di Davide Servi
Lunedì 9 giugno 2025 si è svolto l’incontro online “Voci da Israele: Israele, oltre i 600 giorni. Un’analisi della situazione”, promosso dall’Associazione Italia Israele di Milano, in collaborazione con Lech Lechà e con il patrocinio dell’Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme. A più di 600 giorni dall’attacco del 7 ottobre 2023 e dall’inizio del conflitto con Hamas, l’evento ha voluto offrire non solo una fotografia della crisi, ma anche uno spazio di riflessione critica e costruttiva su ciò che Israele, la sua diaspora e la comunità internazionale possono e devono ancora fare.
L’incontro, trasmesso su Zoom, ha visto la partecipazione di Sergio Della Pergola, professore emerito dell’Università Ebraica di Gerusalemme e massimo esperto di demografia ebraica, e di Mario Giro, diplomatico, ex viceministro degli Esteri e mediatore della Comunità di Sant’Egidio. A moderare il confronto è stato Davide Assael, filosofo e presidente di Lech Lechà, impegnato da anni nel promuovere il dialogo culturale e identitario tra Italia e Israele.
Saluti istituzionali
Ad aprire è stata Elisa Bianchi, in rappresentanza dell’Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme, che ha portato i saluti istituzionali e ribadito il valore del patrocinio all’evento come gesto di supporto al dialogo serio e informato.
Marco Paganoni, a nome del presidente dell’Associazione Italia Israele Milano Monsignor PierFrancesco Fumagalli, ha sottolineato l’importanza di guardare con onestà anche alle realtà più spiacevoli, ricordando che pur avendo molto da criticare sul governo di Israele, «lo facciamo da sionisti», e auspicando un tempo in cui non sia più necessario coraggio per dirsi tali.
Milo Hasbani, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha espresso la speranza di una conclusione positiva del conflitto: «In questi giorni si è parlato un po’ di più degli ostaggi e anche di Hamas. Speriamo che si arrivi presto a una chiusura positiva».
Le tre guerre di Israele: analisi di Sergio Della Pergola
Sergio Della Pergola ha delineato tre fronti su cui Israele è oggi attivamente coinvolto: la guerra militare, ancora in corso contro Hamas ma anche con possibili escalation in Yemen, Libano e Iran; la guerra mediatica, dove Israele appare perdente; e infine la crisi politica interna, con una possibile dissoluzione anticipata della Knesset e una fiducia popolare ridotta al 35%.
Per Della Pergola, manca un chiaro piano strategico per Gaza, e l’idea emergente di armare nuove milizie locali gazawe per contrastare Hamas rischia di ripetere gli errori del passato: Israele ha già armato Hamas contro l’ANP, e si è rivelato un errore drammatico.
Ha inoltre criticato l’esenzione degli Haredim dal servizio militare: in un momento in cui centinaia di migliaia di cittadini si arruolano, discutere sull’esenzione di decine di migliaia di ultraortodossi non è morale. Secondo lui, lo Stato di Israele, dopo 67 anni, è ancora «un magma non solidificato», e proprio la mancanza di solidarietà nazionale lo rende vulnerabile.
Della Pergola ha auspicato un’uscita dal conflitto anche a costo di compromessi: pagare un prezzo molto alto per il rilascio di tutti gli ostaggi è doloroso ma necessario. Infine, ha invitato la diaspora ebraica a un ruolo più attivo, autonomo e critico: «Non si può accettare il governo israeliano senza se e senza ma. Bisogna scendere in piazza con idee concrete.»
Mario Giro: contro la tirannia dell’emozione negativa
Mario Giro ha collocato il conflitto israeliano-palestinese in un quadro più ampio: una crisi cognitiva globale, in cui la leadership internazionale (da Trump a Putin a Netanyahu) alimenta paure anziché coesione. Ha parlato di “tirannia dell’emozione negativa” come cifra dominante del nostro tempo.
Per Giro, la guerra a Gaza non ha prospettiva né strategia d’uscita, ed è percepita da molti come una guerra contro un intero popolo. Hamas, ha spiegato, è «un attore di guerra eterna, capace di rigenerarsi come un’idra e di vincere la guerra propagandistica». Di qui l’urgenza, secondo lui, di costruire ponti con attori regionali come l’Arabia Saudita: «Israele non si fida di nessuno, ma prima o poi di qualcuno dovrà fidarsi.»
Ha inoltre criticato la tendenza del governo israeliano a respingere ogni critica come antisemitismo, ricordando che abbiamo bisogno di alleati, e «non serve dire che tutto è antisemitismo. Bisogna essere più intelligenti tatticamente.»
Sul piano palestinese, ha ammonito contro il paternalismo: non possiamo trattare i palestinesi come incapaci. Devono maturare, ma anche scegliere liberamente chi li rappresenta, anche fosse qualcuno che non piacerà a Israele.
Ha rincarato Jonathan Serra, rafforzando l’invito a una responsabilità condivisa: chi sta in Israele deve influenzare il dibattito israeliano, ma anche i palestinesi devono prendersi la responsabilità di sé stessi. Trattarli come incapaci non li aiuta a crescere. Un appello a una maturità politica bilaterale, fuori dalla logica dei vittimismi contrapposti.
Oltre la denuncia, costruire soluzioni
L’incontro ha voluto spingere a una riflessione collettiva che non si fermi alla denuncia, ma incoraggi la costruzione. Come ha ricordato Davide Assael, non è il tempo della rassegnazione o dell’odio reciproco, ma della responsabilità collettiva e del pensiero lucido.
Accettare critiche legittime al governo di Israele così come ad Hamas non significa aderire a narrazioni distruttive, ma al contrario cercare soluzioni sostenibili in un contesto regionale e globale sempre più instabile. La guerra infinita è una caratteristica del nostro tempo, ma ciò non ci esime dal cercare di concluderla.