Trovare l’amore e il matrimonio nell’era dei social

di Simona Nessim
“Isacco condusse Rebecca nella tenda di Sara sua madre, la prese per moglie e l’amò…”(Genesi 24,67); in questo versetto i Testi Sacri invertono quello che la società moderna ci impone come schema in una coppia. Prendere moglie e in seguito amarla? Certo che un cupido virtuale non sarebbe d’accordo; oggigiorno una freccia diretta al cuore vuole significare che prima si prende la scossa sentimentale e, solo dopo, si costruisce la coppia. Questa la discussione affrontata da Kesher, martedì 29 maggio, durante la serata intitolata ‘Shidduch in chat’.

“L’Ebraismo vuole conciliare cuore e testa,” specifica Rav Della Rocca, “la Torà non colpevolizza  i nostri sentimenti”. Nell’Ebraismo non è mai solo passione, l’amore si scopre con la ragione.

Ma come? – obbietterebbe il giovane “surfista virtuale”- l’amore è a portata di clic!

“Nei social ci comportiamo come gli altri vogliono vederci ma non è reale” risponde Rav Levi Hazan aggregatore di giovani alla ricerca dell’anima gemella durante le sue funzioni Shabbatiche all’Hotel Marriot di Milano. “Gli incontri devono avvenire faccia a faccia, non dietro ad uno schermo”. Una ferma critica a tutte quelle piattaforme come J Date, facebook o altri siti di incontri che fanno conoscere virtualmente persone diverse, dove queste ultime fingono di essere quelle che non sono.

Il Schadhan, o intermediario matrimoniale, è quella figura che conosce entrambi i pretendenti ,qualità e difetti, studi e progetti di vita, obbiettivi.  Propone uno shiddukh (presentazione) ragionevolmente promettente, finalizzato al fidanzamento, e con buoni presupposti per un matrimonio duraturo.

“Tutto è deciso dal Cielo” precisa Rav Della Rocca, “ dopo aver finito la Creazione del mondo, D-O  occupa tutto il giorno a formare coppie”. Nella Torà l’espressione “lo tov – non buono” è usata solo due volte, una di queste quando D-O disse che “l’uomo non deve stare da solo” (Genesi 2.18).

E da allora che si cerca il Bashert, parola yiddish che significa “destino”o “anima gemella”. Subito dopo, però,  la Torà usa un ossimoro, una opposizione dialettica riferendosi alla moglie come “aiuto di contrapposizione”. Significa che la coppia deve essere complice, che ogni uno deve pensare al bene del coniuge prima che al suo, se no può genersi un odio pericoloso.

Come non pensare alla Guerra dei Roses, ai monologhi di Woody Allen sempre in conflitto con se stesso nel rapporto di coppia, ironicamente riportata sul lettino dello psicologo. “La relazione con l’altro è alla base di noi stessi”, specifica David Nahum, psicologo, “la psicologia e la Torà sono allineate”.

Superata la credenza di Freud nella quale si associava la pulsione animale all’azione, i nuovi studi provano che “il bisogno di entrare in relazione con l’altro è primario”.

Anche qui, la ferma condanna ai social network nei quali  l’empatia viene annullata da testi scritti assolutamente asettici.

Attenzione a non impigliarsi nella rete; un campanello d’allarme rivolto al deterioramento della comunicazione dove non c’è più feedback, le espressioni facciali sono sostituite da espressioni emotiche, non c’è alterazione del tono di voce, non si vedono sorrisi o lacrime. “L’introduzione scientifica dei “neuroni specchio”, prova che il cervello vede l’altro dentro di sé solo attraverso rapporti interpersonali” conclude Nahum.

Il matrimonio non è quindi un contratto sociale, è un patto di lealtà. La comunicazione passa anche attraverso le novità, “le Halachot – regole – sul matrimonio puntano molto sullo sviluppo della comunicazione e sul rinnovamento costante del rapporto” continua Rav Hazan. Ma l’amore cresce anche attraverso le lusinghe, il sacrificio e l’umiltà.

Allora perché cercare per millenni la formula dell’amore perfetto quando“la più bella dichiarazione d’amore si trova proprio nel primo dialogo tra coniugi nella Torà” conclude Rav Della Rocca, quando Abramo disse a  Sara sua moglie: ‘so bene che sei una donna di bell’aspetto…’ (Genesi 12,11).