L’acqua della benevolenza

di Daniele Cohenca

Ogni essere umano sa quanto sia importante l’acqua per la sopravvivenza; ancora di più ne sono consapevoli coloro che lavorano la terra.

Gli egiziani adoravano il Nilo. Un’ingegnosa rete di canali di irrigazione che serviva tutte le fattorie della regione, e che rendeva gli agricoltori indipendenti dai capricci del tempo. Non avevano bisogno di pregare per l’acqua, poiché questo bene fu messo loro a disposizione senza che nemmeno ne facessero richiesta.

E fino a poco tempo fa, quando sono riusciti ad inquinare irreparabilmente l’intero sistema idrico del fiume, il Nilo fino al suo delta era la linfa vitale dell’economia egiziana che garantiva stabili e continui ritorni economici senza bisogno di grandi investimenti.

La ricchezza per Israele è un concetto diverso: Israele è la “terra verso cui D-o ha un occhio tutto l’anno (Deuteronomio 11.12)”. In una terra originalmente siccitosa o soggetta ad inondazioni, priva di piogge regolari e stagionali, la dimensione del raccolto è direttamente proporzionale alla qualità e quantità di pioggia caduta. Senza un sistema idrico naturale, senza fiumi abbondanti che irrigano i campi, in Israele ogni agricoltore sa che l’acqua non è a disposizione in maniera abbondante e gratuita e che quindi dovrà pregare D-o per la pioggia, diventando automaticamente consapevole della Sua imminenza.

 

“Ogni figlio che nasce, buttatelo nel Nilo (Decreto del faraone contro gli ebrei, Esodo 01.22)”.

Il decreto omicida degli antichi Egizi può essere inteso come un tentativo di imporre la loro visione atea del mondo su di un popolo che ha invece un personale e quotidiano rapporto con D-o; “Gettare gli ebrei nel Nilo” — significa immergerli nell’atavico sistema egiziano ed è l’equivalente morale di negare ciò che non è razionale, riducendo tutta la vita a una semplice routine.

I nostri padri fondatori, Ya’acov ed i suoi figli, scesero in Egitto, portando con sé la conoscenza di D-o e il bisogno di pregare per Lui costantemente per ogni piccolo o grande bisogno quotidiano. Fu solo dopo la loro scomparsa, quando gli ebrei diventarono spiritualmente vulnerabili, che gli egiziani poterono concepire il loro malvagio stratagemma.

Invece fu proprio grazie ai “servizi” di Moshè, che era stato cresciuto da bambino nel palazzo del Faraone e istruito alla cultura egiziana “immerso nel Nilo”, che visse in prima persona e riuscì a respingere tutto ciò che l’Egitto rappresentava, che gli ebrei poterono sospendere la loro pausa dall’immoralità dell’esilio.

La vita è una discesa quotidiana in “Egitto,” un mondo che grida a piena voce che non c’è nulla di superiore alla natura o al self-made, mentre il desiderio anche inconscio di ogni ebreo è di ritornare a “la terra di Israele,” che rappresenta una costante consapevolezza di D-o ed il bisogno quotidiano di connettersi con Lui.