Festival/«Lo Shabbat è come la musica, ci vogliono impegno e passione»

di Ilaria Myr

Capelli lunghi, occhi spalancati e un sorriso ironico e aperto, potrebbe sembrare a metà tra un guru e uno scienziato pazzo, un tipo comunque originale e creativo. La kippà sempre sulla testa ci dice però che è un ebreo osservante. Ma sono soprattutto le sue attività e le conferenze – fra cui quella che terrà al prossimo Festival di Cultura Ebraica a Milano e quella tenuta al Moked di Milano Marittima -, a far capire lo spessore di quello che è diventato un personaggio di spicco dell’ebraismo mondiale. Parliamo di Clive Lawton, lo studioso inglese, ricercatore e insegnante presso il London Jewish Cultural Centre, e cofondatore di Limmud, organizzazione che dà vita alla conferenza annuale per ebrei di tutto il mondo e di tutte le correnti. Esperto conoscitore delle diverse forme di ebraismo sparse sul pianeta, sarà uno dei tanti nomi internazionali invitati al primo Festival Internazionale di Cultura Ebraica (a Milano, 28 settembre-1 ottobre), dedicato al tema dello Shabbat. A Lawton abbiamo chiesto di spiegarci qual è la sua visione di questo giorno, così importante per l’identità ebraica.

Che significato ha per lei lo Shabbat? E soprattutto, come lo vive?

Cerco di essere abbastanza attento alle regole, che considero come un programma organico e coerente più che come una lista di proibizioni. Se si evitano tutte le cose che la Halachà proibisce, allora rimangono solo poche cose che si possono fare durante lo Shabbat: cantare, camminare, mangiare, giocare, pregare, dormire, ballare, parlare, leggere, imparare, e via di seguito. Ma tutte queste sono attività per nulla secondarie e molto importanti per mantenere uno stato di salute, un vero equilibrio. Inoltre, durante tutta la settimana, riduciamo al massimo il tempo per le azioni più “sane”, perché troppo sottoposti alla pressione di tutti gli altri aspetti più concretistici. Shabbat è il tempo per riequilibrare: un tempo per il mio D-o, la mia comunità, la mia famiglia e me stesso. Meraviglioso!

Pensa che lo Shabbat sia un giorno di riposo tout court o, invece, un giorno in cui finalmente si può fare tutto il resto, cioè tutto ciò che non abbiamo il tempo di svolgere (ad esempio, stare in famiglia, studiare, ecc….)?

Dobbiamo pensare al concetto di “tutto-il-resto” in modo non-convenzionale, cioè come un agire senza tuttavia “fare nulla di utile”. Dobbiamo staccarci, per un solo giorno, dal concetto di utilità, di fare per avere, per entrare nel fare per essere. Bisogna smettere di cercare di manipolare il mondo per adattarlo a noi stessi. A Shabbat, una volta che le candele sono accese il venerdì sera, dovremmo vivere il mondo così come lo avremmo trovato il primo giorno della Creazione. Non è il sudore e la fatica che dovremmo evitare, ma la costruzione e la distruzione.

Passare un giorno su sette beneficiando del mondo che abbiamo costruito tutti insieme è un equilibrio ragionevole fra il fare e il godere. Stranamente, nonostante la gente abbia oggi molte più possibilità per passare il proprio tempo libero – e, quindi, più occasioni di riposare – c’è invece molta più ansia e stress. Questo accade perché pensiamo che dobbiamo fare qualcosa in ogni momento. C’è una grande arroganza umana nel lavoro: pensiamo che se non facciamo nulla, niente accadrà! Nonostante rilassarsi possa essere una parte importante dello Shabbat, in realtà esso non è tutto: Shabbat è, allo stesso tempo, un giorno di celebrazione e di riposo. Nella Torà, lo stesso Comandamento dice “Ricorda lo Shabbat”: questa azione di ricordare, richiede da noi di fare qualcosa di diverso in questo giorno. E non, invece, di incrociare le braccia e non fare nulla.

In un’epoca frenetica e sempre più tecnologica, il concetto di Shabbat può essere considerato “anacronistico”? O, invece, è un concetto che rimane “fuori dal tempo”?

No, non è anacronistico. Lo Shabbat commemora due fatti: prima di tutto, la creazione del mondo e il riposo di D-o; e poi l’Esodo dall’Egitto e il fondamentale riscatto dalla schiavitù. Per quanto riguarda il riposarsi – come fece il Creatore -, lo Shabbat è più che mai di attualità. Una volta, accendere la luce richiedeva un grande lavoro, e quindi era proibito di Shabbat. Oggi, invece, pigiamo un bottone, un semplice “click”, ed ecco la luce: oggi possiamo creare la luce senza alcuno sforzo, proprio come fece D-o! È quindi molto più importante che ci si fermi e si pensi all’enorme potere che liberiamo nell’accendere un interruttore; e che dovremmo disciplinarci a usare queste facoltà riflettendoci su, e trattenendoci dal farne uso almeno un giorno la settimana, come fece D-o. E questo per porre a noi stessi un obiettivo ben più ampio e ambizioso, quello sul senso delle cose!

Lei ha una profonda conoscenza dell’ebraismo di tutto il mondo: dalla sua esperienza, pensa che si possano evidenziare, fra le varie comunità sparse nei diversi Paesi, delle differenze nel vivere lo Shabbat?

La mia esperienza mi ha insegnato a fare attenzione a non generalizzare. Detto questo, mi sembra che gli italiani riescano a essere in contatto con alcuni aspetti più sottili della vita che, a Londra e altrove, si sono invece persi: ad esempio, passare del tempo a godere del buon cibo. L’incremento dello stress, le sempre più numerose richieste di questa nostra epoca, il disfacimento delle famiglie: tutte queste cose sono delle sfide e possono essere corrette prestando un’attenzione attiva allo Shabbat. D’altro lato, Shabbat esiste come forma di equilibrio, e non, invece, come un’entità a se stante. Il Comandamento è composto da due metà: la prima è “Sei giorni lavorerai”. Mi chiedo allora: gli ebrei italiani prendono così seriamente anche l’altra metà della Legge? È solo grazie a una settimana di contributo produttivo al mondo, che possiamo dedicarci, del tutto giustificatamente, allo Shabbat.

Quali sono le maggiori difficoltà dell’insegnare lo Shabbat e le sue proibizioni? E quali i benefici dell’osservanza di questo giorno, che dovrebbero essere maggiormente comunicati?

Dovremmo comunicare la positività di questo giorno ed essere sicuri di ricordarci sempre la coerente interezza dello Shabbat, e non solo dei suoi pezzetti separati. Tutte le persone che conosco, che hanno passato lo Shabbat con una famiglia che davvero gode di questo giorno, l’hanno trovato una bellissima esperienza, e molte hanno voluto ripeterla.

Tutti sappiamo che non si può suonare uno strumento musicale con vero piacere senza un grande impegno e un’intensa disciplina: lo stesso vale per il benessere fisico e anche per apprezzare i migliori libri, film o brani di musica. Anche il cibo più raffinato ha bisogno di un’attenzione enorme. Ignora le “proibizioni” in un gioco sportivo e non ti divertirai più come prima: verrai squalificato e non ti sarà più permesso giocare. Questo per dire che quasi tutti i traguardi importanti richiedono regole, sforzi e impegno. E anche l’idea dello Shabbat necessita una grande ispirazione.

Esso è probabilmente il più grande dono che gli ebrei hanno dato al mondo: i principi dello Shabbat hanno dato ai lavoratori il diritto di ritirarsi dal lavoro, l’idea delle vacanze pagate e dei recuperi, e forse anche delle pensioni e delle malattie retribuite. Gli antichi romani pensavano che gli ebrei fossero dei pazzi a sprecare 1/7 del loro tempo “non facendo nulla”. Ma, del resto, i Romani amavano la schiavitù – ovviamente, di tutti gli altri -.

Qual è il modo più efficace per comunicare ai giovani l’importanza dello Shabbat?

Probabilmente, lo Shabbat non è affatto per giovani! Essi conducono delle vite con poche responsabilità e hanno poca esperienza di vera pressione, eccetto quelle che noi creiamo per loro. Ma, nella misura in cui essi sentono il peso della scelta di una carriera, Shabbat diviene per loro un meraviglioso correttivo. Insegna che cos’è davvero importante, e non quello che può essere manipolato e cambiato. Esso insegna la distinzione fra il concetto di “puntuale nel tempo” e quello di “senza tempo, infinito”. Ai giovani, oppressi senza fine dalla necessità di essere in Rete o connessi, potrebbe dare un poco di respiro e soprattutto il tempo per pensare e sviluppare aspetti più profondi.

A una generazione continuamente persuasa che la realtà virtuale abbia lo stesso valore di quella reale, Shabbat ricorda che niente batte la realtà, la quale inizia con il mondo a misura di uomo. Se non abbiamo il tempo per riflettere, allora non possiamo godere di quello che abbiamo, o trovare soluzioni per migliorare: viviamo solo una routine, sforzandoci di avere sempre di più, senza sapere perché, o quale valore dare alle nostre conquiste. Non è una sorpresa che i giovani soffrano di ansia, disordini alimentari e perfino tendenze suicide, molto più delle generazioni che li hanno preceduti.

Per le famiglie giovani, Shabbat è un giorno nel quale non devono passare il tempo a portare i figli da un’attività all’altra; è invece un’occasione per fermarsi e stare con loro, senza dover comprare cose e andare in posti per far fare loro delle attività! I bambini così avranno la possibilità di giocare con i propri genitori e parlare con loro. Molti adulti oggi passano molto più tempo a fornire servizi ai loro bambini, invece che a comportarsi con loro da genitori. Shabbat cambia anche questa dinamica: fate un gioco da tavolo, fate un puzzle con loro…

Per concludere, vuole aggiungere qualcosa?

Niente da aggiungere… eccetto che il suo è un atteggiamento tipico dello Shabbat: darmi 7 domande, con l’ultima per la quale non ho niente da dire. Ben fatto!

Clive Lawton sarà ospite del prossimo Festival di Cultura Ebraica di Milano (28 settembre- 1 ottobre) domenica 29 settembre alla Società Umanitaria per l’incontro dedicato a “Il nostro Shabbat: racconti dal mondo”. Insieme a Lawton interverrannp anche Amos Luzzatto, Angelica Edna Calò Livnè  e Miriam Camerini.