Festival / Il mio Shabbat

di Benedetta Guetta

Manuel Kanah, 36 anni, nessun figlio
Ho imparato a conoscere lo Shabbat a casa Arbib: non ho mai frequentato la scuola ebraica, e la mia famiglia non celebrava questa festa, quindi lo Shabbat è stato per me una scoperta dell’età adulta.

Da quando ho cominciato a frequentare gli Arbib, un venerdi sera dopo l’altro, lo Shabbat Ë diventato per me una bella tradizione, che mi permette di trovare un momento per parlare, ascoltare gli altri, conoscere persone nuove.
Molti pensano che lo Shabbat sia un momento di totale riposo, che non si possa fare niente, ma questo è un errore: in realtà, di Shabbat si può fare quasi tutto, bisogna solo fare le cose in maniera diversa.
L’ebraismo richiede spesso, a chi lo pratica, molte “azioni” specifiche: tutte le mitzvot codificano e prescrivono cosa bisogna (e non bisogna) fare, i tempi e i modi di ogni attività, e lo Shabbat non fa eccezione. Non bisogna tuttavia vedere queste regole e queste indicazioni come una limitazione alla propria libertà, bensì come lo spunto per fare tutte le cose, anche le più ordinarie ed essenziali, in maniera diversa, con più partecipazione intellettuale ed emotiva: anche in questo modo Shabbat diventa un giorno speciale diverso da tutti gli altri.
Stare a casa a dormire non vuol dire fare Shabbat… vuol dire non fare niente! Nella mia vita sono riuscito a essere davvero shomer Shabbat solo due volte, ma devo dire che non sono mai stati giorni di riposo e di noia: sono stati giorni ricchi di amici, cibo, letture e passeggiate!

Simone Somekh, 19 anni, nessun figlio
Negli Stati Uniti, si parla già dagli anni ’90 di un fenomeno psicologico conosciuto come FoMO, acronimo di fear of missing out, che consiste nel timoredi perdersi un evento importante e, di conseguenza, di restare tagliati fuori. Recentemente, però, questo termine è stato applicato anche all’ambito degli smart phone e dei social network, i quali, pur essendo oggi utili eindispensabili, talvolta possono provocare dipendenza. Una delle cure principali consigliate dagli psicologi è quella di trascorrere un giorno alla settimana senza computer, televisione e cellulare. Si tratta di ventiquattr’ore rigeneratrici, che ci “purifichino”dall’indigestione di notizie e avvenimenti a cui sottoponiamo quotidianamente il nostro cervello. Quando ho letto per la prima volta un articolo su questacura, mi è subito parso che Dio abbia già stabilito la terapia sopra citata per combattere la FoMO diverse migliaia di anni fa, quando ci ha prescritto l’osservanza dello Shabbat nei Dieci Comandamenti. Ogni settimana,infatti, lo Shabbat rappresenta un promemoria, per ricordarci che il vero mondo non è tra le bacheche diFacebook o tra i hangouts di Google+. E per me, che da piccolo ho dovuto confrontarmi col fatto di essere uno dei pochi bambini della mia città ad osservare loShabbat, maturare tale consapevolezza è stata una delle più grandi conquiste: la consapevolezza che le regole del sabato ebraico non sono proibizioni, bensì occasioni per ristabilire i contatti con famigliari, con amici, e con la propria fede.

Rebecca Treves, 28 anni
Considero  il mio ebraismo laico parte della mia piu’ profonda e incisa identita’. Sono figlia di matrimonio misto ma ho avuto la fortuna di avere pochi dubbi. Da sempre mi sento parte della cultura ebraica. Momenti come Pesach, Kippur, Rosh Hashana sono, da quando ho ricordi, momenti speciali in cui la tradizione, il legame religioso e il legame con il popolo ebraico si manifestano. Il legame con Israele e’ invece nato con gli anni anche grazie al movimento Hashomer Hatzair. Lo Shabbat e’ per me sempre stato un giorno di riposo e svago piu’ che un giorno legato alla religione. Ho sempre considerato il fine settimana come un momento di divertimento, di assenza di impegni e un tempo da dedicare ad amici e famiglia. Da quando sono a Tel Aviv mi sono ritrovata a pensare al “Yom Shabbat” anche come giorno legato alla tradizione religiosa e non solo come momento di puro svago e di assenza di impegni. Qui il giorno di riposo assume un significato piu’ profondo e ognuno e’ spinto a trovarne uno suo. In una citta’ veloce e piena come Tel Aviv trovare un momento laico per sentirsi vicini all’ebraismo e’ diventato per me una sorpresa e uno spunto di riflessione.