Abitare o non abitare in Israele, qual è la Mitzvà?

di Nathan Greppi
A parte le controversie legate all’antisionismo, il concetto stesso di abitare o no in Israele è da decenni un tema molto dibattuto da diversi punti di vista: religioso, giuridico, normativo. In seno al mondo ebraico esistono diverse posizioni in merito, che sono state analizzate in un dibattito tenutosi su Zoom domenica 18 aprile.

La Mitzvà di non abitare in Israele

A presentare le ragioni di quei religiosi che non vogliono vivere in Israele è stato Rav Yakov Simantov, rabbino del Tempio Noam di Milano, poiché anche se non condivide certe posizioni “penso sia giusto che almeno per una volta ascoltiamo un’ideologia contraria alla nostra.” Ha fatto una distinzione tra i Neturei Karta, gruppo ortodosso nato a Gerusalemme prima della nascita d’Israele, che si oppongono in modo categorico all’esistenza d’Israele, e i Satmar, dinastia ortodossa originaria della Transilvania, il cui fondatore Rav Joel Teitelbaum “ebbe un ruolo importante nella ricostruzione del mondo ebraico dopo la Shoah.”

Questi gruppi basano la loro ostilità verso Israele a 3 giuramenti fatti a Dio: 1) Non forzare l’aliyah in Terra d’Israele; 2) Gli ebrei non si ribellino contro le altre nazioni; 3) Le altre nazioni non opprimeranno gli ebrei. Secondo loro il modo in cui è nato Israele viola i primi due giuramenti. Ha citato un episodio in cui David Ben Gurion citò la Torah per reclamare la legittimità della presenza ebraica in Israele. Tuttavia, ha fatto notare Rav Simantov, c’è anche scritto che se gli ebrei non rispettano le leggi della Torah, la terra li rigetterà. E il fatto che Israele sia uno stato laico, dove avvengono pratiche proibite dalla Torah (si pensi ad esempio alle relazioni omosessuali), fa sì che per i più religiosi sia uno stato illegittimo.

La Mitzvà di abitare in Israele

A presentare le posizioni dei religiosi pro-Israele è stato invece Rav Roberto Colombo, che ha fatto il militare in Israele e ha perso in guerra diversi amici. Ricollegandosi ai già citati Satmar, ha citato il caso di Rav Taichtel, rabbino fortemente antisionista vissuto dal 1855 al 1945, quando venne fucilato dai nazisti in Ungheria. Prima di morire nascose un libro, in seguito ritrovato e stampato in Israele, in cui chiedeva scusa ai suoi alunni e a tutti gli ebrei del mondo per aver parlato male del sionismo.

Ha dichiarato che “non tutto ciò che è scritto nel Talmud diventa Halakhah,” e che su migliaia di pagine del Talmud i rabbini scelgono alcune cose a discapito di altre, a seconda dei casi. Quindi anche l’idea che è sbagliato andare in Israele sarebbe solo un’interpretazione, e non la Halakhah. Riferendosi poi ai 3 giuramenti, ha fatto notare come le altre nazioni non hanno mai mantenuto il giuramento di non opprimere gli ebrei: dalle Crociate alla cacciata dalla Spagna, arrivando alla Shoah. Pertanto, secondo i saggi, “se uno di questi giuramenti salta, e le nazioni del mondo l’hanno fatto saltare, perché io (ebreo) devo mantenere gli altri?”

Lo status di Gerusalemme e la legge internazionale

Passando dagli aspetti religiosi a quelli giuridici, l’avvocato Renzo Ventura ha spiegato la situazione di Gerusalemme: “Le Risoluzione generali dell’ONU non sono norme di diritto internazionale,” ha sottolineato perché “ogni notizia che arriva dalla televisione, ogni senso di colpa per averle violate sono da considerarsi irrilevanti.” Ha posto una domanda retorica: da quando Gerusalemme è la capitale d’Israele? “Tutti noi diremmo da sempre, o al più dal ’48, ma alcuni la riconoscono come capitale unica e indivisibile solo dal 1980.” Un altro quesito è: possono gli altri stati decidere qual è la capitale di uno stato terzo, in questo caso dire che è Tel Aviv? La sua risposta è stata concisa: “Certo che no.” Un’altra questione è se gli ambasciatori che vanno da Tel Aviv a Gerusalemme per essere ricevuti riconoscono indirettamente la capitale. Ha ricordato in merito che già l’Agenzia Ebraica sotto il Mandato Britannico aveva sede a Gerusalemme, senza che ci siano mai state obiezioni in merito.