Mordechai Kedar ala serata sul mondo arabo al tempio Noam

Sguardo sul mondo arabo: Mordechai Kedar al Tempio Noam

Eventi

di Nathan Greppi
Interessante e ricco di spunti si è rivelato l’evento tenutosi al Tempio Noam domenica 16 dicembre, durante il quale lo storico israeliano Mordechai Kedar, grande esperto di mondo arabo, ha dialogato con il direttore de La Stampa Maurizio Molinari. Nel corso del dibattito,moderato dalla traduttrice Raffaella Scardi, sono stati analizzati numerosi temi, dai rapporti tra Israele e gli stati arabi alle tensioni con l’Iran.

I rapporti con i Paesi del Golfo

La prima domanda di Molinari è stata “sulla crescente attenzione che le monarchie del Golfo hanno per lo Stato d’Israele […] da dove nasce questa attenzione delle monarchie del Golfo per lo Stato Ebraico, e dove può portare?” A questa domanda, Kedar ha risposto così: “Innanzitutto, gli ultimi dieci anni hanno creato una nuova situazione del Medio Oriente; fino a dieci anni fa parlavamo del Medio Oriente come di un gruppo di paesi arabi che avevano un’unità nelle loro attività, e che agivano insieme all’interno della Lega Araba. Ogni anno si teneva un summit annuale dei leader arabi che si riunivano, dopodiché portavano la loro opinione al mondo e questa era l’opinione del mondo arabo. Da dieci anni a questa parte non possiamo più parlare di mondo arabo come prima, come un gruppo di paesi con una stessa agenda. Innanzitutto il summit annuale che si teneva ogni anno, non si svolge da nove anni a questa parte, e questo ci da un’idea delle divisioni, delle lotte all’interno del mondo arabo.”

La divisione in due blocchi

“Quello che vediamo, da 5-6 anni a questa parte, è una divisione in due coalizioni molto nette: da una parte abbiamo l’Iran, che non è un paese arabo ma è un paese islamico, l’Iraq, la Siria, Hamas a Gaza, il Qatar e la Turchia, che hanno alle spalle la Russia; e di questa coalizione fa parte anche la Hezbollah libanese. La seconda coalizione è costituita da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Autorità Palestinese, Israele, l’Egitto, e dietro questi gli Stati Uniti. In queste due coalizioni si stanno combattendo vere e proprie guerre in Siria, in Iraq e nello Yemen. […] Per questa ragione, paesi che stanno a metà fra le due coalizioni, come l’Oman, il Ciad e il Bahrein, non hanno problemi ad avere contatti con Israele. Dal momento che il mondo arabo non esiste più come un gruppo di pressione come era fino a nove anni fa, un governo come quello dell’Australia si è potuto permettere di riconoscere Gerusalemme Ovest come capitale d’Israele.”

Ha riservato tuttavia alcune critiche al principe ereditario saudita, Mohammed Bin Salman: “Ci sono tre problemi con il leader dell’Arabia Saudita: è stato nominato dal padre come prossima generazione di leader, e dobbiamo capire che fino ad ora tutti i re erano i fratelli figli di Bin Saud (primo re saudita), invece Bin Salman è il primo della generazione dei nipoti del fondatore dell’Arabia Saudita. Il problema è che ci sono nel quadro numerosi cugini, figli dei re precedenti, e sono uomini molto più esperti e anziani, che hanno il doppio della sua età e sanno gestire uno stato. E c’è di più: nelle società islamiche l’età conta, non metti un uomo giovane, che si dice “zair” come “tzair” in ebraico, e lo porti ad essere al di sopra di uomini molto più vecchi ed esperti. È dunque molto meno esperto, tranne che per quanto riguarda le donne.”

Parlando dell’Iran, ha affermato che oggi si sta ricostituendo una certa opposizione al governo islamico, nonostante al momento sia molto frammentata: “Quello che però vediamo negli ultimi sei mesi, è che gli espatriati iraniani, che sono contrari al regime dei mullah, stanno serrando i loro ranghi come mai prima.” Riguardo al loro intervento in Siria a favore di Assad, Molinari ha chiesto “qual è l’interesse strategico d’Israele in Siria?” Kedar ha risposto che “è importante indicare come Assad è rimasto al potere, grazie alla brutalità dei russi che hanno distrutto paese dopo paese, città dopo città, in primis Aleppo, per cacciare alcune migliaia di jihadisti. Gli interessi di Israele sono divisi, o meglio, dipende a chi lo chiedete: c’è chi dice, in Israele, che Assad è la migliore controparte perché è un uomo forte, e perché si possono mantenere gli accordi sul Golan con lui e si potrebbe fare un accordo in futuro. C’è poi invece chi dice che, al contrario, Assad è in coalizione con l’Iran, e quindi la Siria, che non è il vero problema d’Israele, diventa il cortile anteriore dell’Iran stesso. Dovremmo quindi sostituire Assad stesso con qualcuno che mandi via gli iraniani.”

Una soluzione per il conflitto arabo-israeliano

Verso la fine del dibattito, ha illustrato quella che secondo lui sarebbe la soluzione migliore al conflitto israelo-palestinese: quella degli emirati. “Gli stati moderni in Medio Oriente stanno fallendo, perché la loro creazione non corrisponde alla sociologia dei popoli, mentre gli emirati si fondano sui clan, sulle tribù, e quindi sono molto più stabili e ricchi, sia che abbiano petrolio come Dubai sia che non ce l’abbiano come Abu Dhabi. Io faccio questa proposta,” ha detto mostrando una mappa di otto ipotetici emirati palestinesi, uno a Gaza e sette in Cisgiordania. Infine, ha concluso il dibattito affermando che “in Medio Oriente la pace può arrivare solo a un paese che sia considerato invincibile da tutti gli altri, troppo potente per poter essere mai battuto. Affinché questo succeda, sarebbe un grandissimo contributo da parte delle forze del mondo che Gerusalemme venga riconosciuta come unica capitale d’Israele.”