Avi Cohen, il dilemma del trapianto degli organi

Israele

di Aldo Baquis

Con le lacrime agli occhi, il 20 dicembre, i tifosi israeliani di calcio hanno appreso che uno dei loro idoli più amati – Avi Cohen, una star del Liverpool negli anni Ottanta – era stato vittima di un rovinoso incidente di motocicletta e che era sospeso fra la vita e la morte in un ospedale di Tel Aviv.

Per la moglie Dorit e per il figlio Tamir (pure calciatore professionista, in Gran Bretagna) sono seguiti giorni di trepidazione. Dopo una settimana di sforzi i medici sono stati costretti a prendere atto della morte cerebrale dell’atleta e hanno chiesto l’autorizzazione per il prelevamento degli organi. Al momento dell’incidente Cohen aveva infatti in tasca la tessera ‘Adi’, la Organizzazione israeliana per i trapianti.

In quei critici minuti i familiari di Cohen sono stati pero’ circondati da seminaristi del collegio rabbinico ‘Shuvu Banim’ di Gerusalemme secondo cui il loro maestro, rabbino Eliezer Berland, aveva sognato che l’indomani il calciatore si sarebbe miracolosamente ripreso. Hanno anche irriso i medici che spiegavano che dalla morte cerebrale non c’e’ mai risveglio. La famiglia si e’ arresa alle loro insistenze e quando il giorno dopo anche il cuore ha cessato di battere, i trapianti dal corpo di Cohen non erano piu’ possibili.

Adesso in Israele è la bagarre. In parlamento è stato proposto che la sottoscrizione della tessera ‘Adi’ abbia il valore legale di un testamento, non più opinabile dai familiari. Diversi opinionisti si sono scagliati contro gli zeloti che – contraddicendo anche il parere di autorevoli rabbini – hanno convinto i Cohen a non autorizzare i trapianti. Chi si oppone per ragioni religiose alla donazione degli organi – è stato esclamato – deve comprendere che non potrà certo beneficiarne, se si trovasse in stato di necessità.

Intanto i medici lanciano un SOS: nel 2010 le donazioni di organi in Israele sono molto calate. Decine di persone che erano in lista di attesa sono nel frattempo decedute.