestinese. Gli ebrei da tutto il mondo hanno il diritto di immigrare nell’unico Stato ebraico esistente, e i palestinesi da tutto il mondo dovrebbero avere il diritto di immigrare, se così vogliono, in uno Stato palestinese. E ciò significa che il problema dei rifugiati palestinesi sarà risolto fuori dai confini israeliani.

Tutti lo sanno. È il tempo di dirlo, è importante.

Per quanto riguarda Gerusalemme, solo un Israele democratico ha protetto la libertà di culto per tutte le fedi nella città.

Durante la millenaria storia della capitale ebraica, l’unico tempo in cui ebrei, cristiani e musulmani hanno potuto praticare la loro fede in libertà, hanno avuto accesso senza ostacoli ai loro luoghi sacri è stato durante la sovranità israeliana su Gerusalemme.

Gerusalemme non deve mai più essere divisa.

Gerusalemme deve rimanere la capitale unita di Israele.

So che questo è un problema per i palestinesi. Ma credo che con creatività e l’aiuto di Dio una soluzione possa essere trovata.

Questa è la pace che ho in mente di forgiare con un partner palestinese impegnato per la pace. Ma sapete bene che in Medio Oriente l’unica pace che può durare è quella che si può difendere. Quindi la pace deve essere saldamente ancorata alla sicurezza.

In tempi recenti, Israele si è ritirato dal sud del Libano e da Gaza. Pensavamo di avere ottenuto la pace. Ma non è quello che abbiamo raggiunto. Sulle nostre città, sui nostri bambini, sono caduti 12.000 missili [provenienti] da quelle aree, lanciati da Hezbollah e Hamas. Le forze di pace dell’Onu in Libano hanno fallito nel prevenire il contrabbando di queste armi. Gli osservatori Europei a Gaza sono come svaniti nella notte. Quindi se Israele semplicemente abbandonasse i Territori, il flusso di armi nel futuro Stato palestinese sarebbe fuori ogni controllo, e i missili lanciati da lì potrebbero raggiungere qualsiasi casa in Israele in meno di un minuto.

Voglio che pensiate anche a questo. Immaginate che ci sia una sirena e che avete meno di 60 secondi per raggiungere un rifugio per l’arrivo di un missile. Vivreste in questo modo? Pensate che si possa vivere in questo modo? Beh, neanche noi vogliamo vivere ancora in questo modo. La verità è che Israele ha bisogno di sistemi di sicurezza unici a causa delle sue dimensioni [altrettanto] uniche. È uno dei Paesi più piccoli del mondo. Signor Presidente, glielo garantisco: è più grande del Delaware. E’ perfino più grande di Rhode Island. Ma questo è tutto. Israele entro le linee del 1967 sarebbe largo la metà della circoscrizione di Washington.

Ora, qui c’è un po’ di nostalgia. Sono venuto a Washington 30 anni fa come diplomatico. Ci ho messo un po’, ma alla fine l’ho capito: c’è un’America oltre la circoscrizione della capitale. Ma Israele entro le linee del 1967 sarebbe larga solo 9 miglia. Quindi è assolutamente vitale che Israele mantenga una presenza militare lungo il fiume Giordano.

Sistemi di sicurezza solidi sul terreno sono necessari non solo per proteggere la pace; sono necessari per proteggere Israele nel caso la pace si sfilacci, perché nella nostra instabile regione nessuno può garantire che i nostri partner di pace oggi saranno quelli di domani. E amici miei, quando DICO domani non intendo un tempo lontano nel futuro: intendo domani. La pace può essere raggiunta solo attorno a un tavolo di negoziazione.

Il tentativo dei palestinesi di imporre un accordo attraverso l’Onu non porterà alla pace.

Esso dovrebbe essere fortemente contrastato da tutti quelli che vogliono che questo conflitto finisca. E su questa questione apprezzo la chiara posizione del presidente.

La pace non può essere imposta. Deve essere negoziata. Ma la pace può essere raggiunta solo con partner impegnati nella pace, e Hamas non è un partner per la pace. Hamas rimane impegnato nella distruzione di Israele e nel terrorismo. Hamas ha uno Statuto, che non solo richiama la cancellazione di Israele. Ma dice anche: “Uccidi gli ebrei ovunque li trovi”. I leader di Hamas condannano l’uccisione di Osama Bin Laden e lo elogiano come un guerriero santo.

Ora, di nuovo, voglio che sia chiaro: Israele è pronto a sedersi oggi e negoziare la pace con l’Autorità Palestinese. Credo che possiamo fabbricare un futuro magnifico per i nostri figli. Ma Israele non negozierà con un governo palestinese guidato dalla versione palestinese di Al Qaeda. Questo non lo faremo.

Quindi dico al presidente Abbas: strappa l’accordo con Hamas! Siediti e negozia. Fai la pace con lo Stato ebraico. E se lo fai, ti prometto: Israele non sarà l’ultimo Paese a dare il benvenuto allo Stato palestinese come membro delle Nazioni Unite; sarà il primo a farlo.

Amici, gli importantissimi processi dello scorso secolo e gli eventi in corso di questo secolo testimoniano il ruolo decisivo degli Stati Uniti nella difesa della pace e nell’affermazione della libertà. La Provvidenza ha incaricato gli Stati Uniti di essere il guardiano della libertà. Ogni popolo che ama la libertà ha un debito profondo di gratitudine nei confronti della vostra grande nazione. Fra le nazioni più grate vi è la mia, il popolo di Israele, che ha combattuto per la propria libertà e sopravvivenza contro ostacoli impossibili, in tempi antichi e moderni. Parlo a nome del popolo ebraico e dello Stato ebraico quando dico a voi, rappresentanti dell’America: Grazie.

Grazie. Grazie per il vostro fermo sostegno a Israele. Grazie per assicurare che la fiamma della libertà bruci in tutto il mondo.

Possa Dio benedire tutti voi, e possa Dio benedire gli Stati Uniti d’America.

Grazie mille. Grazie. Grazie mille. Grazie”.