Parasha

Parashat Shofetim. L’umiltà è una virtù dei veri leader

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
A una cena per celebrare il lavoro di un leader comunale, un oratore ospite rese omaggio alle sue numerose qualità: la sua dedizione, il duro lavoro e la lungimiranza. Mentre si sedeva, il leader si chinò e disse: “Hai dimenticato di menzionare una cosa”. “Cosa?” chiese l’oratore. Il leader rispose: “La mia umiltà“.

Proprio così. I grandi leader hanno molte qualità, ma l’umiltà di solito non è una di queste. Con rare eccezioni tendono ad essere ambiziosi, con un alto grado di autostima. Si aspettano di essere obbediti, onorati, rispettati, persino temuti. Possono indossare la loro superiorità senza sforzo – Eleanor Roosevelt lo definì “indossare una corona invisibile” – ma c’è una differenza tra ciò e l’umiltà.

Questo aspetto rende una disposizione della parashà di questa settimana inaspettato e potente. La Torà parla di un re. Sapendo, come disse Lord Acton (storico politico britannico 1834-1902) che “il potere tende a corrompere e il potere assoluto, corrompe assolutamente”, specifica tre tentazioni a cui era esposto un re nei tempi antichi. Un re, dice, non dovrebbe accumulare molti cavalli, mogli o ricchezze: le tre trappole in cui, secoli dopo, alla fine cadde re Salomone. Poi aggiunge: Quando [il re] si sarà insediato sul suo trono regale, dovrà scrivere per sé stesso su un rotolo una copia di questa Torà… Deve rimanere con lui, ed egli deve leggerla tutti i giorni della sua vita in modo che possa impara ad avere soggezione del Signore suo Dio e seguire attentamente tutte le parole di questa legge e di questi decreti e non sentirsi superiore ai suoi fratelli o deviare dalla legge a destra o a sinistra. Allora lui e la sua discendenza regneranno a lungo in mezzo a Israele. (Deuteronomio 17:18-20)

Se a un re, che tutti sono tenuti ad onorare, è comandato di essere umile – “non sentirsi superiore ai suoi fratelli” – tanto più lo è per noi. Mosè, il più grande leader che il popolo ebraico abbia mai avuto, era “molto umile, più di chiunque altro sulla faccia della terra” (Numeri 12:3). Era grande perché era umile o umile perché era grande? Ad ogni modo, come disse Rabbi Johanan di Dio stesso: “Ovunque trovi la Sua grandezza, là trovi la Sua umiltà”.

Questa è una delle vere rivoluzioni che l’ebraismo ha portato nella storia della spiritualità. L’idea che un re nel mondo antico dovesse essere umile sarebbe sembrata farsesca. Possiamo ancora oggi vedere, nelle rovine e nelle reliquie della Mesopotamia e dell’Egitto, una serie quasi infinita di progetti di vanità creati dai governanti in onore di se stessi. Ramses II fece collocare quattro statue di sé e due della regina Nefertiti sulla facciata del tempio di Abu Simbel, a trentatré piedi di altezza, sono quasi il doppio dell’altezza della statua di Lincoln a Washington.

Aristotele non avrebbe compreso l’idea che l’umiltà è una virtù. Per lui il megalopsychos, l’uomo dalla grande anima, era un aristocratico consapevole della sua superiorità rispetto alla massa dell’umanità. L’umiltà, insieme all’obbedienza, alla servitù e all’autoumiliazione, erano per gli ordini inferiori, coloro che erano nati non per governare ma per essere governati. L’idea che un re avrebbe dovuto essere umile era un’idea radicalmente nuova introdotta dal giudaismo e successivamente adottata dal cristianesimo.

Questo è un chiaro esempio di come la spiritualità faccia la differenza nel modo in cui agiamo, sentiamo e pensiamo. Credere che esista un Dio alla cui presenza ci troviamo significa che non siamo il centro del nostro mondo. Dio è. “Io sono polvere e cenere”, disse Abramo, il padre della fede. “Chi sono?” disse Mosè, il più grande dei profeti. Questo non li rendeva servili o adulatori. Fu proprio nel momento in cui Abramo si definì polvere e cenere, che sfidò Dio sulla giustizia della Sua proposta punizione di Sodoma e delle città della pianura. Fu Mosè, il più umile degli uomini, che esortò Dio a perdonare il popolo, e in caso contrario: “Cancellami dal libro che hai scritto”. Questi erano tra gli spiriti più audaci che l’umanità abbia mai prodotto.

C’è una differenza fondamentale tra due parole in ebraico: anava, “umiltà”, e shiflut, “autoumiliazione”. Sono così diversi che Maimonide definì l’umiltà come la via di mezzo tra lo shiflut e l’orgoglio. L’umiltà non è bassa autostima. Questo è shiflut. Umiltà significa che sei abbastanza sicuro da non aver bisogno di essere rassicurato dagli altri. Significa che non devi metterti alla prova dimostrando di essere più intelligente, più acuto, più dotato o di maggior successo degli altri. Sei sicuro perché vivi nell’amore di Dio. Ha fiducia in te anche se tu non c’è l’hai in te stesso. Non hai bisogno di confrontarti con gli altri. Tu hai il tuo ruolo, loro hanno il proprio, e questo ti incoraggia a cooperare non a competere.

Ciò significa che puoi vedere altre persone e apprezzarle per quello che sono. Non sono solo una serie di specchi in cui guardi solo per vedere il tuo riflesso. Sicuro di te stesso puoi valorizzare gli altri. Fiducioso nella tua identità puoi valorizzare le persone che non ti piacciono. L’umiltà è l’Io rivolto verso l’esterno. È la comprensione che “Non si tratta di te”.

Già nel 1979, il compianto Christopher Lasch (storico e sociologo statunitense 1932-1994) pubblicò un libro intitolato “La cultura del narcisismo”, sottotitolato, “La vita americana in un’epoca di aspettative ridotte”. È stata un’opera profetica. In esso sosteneva che il crollo della famiglia, della comunità e della fede ci aveva lasciato fondamentalmente insicuri, privati ​​dei tradizionali supporti di identità e valore. Non è vissuto abbastanza per vedere l’età del selfie, del profilo Facebook, delle griffe indossate e delle tante altre forme di “pubblicità per me stesso”, ma non se ne sarebbe stupito. Il narcisismo, sosteneva, è una forma di insicurezza, che necessita di costanti rassicurazioni e regolari iniezioni di autostima. Non è, molto semplicemente, il modo migliore di vivere.

A volte penso che il narcisismo e la perdita della fede religiosa vadano di pari passo. Quando perdiamo la fede in Dio, ciò che rimane al centro della coscienza è il sé. Non è un caso che il più grande degli atei moderni, Nietzsche, sia stato l’uomo che vedeva nell’umiltà un vizio, non una virtù. Lo ha descritto come la vendetta dei deboli contro i forti. Né è casuale che una delle sue ultime opere fosse intitolata “Perché sono così intelligente”.

Non devi essere religioso per capire l’importanza dell’umiltà. Nel 2014 l’Harvard Business Review ha pubblicato i risultati di un sondaggio che mostrava che “I migliori leader sono leader umili”. Imparano dalle critiche. Sono abbastanza fiduciosi da dare potere agli altri e lodare i loro contributi. Prendono rischi personali per il bene superiore. Ispirano lealtà e un forte spirito di squadra. E ciò che vale per i leader vale per ognuno di noi come coniugi, genitori, colleghi di lavoro, membri di comunità e amici.

Una delle persone più umili che abbia mai incontrato è stato il defunto Rebbe Lubavitch, Menachem Mendel Schneerson. Non c’era niente di umiliante in lui. Si comportava con tranquilla dignità. Era sicuro di sé e aveva un portamento quasi regale. Ma quando eri solo con lui, ti faceva sentire la persona più importante nella stanza. È stato un regalo straordinario. Era “regalità senza corona”. Era “la grandezza in borghese”. Mi ha insegnato che l’umiltà non è pensare di essere piccoli. È pensare che le altre persone abbiano la grandezza dentro di loro.

Ezra Taft Benson (agricoltore americano, funzionario governativo e leader religioso 1899-1994) disse che “l’orgoglio si preoccupa di chi ha ragione; l’umiltà si occupa di ciò che è giusto”. Servire Dio nell’amore, diceva Maimonide, è fare ciò che è veramente giusto perché è veramente così e per nessun altro motivo. L’amore è altruista. Il perdono è disinteressato. Così è l’altruismo.

Quando mettiamo il sé al centro del nostro universo, alla fine trasformiamo tutti e tutto in un mezzo per i nostri fini. Questo sminuisce, svaluta noi stessi. Umiltà significa vivere alla luce di ciò che è più grande di me. Quando Dio è al centro della nostra vita, ci apriamo alla gloria del creato e alla bellezza delle altre persone. Più piccolo è il sé, più ampio è il raggio del nostro mondo.

Di rav Jonathan Sacks zzl