Devar Torà / Una terra su cui D-o pone costantemente lo sguardo

di Ufficio Rabbinico di Milano

14 Gennaio 2012 – 19 Tevèt 5772

Devar Torà

Nessuno è legato al clima come lo sono i contadini: per loro il ciclo delle stagioni vuol  dire sopravvivenza. Non era così per gli egiziani; nonostante la regione non godesse di un clima particolarmente favorevole, avevano escogitato un eccellente sistema di irrigazione sfruttando le acque del Nilo che in questa maniera diventò in breve tempo un idolo. Accade esattamente l’opposto per la terra di Israele, in quanto leggiamo (Devarìm 11:12): “Una terra su cui D-o pone costantemente lo sguardo” il che include il messaggio della totale immanenza della forza divina.  L’ordine del faraone di “gettare i bambini nel Nilo” significava immergere gli ebrei in questa atavica realtà imposta dall’idolatria egiziana, spogliando la natura di qualsiasi intervento divino e delegando tutto a una routine automatica e a un mero rapporto di causa-effetto. Il desiderio costante degli ebrei di ritornare alla terra di Israele è fortemente legato al bisogno di riconoscere la supremazia divina e slegarsi dalla condizione di totale trascendenza di D-o nella quale si trova oggi la maggior parte del mondo.

Halakhà

La melakhà di bishùl beshabbàt (cucinare) comporta il divieto di mettere sul fuoco qualsiasi prodotto alimentare e secondo i differenti posekìm dello Shulchàn Arùkh si rende vietato: cucinare (con acqua), cuocere in forno, friggere, grigliare, affumicare, riscaldare bevande e qualsiasi operazione che comporti rendere il prodotto commestibile o renderlo migliore come ad esempio cuocere le mele o le pere.