Una vera amica di Israele, nonostante tutto

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Da ieri pomeriggio, quando la notizia della scomparsa è stata diffusa dai figli Carol e Mark, ovunque sul web sono ricorse immagini, articoli, dichiarazioni sulla Lady di Ferro. Ad 87 anni, malata da tempo, Margareth Thatcher è stata protagonista indiscussa e controversa della politica britannica ed occidentale per tutti gli anni ’80.
Della sua lunga e dibattuta carriera politica – cominciata negli anni ’50  e culminata con la carica di primo ministro dal 1979 al 1990 – vale la pena ricordare però forse un  aspetto poco noto, poco trattato come i suoi legami con lo Stato di Israele.

Le cronache del tempo, le analisi storiche ora ci ricordano, infatti, innanzitutto la fermezza, talvolta la durezza di Margareth Thatcher sulle questioni del conflitto mediorientale, la sua ostilità manifesta nei confronti delle politiche di Menachen Begin e Itzak Shamir.
Eppure ieri, poco dopo la notizia della scomparsa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non ha esitato a definirla “una vera amica del popolo ebraico e di Israele”.

Nel dicembre dell’1981, nel corso di un discorso dinanzi alla commissione di deputati di ebrei britannici, Margareth Thatcher condannò con forza la decisione di Israele di annettere il Golan, e per Begin ebbe parole assai poco lusinghiere – lo definì “uno che potrebbe uccidere l’intero processo (di pace)”. Più tardi, sempre di Begin, disse che fu l’uomo “più difficile” che incontrò nei sui primi anni da primo ministro.

L’incapacità di trovare una soluzione al conflitto arabo-israeliano le faceva temere per Israele come per gli interessi occidentali. Era convinta che i sovietici sfruttassero il loro sostegno ai palestinesi per rafforzare la propria area di influenza nel mondo arabo ai danni dell’occidente.  Anche per questo fu una ferma fautrice della soluzione diplomatica, per la quale contava su Shimon Peres e il re di Giordania Hussein. Come Peres, peraltro, era convinta che il conflitto israelo-palestinese si sarebbe risolto nell’ambito di una federazione con la Giordania, più che attraverso la nascita di uno Stato palestinese indipendente. Lo scoppio della prima intifada nel dicembre dell’87, la rottura di Hussein con i palestinesi della Cisgiordania e la strada aperta che allora l’Olp si trovò di fronte – con le conseguenze che tutti conosciamo sui negoziati di pace – ci mostrano a distanza di quasi 25 anni, che, forse, proprio quella sarebbe stata la strada da intraprendere.  

Ma al di là della politica, i discorsi, le memorie di Margareth Thatcher rivelano oggi più che mai un sentimento di reale ammirazione e amicizia nei confronti di Israele – al punto che critiche e posizioni anche dure, appaiono quasi come una logica conseguenza.

Margareth Thatcher ha sempre visto Israele come una democrazia occidentale, circondata da autocrazie.  “La costruzione politica ed economica di Israele, contro ogni probabilità e acerrimi nemici – ha ricordato – è stata una delle saghe eroiche del nostro tempo. Hanno davvero fatto fiorire il deserto”.

La Thatcher visitò Israele nel 1965, nel 1976 e poi ancora nel maggio del 1986 in veste ufficiale di primo ministro – la prima per un premier britannico, come ricorda, fra gli altri, un bell’articolo uscito su Haaretz.
In quell’occasione, durante la cena offerta da Shimon Peres, Margareth Thatcher espresse parole che tutt’oggi meritano di essere ricordate – non foss’altro perché al fondo, richiamano il discorso che poche settimane fa il presidente americano Barack Obama ha tenuto di fronte ai giovani dell’università di Gerusalemme: “Per i suoi elevati standards il mondo si attende da Israele più di quel che si attende dagli altri paesi; ed è per questo che quando parla di salvaguardia e tutela dei diritti degli arabi nei Territori, guarda ad Israele. Perchè ciò è in accordo con i principi che Israele rispetta e chiede vengano rispettati ovunque. Un futuro in cui due classi di persone coesistono con diritti e standard di vita diversi, non è un futuro che Israele può accettare né un futuro che la reputazione di Israele può permettersi di accettare”.