Archeologi cercano di resti e informazioni sui dispersi dei Kibbutz vicino Gaza

Israele

di Redazione
Da lontano, potrebbe forse sembrare un normale scavo archeologico, scrive il Times of Israel. Dei lavori in corso si possono quasi percepire il sussurro ritmico della terra fine che cade attraverso il setaccio e il tintinnio delle rocce osservate manualmente dagli studiosi, alla ricerca degli oggetti più piccoli. Lì accanto, si intravedono cazzuole e spazzole, insieme ai setacci quadrati e agli onnipresenti secchi neri per trasportare il materiale recuperato. Eppure, non si descrive lo scavo di un sito antico, ma l’attività che un gruppo di archeologi all’interno del Kibbutz Nir Oz, in Israele, vicino al confine con Gaza. Uno degli obiettivi dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso.

Sei settimane fa, le case del Kibbutz erano completamente arredate e le famiglie si erano riunite intorno al tavolo dello Shabbat. Adesso, l’Unità per le persone scomparse dell’esercito israeliano IDF ha chiesto l’aiuto all’Autorità israeliana per le antichità per setacciare alcune delle abitazioni bruciate, nella speranza di identificare resti di corpi per poter fornire alle famiglie una risposta definitiva su cosa possa essere accaduto ai loro cari. A più di quaranta giorni dal massacro del 7 ottobre, non esiste infatti un elenco completo delle vittime. Il Ministero degli Esteri israeliano ritiene che durante gli attacchi di ottobre siano state uccise circa 1.200 persone e che almeno 240 siano state rapite e portate a Gaza, alcune delle quali poi liberate, ma fino alla scorsa settimana c’erano ancora circa quaranta persone considerate irreperibili, che potrebbero essere state rapite o uccise.

I patologi forensi lavorano ancora incessantemente per identificare i corpi di persone decedute attraverso il DNA ma, nei casi in cui le case sono state incendiate, l’esercito si è rivolto agli archeologi. La speranza è che la loro esperienza nel riportare alla luce resti umani vecchi di migliaia di anni possa aiutarli a trovare informazioni su quanto è accaduto ai dispersi. Così, da tre settimane, alcuni archeologi operano attivamente anche nei kibbutz Be’eri, Kissufim e Kfar Aza e anche tra le auto bruciate del festival musicale vicino a Re’im. Tutti su base volontaria. Un team dell’Autorità israeliana per le antichità ha già identificato i resti di almeno dieci persone nei vari kibbutzim vicino a Gaza, delle quali non si avevano più notizie. Il loro lavoro ha permesso agli esperti di identificare i resti di Vivian Silver, un’attivista pacifista canadese-israeliana che fino a questa settimana era stata ritenuta rapita da Hamas.

“Sappiamo come scavare strati [di terreno che riporta elementi ndr] di distruzione – ha detto al Times of Israel Hai Ashkenazi, manager geo-informatico che normalmente si occupa di studi del primo periodo del bronzo -. In questi strati, le cose vengono sempre conservate così com’erano in quel particolare momento. E qui, quello che stiamo vedendo è uno strato di distruzione, ma moderno, [contemporaneo]. E si tratta di persone del posto, per cui è davvero difficile”. “Siamo addestrati a lavorare con molta attenzione e a identificare i pezzi più piccoli – ha aggiunto Ashkenazi -. Sappiamo come lavorare in modo molto organizzato, partendo dallo strato superficiale e scoprendo lentamente le cose […]. Gli incendi sono stati così forti che in pratica è come se le persone fossero state cremate. Le ossa sono bruciate quasi completamente e ne sono rimaste solo poche schegge. Ecco perché stiamo procedendo con tanta cautela”.

In ogni abitazione che perquisiscono, gli archeologi fanno un quadrante della casa, setacciando metodicamente gli strati di cenere alla ricerca dei più piccoli frammenti di informazioni, nello stesso modo in cui si scavano con cura i siti antichi, un po’ alla volta. I soldati aiutano gli archeologi a setacciare i secchi che vengono rimossi da ogni casa, nello stesso modo in cui studenti e volontari assistono gli archeologi nei normali scavi. In alcuni casi, hanno trovato effetti personali che possono contribuire a una parziale identificazione, come un telefono cellulare bruciato o persino una fede nuziale. Tutti i frammenti di ossa e i resti che si ritiene appartengano a persone vengono portati all’IDF e trasmessi ai patologi forensi della base Shura o dell’Istituto di medicina legale di Abu Kabir, dove vengono sottoposti al test del DNA.

Nella maggior parte dei casi, tutto questo lavoro aiuta l’esercito a escludere che qualcuno si trovasse in casa o in una stanza specifica, ha spiegato Joe Uziel, capo dell’Unità per i rotoli del Mar Morto dell’Autorità israeliana per le antichità. Capire dove una persona è stata uccisa, o non uccisa, può infatti contribuire a chiarire il numero dei deceduti o dei rapiti. Ma, in almeno dieci casi, gli archeologi sono stati in grado di identificare resti umani che hanno permesso all’IDF di cambiare lo status di una persona scomparsa in deceduta.

Saper studiare il passato e vivere la devastazione presente

Nell’ultimo decennio, metodi scientifici sempre più avanzati e l’intelligenza artificiale hanno permesso di fare scoperte sorprendenti su come vivevano le persone, su cosa mangiavano e su come costruivano gli utensili, a partire dalle più piccole evidenze, talvolta di dimensioni microscopiche. Vedere questi stessi precisi metodi archeologici utilizzati in case che solo poche settimane fa erano piene di vita e di voci è a dir poco devastante, soprattutto per gli archeologi stessi.

“I resti umani sono stati danneggiati al punto che solo l’uso della metodologia archeologica può aiutare [a identificarli]”, ha ribadito Uziel al Times of Israel. A parte il ritrovamento di resti, alcuni dei momenti più difficili per lui consistono nel rinvenimento di una piccola parte di una casa che in qualche modo non è stata toccata dall’incendio, magari “impacchettata in modo stretto”, ricordando in modo brusco e improvviso la differenza tra questo scavo e quelli che fanno normalmente e “all’improvviso si vedono oggetti che appartengono a una famiglia, la loro piccola fetta di paradiso trasformata in inferno”. “In uno scavo archeologico si spera sempre di trovare qualcosa, ma qui la situazione è molto eterogenea – ha aggiunto Uziel -. Da un lato, si vuole essere in grado di trovare informazioni per fornire una prova e una chiusura, dall’altro si sa che trovare qualcosa significa determinare la morte di un’altra persona. È una sensazione contrastante, ma credo che sia il minimo che possiamo fare dopo tutto quello che è successo qui”.

“Io guardo a questa situazione come agli strati di distruzione del Secondo Tempio nel 70 d.C. – ha invece sottolineato Shai Halevy, un documentarista dell’Autorità israeliana per le antichità con una vasta esperienza negli scavi -. I resti che stiamo trovando sono quasi esattamente gli stessi”.