Tefillin? Inventati in Egitto

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L’autore di questa ricerca, Stephen Gabriel, è membro dell’Istituto Albright delle ricerche archeologiche di Gerusalemme.

Molte pratiche ebraiche relative al culto provengono dall’antico Egitto e non ci si deve stupire quindi di vedere immagini di faraoni che indossano ornamenti che assomigliano molto da vicino ai tefillin.

In molte raffigurazioni si vede il faraone che porta una corona di serpente da cui gli scendono sulla fronte un sacro aspide o una vipera e un cobra in atteggiamento aggressivo: che rappresentano il potere del faraone di proteggere il suo regno per mezzo di serpenti che possono sia difendere il paese sia attaccare il nemico.

Anche le divinità che proteggevano il faraone indossavano copricapi consoni alla loro funzione, però non sulla fronte, ma all’indietro, sopra l’attaccatura dei capelli. Spesso si trattava della testa di animale, lo sciacallo o l’ibis ad esempio, ma in qualche caso era proprio una piccola cassettina nera su una placca nera.

Sulla mummia Kep-ha-eses del secondo secolo a.C. (nella gliptoteca di Copenhagen) è raffigurata la dea Iside, dietro al marito defunto, il faraone Osiride, con questo tipo di scatola sulla testa. Un altro esempio si può vedere sulla tomba di Anher-Khaou a Tebe, di 1000 anni prima, dove compare di nuovo la dea Iside raffigurata con un ornamento nero a forma di cassetta.

Ma cos’era questa cassettina nera? Ha un profilo graduato e raffigura il trono regale del defunto Osiride: Iside, sua sorella e moglie, indossando questo ornamento nero poteva assistere il supplice a raggiungere il mondo della vita eterna.

Queste immagini di divinità o di classi dominanti raffigurate con copricapi che erano il simbolo delle loro funzioni religiose e politiche dovevano essere ben note ai figli di Israele nella loro lunga permanenza in Egitto: tradizioni locali, comunque le si consideri, tuttavia rappresentative di un paese da cui gli israeliti vennero via. Infatti, il ricordare tali usanze poteva essere uno scopo dei tefillin, che dovevano essere “un ricordo fra i tuoi occhi … che con mano forte il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto” (Esodo 13:9).

Tuttavia in un altro passo i tefillin del capo sono descritti come totaphot (Deut. 11:18), che è un termine biblico completamente oscuro. Più tardi i maestri della Mishna attribuirono a totaphot il solo significato di ornamento, ma il grande Rabbi Akiva fa derivare l’origine della parola da una fonte doppiamente straniera: le quattro caselle dei tefillin del capo significano due e due nelle lingue “Katpi” e “Afriki” (Talmud Sanhedrin 4B), che suona come ‘copto’ ed ‘egizio’. Quindi per Rabbi Akiva il rapporto con l’Egitto è chiaro.

Anche nei particolari del Tabernacolo si possono ritrovare connessioni con pratiche cultuali egizie. Il Tabernacolo una tenda in un’ampia corte la cui disposizione è molto simile a quella del campo di Ramsete II° prima della battaglia di Kadesh in Siria: anche il Tabernacolo ebraico dopo tutto veniva portato in battaglia, ma le analogie non si fermano qui: la tenda di Ramsete è divisa in due parti, e il santuario interno più piccolo contiene una divinità protetta da due esseri alati, proprio come vengono descritti i cherubini a guardia dell’Arca Santa. E proprio come solo al Sommo Sacerdote era consentito entrare nel sancta sanctorum, così solo Ramsete, che era il rappresentante terreno del suo dio, poteva entrare in questo luogo.

L’altare esterno del Tabernacolo naturalmente è connesso con altri rituali, ma è interessante notare come quello interno, d’oro, fosse destinato unicamente a offerte di incenso e spezie. E questo in tutti i culti antichi era inusuale, ma non in Egitto, dove i sacrifici di animali erano disapprovati e non di rado proibiti e dove gli altari erano per lo più destinati a offerte di cibo e incenso.

Più controversa è l’origine della tavola dell’offerta del pane, il Lehem Hapanim, letteralmente “pane delle facce”, che doveva venir rinnovato dai sacerdoti settimanalmente. La storia del giovane David che fugge da Saul mostra che questo era un rituale in uso presso i sacerdoti di Nob (Samuele 1, 21:7), ma che origine aveva? I sacerdoti avevano bisogno di questi pani, o invece era il Signore che ne aveva bisogno?

Nell’antico Egitto, nell’Antico e Medio Regno, a ogni personaggio di alto rango veniva dedicata un tomba particolarmente imponente con una porta attraverso la quale i parenti del defunto potevano nutrirlo nella sua vita ultraterrena. Più tardi si passò a una rappresentazione simbolica di questa offerta, e si diffuse l’uso di una tavola di pietra davanti all’ingresso della tomba con la rappresentazione di tutta una serie di cibi che si intendevano offerti al defunto. Al centro di questa incisione c’era sempre una tavola di pani, da 16 a 8, sempre sistemati a coppie, rivolti in due direzioni opposte, letteralmente “pane di fronte”.

Questo profondo rapporto del Tabernacolo o di altri oggetti sacri ebraici con i modelli egizi può alle orecchie degli ortodossi suonare come una bestemmia. Ma invece è proprio una prova ulteriore che il nostro popolo è effettivamente venuto dalla cultura egizia: i particolari dell’Esodo possono essere non documentati, ma quelli della permanenza in Egitto sono chiari. Il nostro Libro dei Libri sottolineando più volte l’intima connessione con la più alta civiltà del tempo, dovrebbe convincere i critici che gli Israeliti soggiornarono davvero in Egitto.