Benny Gantz

Elezioni in Israele: il declino di Re Bibi

Israele

di Aldo Baquis, da Tel Aviv

Gantz e Liberman sono più soddisfatti del leader Likud, dopo il voto del 17 settembre. Ma è davvero il tramonto dell’era Netanyahu? Il vecchio leone non si arrende, ma gli avversari si sono rafforzati

Re Bibi può essere considerato sconfitto? Di certo ha perso colpi. Dopo 10 anni di potere incontrastato resta sempre il principale protagonista della politica del Paese. Ma il 18 settembre, all’indomani delle elezioni, ha dovuto constatare di non essere riuscito a raccogliere la maggioranza per formare un nuovo governo omogeneo. È il secondo tonfo dell’anno. Anche dopo le elezioni di aprile si era trovato ad armi spuntate. Allora, per 40 giorni, aveva cercato inutilmente di formare una coalizione. Poi aveva obbligato la Knesset ad auto-dissolversi – cosa senza precedenti nella storia del Paese – e ad indire nuove elezioni.
Adesso che anche questo espediente non gli ha consentito di raggiungere i propri obiettivi, inizia un periodo di incertezza. La composizione di un nuovo governo appare per lui problematica. Certo Benyamin Netanyahu ha grandissima esperienza ed è sempre ricco di risorse. La sua tenacia è addirittura proverbiale. Ma da più parti si avanza un interrogativo: è possibile che sia iniziato il suo declino? È possibile che stia adesso iniziando il dopo-Netanyahu?
Nella campagna elettorale ha dato proprio tutto di sé. Ha inondato il web di messaggi e di filmati. Attraverso Facebook, ha arringato gli israeliani per ore ed ore, fino a perdere la voce, attaccando i rivali politici più fastidiosi e i mass media per lui più insopportabili. Ha visitato numerose località, accolto ovunque con grande calore. Ha compiuto visite-lampo all’estero, anche per evidenziare che egli è uno statista di statura mondiale, mentre i suoi rivali immediati del partito Blu-Bianco – ha tenuto a notare – sono dei principianti quasi sconosciuti. Al tempo stesso ha gestito una campagna di contenimento di Hamas a Gaza e degli Hezbollah in Libano, mentre l’aviazione israeliana colpiva obiettivi iraniani in Siria, spingendosi forse fino al confine con l’Iraq. Per sostenere quelle attività militari ha conversato con Donald Trump, con Vladimir Putin, con Boris Johnson e con Emanuel Macron.
Molto prevenuto verso la stampa locale, nei giorni che hanno preceduto il voto Netanyahu si è improvvisamente concesso ai microfoni ed allora è stato un vero diluvio di interviste. In quelle giornate le sue parole sbucavano da tutte le televisioni e da tutte le radio. Questo settantenne pare dotato di energie infinite e di una inesauribile voglia di vincere.

L’incidente di Ashdod
Poi però c’è stato “l’incidente di Ashdod”. Stava incontrando in una sala centinaia di sostenitori del Likud, quando sono risuonate le sirene di allarme mentre due razzi, sparati da Gaza, si dirigevano minacciosi verso Ashdod e verso la vicina Ashqelon. Netanyahu non ha perso la calma. Ha chiesto al pubblico di mantenere i nervi saldi, di cercare con calma un posto protetto. Poi il primo ministro e ministro della difesa è stato circondato da agenti di sicurezza e portato in una stanza protetta. Niente di eccepibile. Solo che le immagini televisive del premier israeliano “in fuga sotto i razzi di Hamas” hanno elettrizzato i palestinesi di Gaza ed hanno avuto un effetto dirompente per la sua campagna elettorale.
Quella notte Netanyahu schiumava di rabbia. Da Ashdod ha proseguito per il ministero della difesa di Tel Aviv e ha ordinato che l’esercito rispondesse all’attacco palestinese con una operazione su vasta scala. Ma secondo Haaretz e Maariv i vertici militari si sono opposti. C’era il rischio che Hamas rispondesse con centinaia di razzi. Occorreva preparare le retrovie, richiamare riservisti. Da parte sua il consigliere legale del governo Mandelblit gli ha detto che una reazione del genere richiedeva la convocazione e la approvazione del gabinetto interno del governo. In definitiva la reazione della aviazione è stata contenuta. Ma Netanyahu ha avuto – secondo la stampa – la sensazione di non essere sostenuto a dovere da chi dovrebbe essergli legato da una fedeltà totale. Che la ponderatezza delle sue decisioni fosse ora messa in dubbio.
Con lo spoglio dei voti, il partito Blu Bianco e il Likud si sono visti alla pari. Il blocco delle destre fedele a Netanyahu aveva solo 56 deputati (sui 120 della Knesset): cinque in meno del minimo necessario per ottenere la fiducia del parlamento. Dopo una campagna gestita all’insegna della delegittimazione dell’elettorato arabo (da lui accusato di aver “rubato” con brogli il voto di aprile e di mancare di fedeltà allo Stato della Nazione ebraica) Netanyahu ha dovuto prendere nota che il suo atteggiamento antagonistico ha innescato nella popolazione araba una reazione di orgoglio. In quel settore la percentuale di voto è salita dal 50 al 60 per cento. Un incremento di 100 mila arabi che hanno detto al premier uscente che non accettano di essere marginalizzati nel loro Paese e che al contrario sono interessati ad essere coinvolti nella cosa pubblica.
Di fronte a queste contrarietà, Re Bibi non si è perso d’animo e ha reagito con grande determinazione, fiducioso che saprà superarle. Ma il suo secondo insuccesso elettorale consecutivo, unito alle traversie giudiziarie e al rischio di una incriminazione, hanno fatto emergere nella stampa israeliana un interrogativo per lui inquietante: è mai possibile, è stato chiesto, che il suo astro stia declinando? È mai possibile che il premier che ha governato Israele più a lungo dopo David Ben Gurion stia per uscire di scena – ora, o nei mesi venturi ?