Mordechai Kedar (foto Wikidata)

«Molti israeliani che un tempo erano favorevoli alla creazione di uno Stato palestinese, dopo il 7 ottobre non ci credono più». Intervista a Mordechai Kedar

Israele

di Nathan Greppi
Uno dei cambiamenti più importanti avvenuti nella società israeliana dopo il 7 ottobre, è stato la forte disillusione verso la possibilità di mettere in pratica la Soluzione dei due Stati. Se nella prima metà degli anni ’90, ai tempi degli Accordi di Oslo, vi era un certo ottimismo all’idea che Israele e uno Stato palestinese
potessero convivere fianco a fianco, oggi sono in molti a credere che la fine dell’occupazione in Cisgiordania porterebbe solo ad una presa del potere da parte di Hamas, che da lì sarebbe in grado di colpire anche Gerusalemme e Tel Aviv.

Già da tempo, c’è chi ha cercato di ipotizzare delle soluzioni alternative a quella dei due Stati, per venire incontro alle rivendicazioni palestinesi ma senza compromettere la sicurezza dello Stato Ebraico: uno di questi è Mordechai Kedar, docente presso il Dipartimento di Arabistica dell’Università Bar-Ilan, che ha servito per 25 anni nell’Aman, l’intelligence militare israeliana, raggiungendo il grado di tenente colonnello.
Kedar ha teorizzato una “Soluzione a otto Stati”, che prevede la suddivisione dei territori sotto il controllo palestinese in otto emirati, ognuno indipendente dagli altri. Essi ricalcherebbero forme di governo più in linea con la tradizionale suddivisione in clan e tribù, dopo il fallimento degli Stati arabi post-coloniali.  Ricordiamo che Kedar aveva partecipato alla Giornata Europea della Cultura ebraica a Milano nel 2022.

(N.B. L’intervista è stata svolta prima dell’attacco dell’Iran a Israele di sabato 13 aprile).

Dopo il 7 ottobre, cosa è cambiato nella percezione israeliana dei rapporti con i palestinesi?

Quando, nel giugno 2007, Hamas assunse il controllo totale della Striscia di Gaza sottraendola all’ANP, di fatto vi crearono un loro Stato: avevano il loro governo, i loro ministeri, i loro tribunali, il loro esercito, il che lo rendeva uno Stato a tutti gli effetti. In quel momento, gli israeliani li lasciarono fare, pensando che
avendo i loro Stati, Fatah in Giudea e Samaria e Hamas a Gaza li avrebbero lasciati in pace.
Poi, è arrivato il 7 ottobre; a quel punto, gli israeliani hanno capito che non si può più permettere a Hamas di restare lì, tantomeno di avere un proprio Stato. In secondo luogo, hanno capito che lo Stato palestinese in Giudea e Samaria guidato da Fatah prima o poi potrebbe trasformarsi in un nuovo “Hamastan”, perché
così come nel 2006 Hamas vinse le elezioni, in futuro potrebbe vincerle ancora. Per queste ragioni, molti israeliani che un tempo erano favorevoli alla creazione di uno Stato palestinese, oggi non ci credono più. Sono rimasti in pochi a crederci.

In Cisgiordania, Hamas gode di un sostegno considerevole da parte della popolazione, molto più dell’ANP. Quando Abu Mazen non ci sarà più, cosa pensa che accadrà?

Prima di tutto, occorre chiarire una cosa: la maggior parte di coloro che sostengono Hamas non lo fanno perché credono nella jihad, o perché vogliano costringere le donne ad indossare il velo. Sostengono Hamas perché al momento vedono in esso l’unica alternativa all’Autorità Palestinese, che odiano in quanto la considerano un’organizzazione sionista e corrotta. Quando Abu Mazen non ci sarà più, è molto probabile che il territorio dell’ANP diventerà teatro di scontri per le strade che degenereranno in una guerra civile, portando ad uno scenario simile alla Siria e all’Iraq. Ci sono troppe persone desiderose di sostituire Abbas, e alcune di loro hanno già iniziato a reclutare combattenti e a mettere da parte denaro, armi e munizioni per quando lui se ne andrà.

Già nel 2018, lei venne a Milano per illustrare la sua proposta degli otto emirati. Oggi, pensa ancora che sia realizzabile?

Sin dal 7 ottobre, sempre più israeliani parlano di questa proposta. Oggi ne sento parlare da persone di destra, di sinistra e di centro, anche nei media, perché è l’unica soluzione con la quale Israele potrebbe convivere. Si sta pensando di applicarla anche a Gaza, suddividendola in cinque distretti e instaurando uno Stato diverso in ciascuno di questi. Il problema sono gli americani, che non vogliono questa soluzione né la capiscono. Si illudono di poter riformare l’Autorità Palestinese, come se ciò fosse possibile.

Nel corso degli anni, c’è chi ha ipotizzato che l’alternativa migliore ai due Stati sia uno Stato unico binazionale, per ebrei e arabi. Perché questa soluzione non è praticabile?

Perché stiamo parlando di due culture troppo diverse. Il multiculturalismo ha fallito ovunque: in Germania, in Francia, in Belgio, in ogni parte del mondo. Ovunque si trovi una società islamica, essa ha problemi a convivere con altre culture, specialmente in Occidente. Non è il caso di tentare un altro esperimento
multiculturale in Israele, che possiede una cultura e un modo di pensare prevalentemente europei.

Il 7 ottobre, gli arabi israeliani hanno avuto una reazione molto diversa rispetto ai palestinesi dei Territori, e diversi beduini furono anch’essi rapiti e uccisi da Hamas. A cosa è dovuto secondo lei?

Va detto che c’è anche una differenza tra la reazione degli arabi israeliani al 7 ottobre e ciò che avvenne nel 2022, quando molti degli stessi scesero per le strade uccidendo gli ebrei e appiccando incendi. Stavolta è andata diversamente perché nella cultura araba, se qualcuno fa ciò che Hamas ha fatto, la risposta più naturale sarebbe quella di entrare nel loro territorio e ucciderli tutti. Se quelli di Hamas avessero fatto ciò che hanno fatto in un paese arabo anziché in Israele, oggi a Gaza avremmo due milioni di morti. È la legge del taglione, e non fa distinzione tra uomini, donne e bambini.
Per questo molti arabi, soprattutto in Israele, temono che gli israeliani vogliano ucciderli tutti. La loro paura era tale che molti arabi israeliani che lavorano in città con una popolazione a maggioranza ebraica, dopo il 7 ottobre non si sono presentati al lavoro per almeno tre settimane. Proiettano su Israele la loro mentalità, e con essa il pensiero di ciò che loro farebbero al suo posto.

Se Hamas ha potuto fare ciò che ha fatto, è stato anche grazie al sostegno economico e mediatico del Qatar, anche tramite la sua emittente statale “Al Jazeera”. Cosa dovrebbe fare Israele al riguardo?

Hamas è una creazione del Qatar; non avrebbe successo in niente di ciò che fa se non fosse per il denaro qatariota. Senza il Qatar, quelli di Hamas non avrebbero un esercito né sarebbero riusciti a costruire i tunnel sotto Gaza. Il Qatar è un nemico d’Israele, e come tale dovrebbe essere trattato. Ciò significa che non si dovrebbe permettere mai più agli inviati di Al Jazeera di mettere piede in Israele o a Gaza.

Lei ha prestato servizio per molti anni nell’Aman. Cosa dovrebbe fare l’intelligence israeliana per impedire che si verifichi un altro 7 ottobre?

Andrebbero rafforzati i rami dell’intelligence specializzati nella conoscenza della lingua araba. Concentrandosi sulla cybersicurezza e sull’alta tecnologia, nell’ultimo periodo hanno sottratto risorse alla parte araba. Ciò che è successo in questa guerra, è che il settore high-tech è stato battuto dal “low-tech”, in quanto sono riusciti a violare i confini israeliani guidando trattori e motociclette. Senza nulla togliere alle nuove tecnologie, Israele deve riscoprire l’importanza delle tattiche di guerra tradizionali.