Letizia Moratti e Giuliano Pisapia a confronto

Taccuino

In vista del ballotaggio di domenica prossima, 29 maggio, riproponiamo qui le interviste realizzate qualche mese fa da Fiona Diwan e Davide Romano ai due candidati sindaco, Letizia Moratti e Giuliano Pisapia.  Progetti e iniziative per il futuro, il rapporto con Israele, la questione del razzismo e della xenofobia: sono alcuni dei temi su cui si sono espressi Moratti e Pisapia.

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Letizia Moratti
Gli ebrei, presenza irrinunciabile
I rapporti con la Comunità di Milano, con Israele e il gemellaggio con Tel Aviv. E poi i progetti tecnologici, didattici e culturali. Tra futuro e passate memorie familiari, parla Letizia Moratti, sindaco di Milano (Fiona Diwan)

Signora Moratti, che rapporti ha con la Comunità di Milano e con il mondo ebraico italiano?
Trovo la Comunità milanese ben inserita e innervata nel tessuto della città, una presenza che arricchisce la nostra storia, grazie anche alla Scuola ebraica, che accoglie la tradizione illuminista di Milano senza tuttavia rinunciare al proprio carattere identitario. Non posso dimenticare nemmeno che la nostra città, con il Centro di via Unione, fu il cuore della diaspora europea del dopoguerra e che qui confluivano tutti gli ebrei che usciti dai campi di concentramento cercavano parenti e famiglie. Nel libro della storia della nostra città, questa è una pagina fondamentale, per fare di Milano una città aperta, capace di accogliere e offrire occasioni di incontro. Oggi il mio legame con l’ebraismo milanese si è fatto ancora più stretto: ho portato avanti due iniziative per me fondamentali, una delle quali giaceva da anni nei cassetti. Parlo del Binario 21, il Memoriale della Shoà. E poi del Giardino dei Giusti, dove ogni anno piantiamo alberi per i Giusti di ogni luogo e nazionalità. Infine, sono finalmente riuscita a far votare in Giunta, in favore dell’Associazione per l’ebraismo progressivo, la concessione per diritto d’uso per 99 anni degli spazi di sepoltura al Cimitero Maggiore.

Che rapporti ha con Israele e con le sue istituzioni?
Di grande e intensa collaborazione. E questo è avvenuto in tutti i ruoli che ho ricoperto, sia da imprenditore che poi da politico. E in molti ambiti: scientifico, economico, culturale. Ho firmato accordi con Ehud Olmert, col Technion e con le università di Haifa e di Tel Aviv, col Weizmann Institute. Accordi per la creazione di fondi, laboratori e progetti congiunti in fatto di medicina, biotecnologie, scienze umane. Il tutto per la messa a fattor comune dell’eccellenza dei due Paesi. Dopo gli Stati Uniti, Israele è il secondo Paese con cui abbiamo firmato il maggior numero di accordi. Anche, per esempio, in fatto di didattica della Shoà. Un metodo molto avanti, coinvolgente e esperienziale, perfetto per comunicare quel terribile capitolo di storia: si partiva dalla memoria dei bambini e si cercava di insegnare agli insegnanti come acquisire un metodo di approccio giusto. È naturale quindi che oggi io abbia intessuto forti legami di amicizia con israeliani e ebrei.

È mai stata in Israele?
Una decina di volte ed è Yad Vashem che mi ha colpito di più. Ammiro molto il presidente Shimon Peres, un uomo di ampia visione, aperto: con il suo Centro per la pace abbiamo iniziato a pensare una collaborazione sulle nanotecnologie applicate all’acqua, per renderla potabile. Stiamo anche portando avanti, -insieme con la Banca Mondiale, Israele, ANP e Giordania- il progetto Red Sea-Dead Sea per collegare il Mar Rosso al Mar Morto.

Non è preoccupata da forme di razzismo sempre più violente oggi in Italia?
Sì, lo sono. Ma bisogna vigilare e tenere alta la guardia. Credo che Milano non abbia mai perso la sua capacità di accogliere. Qui vivono 160 etnie diverse. Cerchiamo di favorire incontri e contatti, perché solo con la conoscenza reciproca si possono vincere diffidenze, ostilità e indifferenza. Sto lavorando per dare a ciascuno spazi di incontro affinché mantenga la propria identità e la offra alla città. Rispetto all’ebraismo e a Israele non abbiamo forse organizzato a Palazzo Reale quella splendida mostra che è stata Omanut?

Non crede che per sconfiggere il razzismo si debba partire dall’educazione scolastica?
Certamente. È qui che avviene la fusione, l’incontro con l’altro, e che si forma il senso di appartenenza. Ci sono diversi modelli di scuola: quello anglosassone che tende a separare le identità, quello francese che vuole integrarle tutte e noi italiani che adottiamo un modello misto, che nel contempo integra e salvaguarda le identità. Questo modello a mio avviso è il più convincente ed efficace.

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Giuliano Pisapia
Per una città che dialoga con tutti
Il razzismo, la crescente xenofobia e la libertà di culto. Il dialogo con Israele, con la Comunità ebraica e con le altre minoranze religiose. Parla il candidato sindaco, Giuliano Pisapia (Davide Romano)

Qual è il suo approccio personale al mondo ebraico? E quali relazioni e sensibilità ha sviluppato con esso?
Ho tantissimi amici ebrei, praticanti e no. Mi ha sempre colpito la loro profonda intelligenza, unita a una grande sensibilità ai problemi concreti.

In che modo pensa che Milano e la comunità ebraica possano dialogare fruttuosamente? Ha in mente dei progetti precisi?
Il dialogo con i cittadini è uno degli obiettivi della mia azione politica. Milano deve essere un luogo di elaborazione critica per costruire una città che torni ad avere un ruolo-guida sulla scena nazionale e internazionale. Alla comunità ebraica quindi dico: aiutatemi a individuare i nodi da sciogliere. Solo affrontando insieme i problemi si possono dare risposte diverse a esigenze diverse, nel rispetto delle diversità culturali e religiose di tutti. Io vedo Milano come laboratorio di quella integrazione che dovrebbe ormai essere realtà quotidiana. Nel centro come nelle periferie.

Negli scorsi anni Milano ha ospitato cortei e convegni di neo-fascisti. Nella nostra città esiste poi una rete di circoli, dove costoro si ritrovano, che vanno dalle palestre ai bar, passando per altri tipi di negozi. Come pensa di affrontare questa problematica?
Da antifascista, provo orrore per i rigurgiti neo-fascisti che macchiano la vita cittadina. E mi allarma ancor più vedere croci celtiche e svastiche su magliette e tatuaggi esibiti da giovani che forse nemmeno sanno quali tragedie si siano compiute nel loro nome. Da uomo di sinistra trovo essenziale ricordare che i nostri padri hanno fatto la Resistenza e sono morti per la libertà di tutti. Questo dobbiamo insegnare ai ragazzi, a cominciare dalla scuola. E questa sarà una delle mie prime preoccupazioni da sindaco di questa città.

Un’altra questione dibattuta nella nostra città è quella della libertà religiosa. Diverse minoranze lamentano una discriminazione in merito ai luoghi di culto: gli evangelici per primi, che reclamano uno spazio per loro. Discussa è anche la questione della moschea, che fa paura a tanti milanesi. Come pensa di affrontare queste questioni?
È un diritto costituzionale dare la possibilità di professare liberamente la propria religione. Vale per tutte le comunità religiose. Se uno non ha luoghi di culto come fa? È un discorso di buon senso: in ogni quartiere si eviterebbe quella scena poco dignitosa, per i milanesi e per i musulmani, di gente che prega negli scantinati o in mezzo alla strada. Sono per la costruzione di un grande luogo di culto, ma anche per spazi più piccoli che permettano a chi abita in un quartiere, di pregare liberamente. Ovviamente tutto questo nel rispetto della legalità. A diritti corrispondono doveri. Non solo per i musulmani. Ancora una volta, vale per tutti e per tutte le religioni. Credo anche che sarebbe molto utile, per un confronto tra fedi diverse e per creare quel necessario reciproco rispetto tra credenti e non credenti, istituire un centro di dialogo e di approfondimento sulla storia delle religioni.

È mai stato in Israele? Che impressione ne ha tratto? Come pensa di sviluppare ulteriormente i rapporti della nostra città con lo Stato ebraico?
In Israele sono stato più volte e ne ho avuto un grande contraccolpo emotivo. Così come più volte sono stato in Palestina. Credo in due popoli e due Stati che vivano in pace nel rispetto reciproco. Da Gerusalemme a Nazareth; dal mar Morto al mar Rosso; dal deserto a paesi e città d’arte e di cultura, siamo in presenza di luoghi bellissimi e che creano grandi emozioni, anche nella loro drammaticità. Una terra che trasuda storia, tradizioni e contraddizioni. Milano deve tornare a far politica estera di alto livello e i rapporti -politici ed economici-, con un paese importante come Israele non potranno che farsi sempre più stretti. La pace nasce anche dalla conoscenza e dal rispetto reciproco.