Israele: il mondo hi-tech protesta contro la riforma giudiziaria e trasferisce all’estero i conti

Israele

di Ilaria Myr
Skai è un’azienda israeliana di marketing digitale del valore di 1 miliardo di dollari, che impiega circa 600 persone, di cui 300 in Israele, e lavora con aziende leader tra cui Google, Amazon, Meta, Walmart, TikTok e Microsoft, e che ha annunciato di trasferire i propri conti all’estero, per il timore dell’impatto della riforma giudiziaria voluta dall’attuale governo, contro la quale da settimane manifestano centinaia di migliaia di persone nelle strade israeliane.

Yoav Izhar-Prato, ceo Skai

“Siamo molto preoccupati per le conseguenze per la società e [per] l’azienda delle modifiche proposte – avrebbe spiegato il co-fondatore e CEO di Skai, Yoav Izhar-Prato, in un’e-mail interna ai dipendenti dell’azienda, secondo quanto riporta il sito di notizie di pubblicità e marketing Ice –. Per ridurre il rischio, intendiamo ritirare i saldi di cassa [e trasferirli] all’estero il prima possibile, come hanno fatto finora diverse società e come ci si aspetta dalla comunità internazionale”.

Skai è però solo l’ultima azienda hi-tech in ordine di tempo ad avere annunciato di ritirare i finanziamenti da Israele a causa dei piani del governo per attuare cambiamenti radicali alla magistratura. In questi giorni anche il gigante della cyber-security Wiz, considerata una delle aziende high-tech di maggior successo del paese e valutata 6 miliardi di dollari, ha annunciato di volere ritirare i propri conti dalle banche israeliane a causa della riforma giudiziaria. Mentre il primo di febbraio il ceo di Verbit, società di software di trascrizione e didascalia ibrida basata su intelligenza artificiale e umana valutata 2 miliardi di dollari, ha annunciato che avrebbe lasciato il paese e avrebbe smesso di pagare le tasse in segno di protesta.

L’aveva preceduto Papaya Global, una start-up unicorno (il cui valore è superiore a 1 miliardo di dollari e che non è quotata in borsa) della piattaforma globale per la gestione dei salari e dei pagamenti con sede a Tel Aviv, ha dichiarato che intende ritirare tutti i suoi fondi da Israele per protestare contro i piani del governo.

La protesta di un intero settore (il più forte)

Il malessere del potente mondo hi-tech, che ha fatto meritare il titolo di start-up nation a Israele, è sempre più forte e diffuso, come dimostrano le manifestazioni di protesta di impiegati e dirigenti di aziende del settore che da tre settimane invadono le strade delle principali città israeliane (nella foto in alto). Durante l’ultima, tenutasi ieri, martedì 7 febbraio, nonostante il vento e la pioggia, i manifestanti hanno tenuto uno sciopero di un’ora, consapevoli che se si ferma il settore rallenta anche l’economia del Paese.

Più di 2.500 lavoratori del settore tecnologico si sono uniti nell’ultimo mese a un movimento per denunciare il piano del governo per una profonda revisione della magistratura, preoccupati per il suo possibile impatto sull’ecosistema tecnologico e sull’economia in generale.

Aziende, produttori di denaro, organizzazioni imprenditoriali e politici temono che il piano di revisione giudiziaria, che secondo loro minaccia la democrazia, danneggerà la posizione di Israele come centro stabile per gli investimenti e che allontanerà gli investitori stranieri dall’iniettare fondi nelle società in Israele.

L’inventore della chiavetta Usb: “Sono a rischio la democrazia e l’economia del nostro amato Paese”

Fra i sostenitori di queste manifestazioni c’è anche Dov Moran, l’inventore della chiavetta Usb, che avevamo intervistato prima delle elezioni israeliane e che nell’occasione ci aveva espresso il proprio timore di un’eventuale ascesa al potere della destra nazionalista e dell’impatto che le decisioni di un governo di questo tipo avrebbero avuto sul settore hi-tech.

Durante una delle manifestazioni, Moran ha pronunciato un discorso appassionato, riportato sul suo profilo LinkedIn: “Sono qui perché sono preoccupato per le sorti del nostro amato Paese. Secondo me il soggetto di questa manifestazione non è di destra/sinistra. Non è una legge o un’altra. Non è una sfumatura della distribuzione del potere tra le autorità. È una manifestazione a favore di uno Stato di Israele illuminato e democratico. (…) Il problema è che l’attuale governo non ha alcun desiderio di migliorare l’attività dell’autorità legislativa o esecutiva. Il suo scopo è quello di indebolire, sopprimere, limitare e di fatto abolire completamente il potere della magistratura e soprattutto il potere della Corte Suprema. In che modo questo ci influenzerà? Un piccolo esempio: questo permetterà all’attuale presidente del Consiglio di annunciare tra 4 anni che non ci sono elezioni. Ciò consentirebbe a coloro che detengono il potere di essere corrotti con la licenza. In altre parole: la democrazia scomparirebbe. E senza democrazia, non subito, ma a poco a poco, saremo un paese high-tech degenerato e debole. E high tech debole significa economia debole e paese debole. Più ricercatori che preferiranno rimanere all’estero dopo il post-dottorato, più imprenditori israeliani che preferiranno aprire attività all’estero, meno multinazionali saranno disposte ad aprire uffici qui e…meno investitori saranno disposti a investire in un tale paese. Cosa significa: danni senza precedenti alla nostra economia”.

Questo porterà, secondo Moran, a un deterioramento delle condizioni di vita nel Paese e alla crescita del divario sociale, già forte in Israele, e dei già altissimi costi della vita.

 

“Questa è la palla di neve che vediamo all’inizio di oggi. E quell’inizio potrebbe essere l’inizio della fine dello stato ebraico, sionista, moderno, progressista, quello che conosciamo e per cui i nostri antenati hanno combattuto. (…) Ma non lasceremo andare fino a quando questo meraviglioso treno chiamato Stato di Israele con questa locomotiva chiamata high-tech non tornerà sui binari e torneremo a vivere in un regime democratico. Rispettando i diritti della minoranza, soprattutto di coloro che non hanno vinto le elezioni. Con controlli ed equilibri per governare e non sotto un dominio predatorio. Un Paese illuminato dove vivremo tutti in pace gli uni con gli altri e con i Paesi vicini”.

(Foto in alto: fonte The Times of Israel)