Un antidoto per sconfiggere l’antisemitismo: cultura, educazione e…intelligenza emotiva 

Eventi

di Michael Soncin
L’antisemitismo è sempre più esteso, una ramificazione cosparsa da molte varianti, tante quante il tessuto sociale che intreccia la nostra società attuale. Viene quindi spontaneo chiedersi: Qual è l’antidoto per sconfiggere l’antisemitismo? Di sicuro si tratta di un problema da arginare il cui operato fatto di dialoghi non vedrà scritta mai la parola fine. Se ne è parlato lunedì 26 luglio durante l’incontro dal titolo Cultura e Educazione: Antidoto all’ Antisemitismo, organizzato dall’Associazione Italia – Israele di Milano ed introdotto e moderato dal suo Presidente Pier Francesco Fumagalli, Dottore all’Ambrosiana.

Al dibattito sono intervenuti: Filippo del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano; Giorgio Mortara, il Vice Presidente dell’UCEI, l’Imam Yahyâ Pallavicini, Presidente del CO.RE.IS; Saul Meghnagi, Coordinatore della Commissione educazione e giovani” dell’UCEI. A concludere l’intervento è stato David Meghnagi, docente presso l’Università RomaTre, Presidente Comitato Accademico Europeo per la lotta all’antisemitismo. 

È stato un importante momento di confronto, necessario, particolarmente dopo il video a sfondo razzista e altamente discriminatorio postato dalla giovane influencer Tasnim Ali, dove la si vede in un video calpestare il suolo con sotto la scarpa disegnato il Maghen David, un gesto decisamente grave. 

Due parole: responsabilità e consapevolezza

“L’incessante affiorare di un antisemitismo sempre più evidente – afferma l’assessore Del Corno – ci porta ad attuare una riflessione congiunta ma anche un’azione. Ed è interessante come cultura e educazione possano essere dei validi strumenti per affrontarlo, perché ci permettono di discernere ciò che è vero da ciò che è falso, riuscendo ad incontrare la materiale concretezza della verità storica”.

Perché appunto come spiega Del Corno, prendendo ispirazione dal titolo della conferenza ed in particolare alla parola antidoto, l’antisemitismo è una sorta di sostanza velenosa che viene frequentemente inoculata nel genere umano attraverso azioni basate sulla menzogna, sull’incitamento all’odio che nasce sempre dall’identificazione di un soggetto nemico. Un veleno che secondo lui bisogna contrastare quando è già in circolo dove la barriera della cultura e dell’educazione costituiscono una funzione fondante. “D’altronde la falsità è sempre stata lo strumento con cui il veleno dell’antisemitismo è circolato, com’è il caso dei Protocolli dei Savi di Sion, una mossa che ha maggiorente diffuso l’odio verso l’ebreo nelle società occidentali”. 

Consapevolezza e responsabilità, sono le due parole citate dall’Assessore alla Cultura del Comune di Milano in connessione al concetto di cultura e educazione come fondamenta per combattere l’odio ebraico. “Consapevolezza, una necessità, un carattere da acquisire – attuabile percorrendo la strada del sapere – per una maggiore concretezza delle verità storiche che ci permettono di discernere i fatti. Responsabilità sul modo in cui si esprimono delle opinioni e delle idee, altrimenti è troppo facile rivendicare il diritto della libertà d’espressione non assumendosi la responsabilità di ciò che quelle idee possono generare”, ha commentato Del Corno.

Cultura ed educazione contro la mistificazione dei simboli religiosi

“Mettere in discussione o volgarizzare i simboli di un’altra comunità religiosa come pretesto per creare una conflittualità, una discriminazione, una derisione o addirittura una violenza, sono atti inaccettabili per qualsiasi comunità religiosa”, ha affermato l’Imam Yahyâ Pallavicini. 

“Quando si prende come pretesto – continua Pallavicini – il simbolo della Stella di David per calpestare l’identità di un popolo, il simbolo di una religione e anche di una bandiera come lo Stato d’Israele, stiamo allora in qualche modo veicolando le premesse anticulturali per creare una campagna di discriminazione ed odio. Si mistificano da un lato i simboli religiosi, dall’altro le proprie identità d’appartenenza – assieme riunificate nel patriarca Abramo. Lo abbiamo visto con i video che sono anche alla base di questo convegno”. 

Qual è la soluzione? Qual è l’antidoto per l’Imam Pallavicini? “L’unico antidoto – continua ancora Pallavicini  – a questa complessa narrativa artefatta dei fondamentalisti, dei terroristi, dei violenti e dei propagatori di odio è soltanto il coraggio di un’alleanza seria e approfondita tra persone di fede, di cultura che sappiano fare un doppio livello di educazione, cioè quella più approfondita per ribaltare l’analfabetismo religioso, promuovere il pluralismo, il dialogo, la collaborazione interreligiosa, ma allo stesso tempo l’educazione al senso di civiltà nel senso più profondo, che riguarda il rispetto dell’identità e dei valori di ogni persona come modello civico imprescindibile”. 

Le nuove forme di antisemitismo sono preoccupanti

Siamo profondamente preoccupati per le nuove forme di antisemitismo rafforzatesi in secoli di pregiudizio e intolleranza. L’Italia non ha elaborato a fondo quello che è successo durante il ‘900 e serve oggi una riflessione più ampia e mirata. Sappiamo bene cosa sta succedendo e cosa è successo in Medio Oriente e in che modo i sentimenti profondamenti antisemiti si sono radicati” ha evidenziato Giorgio Mortara nel corso della sua analisi.

Su questo l’UCEI – come lui ricorda – è da tempo impegnata con il MIUR e con numerose associazioni laiche e religiose per promuovere la lotta contro il razzismo e l’antisemitismo che minano la convivenza civile e che hanno preso un nuovo slancio sfruttando i social e il mondo del web in generale. Mortara è dell’idea che se da una parte è utile mettere a punto sistemi di controllo delle notizie, in modo da eliminare i contenuti falsi o antiscientifici, in contrasto con le leggi vigenti; dall’altra è necessario che siano le informazioni corrette ad assumere maggiore valenza. 

“È importante – ribadisce Mortara – creare delle occasioni di dialogo con le autorità, con le associazioni, con le altre confessioni religiose, non solo per far cultura, operando su fini comuni, ma anche per creare una rete di sicurezza che nei momenti bui e di crisi possa contribuire alla difesa degli ebrei che vivono in Italia”.

Egli non ha mancato inoltre di sottolineare l’importante azione svolta dai vari enti a Milano, molto spesso in collaborazione con il Comune. Associazioni come il CDEC – Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, il Memoriale della Shoah, il Giardino dei Giusti, l’Associazione Figli della Shoah, in collaborazione con il MIUR nelle scuole e per le scuole, con corsi di formazione per docenti ed eventi rivolti agli allievi, attività che si sono svolte anche nel periodo più buio della pandemia, ricorrendo all’utilizzo della rete. 

La conoscenza è sterile senza la componente emotiva 

Tornando a parlare ancora della parola responsabilità Saul Meghnagi ha ricordato il libro del filosofo Hans Jonas intitolato per l’appunto Il principio di responsabilità. “Jonas rientrato in Germania alla ricerca di sua madre, venne a sapere che era stata uccisa ad Auschwitz e proprio lì davanti al campo di concentramento si mise a riflettere. Proprio in quel momento, poco dopo un’ora qualcuno gli chiese cosa gli venisse in mente aldilà del dolore di fronte a tutto questo.

La sua risposta è stata: “Come faremo a spiegare ai giovani che gli uomini devono avere fiducia di uno o dell’altro se degli uomini sono stati capace di tutto questo?”. Una risposta molto importante”. Una premessa che Saul Meghnagi ha fatto per sottolineare che cultura e educazione possono certamente fare molto, ma esse da sole non sono sufficienti. Cosa altro è necessario? “Un mio maestro diceva che quando si costruisce un progetto educativo bisogna saper distinguere tra gli obiettivi cognitivi che riguardano la conoscenza, il sapere e tra obiettivi affettivo-disposizionali, cioè le emozioni, gli atteggiamenti, i modi con cui le persone si pongono con l’altro”. E ben sappiamo come spiega lo psicologo americano David Goleman che l’intelligenza emotiva gioca un ruolo fondamentale nelle interrelazioni. 

“Una delle condizioni per cui cultura ed educazione si configurino come antidoto all’antisemitismo – prosegue Meghnagi – è che la Costituzione Italiana nei suoi fondamenti di valore sia un testo fondamentale e riconosciuto, ma anche che la cultura civile sia un elemento complementare rispetto alla cultura religiosa, in modo tale che entrambe possano contribuire alla costruzione di una società in cui le diversità siano accettate e riconosciute come elemento di arricchimento e non come limite rispetto all’affermazione e alla supremazia dell’uno contro l’altro”.

Un antisemitismo che muta

“Negli anni ’80 – spiega David Meghnagi – l’odio antisraeliano e antisionista si intrecciava con l’antisemitismo, però la memoria europea dei terribili avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale fungeva parzialmente da antidoto. Un antidoto presente nella cultura più ampia del paese che si richiamava ai valori della costituzione, fatto di un linguaggio comune, che oggi rischia di essere smarrito anche a causa dei cambiamenti profondi che ha conosciuto la società italiana e la società europea”.

David Meghnagi nel corso della sua analisi mette in rilievo un dato molto importante: “L’antisemitismo di matrice antisionista nell’Europa degli anni ’80 era importato politicamente, oggi invece costituisce il vissuto di una parte consistente della comunità di cittadini che vivono in Europa. Cittadini che magari hanno delle origini di terza generazione legata ai processi migratori 

(incluso tutto ciò che concerne in termini di sofferenza e di integrazione) e che hanno importato con sé nel nostro paese i pregiudizi politici e religiosi contro gli ebrei, utilizzati come costruzione identitaria di protesta rispetto ad una percepita integrazione non adeguata nel nostro continente”. 

Ciò che è assurdo come spiega David Meghnagi è che in alcuni settori – non solo di sinistra – ma anche dell’immigrazione questa forma di antisemitismo viene declinata come forma di protesta anticoloniale, antimperialista e antirazzista, questo è un problema serio perché coinvolge il vissuto anche dei giovani. “Come fa la cultura democratica di sinistra ad accettare supinamente o essere subalterna a certe ideologie di intolleranza religiosa rivolte contro gli ebrei, declinate in termini politico-religiosi senza porre un limite? Come affrontiamo tutto questo?”. 

Egli ricorda che il Concilio Vaticano II ha fornito un terreno comune condiviso tra ebrei e cristiani e laici per la lotta contro il pregiudizio di matrice religiosa cattolica. “Manca però qualcosa di analogo nel rapporto con l’Islam. Pallavicini rappresenta una minoranza nel panorama italiano, rispetto alla fratellanza mussulmana che ha trovato una rappresentanza politica anche dentro l’attuale classe della città di Milano. Magari facessero tutti dei discorsi come lui”. 

 

(Nella foto in alto: Giorgio Mortara)