L’ultimo Tzaddik della sua generazione

Ebraismo

di Rav Paolo Mordechay Sciunnach

6a013487f321e0970c015391e4fa91970b-800wiRabbi Nachman di Breslav (1772-1811) fu un personaggio originale e singolare all’interno di tutto il movimento chassidico, la cui sensibilità è assimilabile, per certi aspetti, a quella dello stesso Baal Shem Tov, di cui Nachman era il pronipote. È considerato una delle più grandi personalità del chassidismo contemporaneo. Nacque a Medzibuzh, in un ambiente familiare impregnato di atmosfera chassidica. Dimostrò fin da giovane una forte propensione all’ascetismo più rigoroso, sottoponendosi a inaudite privazioni per poter concentrare i propri pensieri unicamente su D-o.

Viene spesso descritto come, a dir poco, un originale, una persona inquieta, soggetta a rapide ascese umorali e a cadute altrettanto rapide, intelligente e sensibile, ma capace di tormentarsi fino allo sfinimento. Si sposò due volte e dopo il secondo matrimonio si stabilì a Medvedevka, in provincia di Kiev. Alcuni chassidim, attratti dal suo particolare tipo di misticismo, si raccolsero attorno a lui e cominciarono a considerarlo uno Tzaddik. Viaggiò molto diffondendo le proprie idee soprattutto in mezzo alla gente semplice, fra i poveri e fra gli umili ospiti che riceveva. Nel 1798 Rabbi Nachman si recò in pellegrinaggio in terra di Israele, accompagnato dal suo amico e discepolo Shimon. Visitò alcune città, fra le quali Yerushalaym, Chaifa, Yaffo e Tzfat, dove veniva accolto sempre con amore. Il viaggio fu un pellegrinaggio verso D-o, un rito di passaggio, di iniziazione verso il centro del mondo. Dopo poco più di un anno di permanenza, fu costretto a ritornare in patria a causa dell’invasione napoleonica. Si stabili di volta in volta in diverse città. Nel 1802 si fermò a Bretzlav, dove rimase fino al 1810. Ammalatosi di tubercolosi, lasciò Bretzlav alla volta di Uman, in Ucraina, dove, con grande scandalo dei suoi chassidim, cominciò a frequentare i maskilim, gli ebrei illuministi, convinto di dover occuparsi più degli ebrei assimilati che degli ebrei osservanti. Morì e fu sepolto a Uman, meta di pellegrinaggio dei suoi chassidim ancora oggi. I suoi chassidim non vollero designare un successore, poiché consideravano il suo spirito ancora presente fra loro. I chassidim Breslav attualmente hanno una grossa Yeshivah a Yerushalaym e si dedicano alla pubblicazione di opere letterarie legate alla personalità di Rabbi Nachman. Il mezzo di comunicazione preferito da Rabbi Nachman di Bretzlav era il racconto di storie avvincenti, che narrava in yiddisch. Sulla finalità dei propri racconti egli disse: “A sentire la gente, le storie sono fatte per far dormire; io invece le racconto per svegliare”. La sua biografia, i suoi insegnamenti, le sue idee, le sue storie ci sono pervenuti grazie al paziente lavoro di scriba del suo stretto collaboratore Rabbi Nathan di Nemirov (1780 – 1844). Il suo pensiero, a tratti inquieto, ma anche pieno di gioia, estremizza il carattere spirituale della vita ebraica. Rabbi Nachman è ritenuto ancora oggi dai suoi chassidim il solo in grado di “rivelare l’amore e il timore di D- o” e “far fare teshuvah a Israele”. Rabbi Nachman è ritenuto l’ultimo vero Tzaddik della sua generazione e come tale è ancora oggi celebrato dai suoi discepoli: essi non hanno cioè nessun Rebbe vivente, perché Rabbi Nachman rimane per i chassidim di Breslav il Rebbe. La sua saggezza e i suoi meriti sono, anche al presente, l’unico strumento vivo ed efficace attraverso cui gli ebrei possono studiare il valore profondo della preghiera individuale ebraica (Itbodeduth): “Prendi l’abitudine di appartarti quotidianamente per la preghiera individuale. Esprimi i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti più intimi davanti a D-o ogni giorno, nel linguaggio che ti è più congeniale. Parla con D-o come parleresti con il tuo migliore amico. Digli tutto”. Rabbi Nachman insegnava peregrinando e portando la buona parola di paese in paese. L’ebreo, per Rabbi Nachman, ha prima di tutto bisogno di ritrovare se stesso attraverso lo studio e la preghiera. Insegnava che si deve servire D-o nella gioia e nel fervore; che si può trasformare l’esilio in spiritualità attraverso il canto; che al di là della verità dei testi e dei libri, c’è quella, più convincente, della preghiera individuale e spontanea, quella del cuore, dell’istinto e dell’anima ebraica. Egli insegnava attraverso le sue storie, raccontava che si può essere principi anche dopo aver perso tutto; che nessun ebreo è totalmente perduto per la Torah; che ogni corsa agli onori è necessariamente stupida e segno di dipendenza; che la routine è dannosa e l’osservanza va riempita ogni giorno di nuova kavvanà (intenzione); che si può imparare qualcosa da chiunque, per quanto modesto egli sia; che ognuno deve dedicare, ogni giorno, almeno un’ora a parlare con il Padre nostro che è in Cielo. Rabbi Nachman insegnava l’umiltà e l’allegria, la parola e il silenzio, la libertà di pensare e quella di interpellare D-o, di litigare con D-o: costringere D-o a spiegare che cosa vuole e che cosa si aspetta con esattezza da ogni ebreo. Il dialogo con D-o è, d’altro canto, una caratteristica peculiare del modo di pregare dei chassidim. Il dialogo è diretto, senza troppi complimenti. I chassidim hanno preso esempio da Avraham, che apostrofa D-o senza mezzi termini mentre si appresta a distruggere Sodoma e Gomorra: “Forse che il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?” (Bereshit 18, 25). In vari processi a D-o, i chassidim dicono tutto ciò che hanno nel cuore: “Qual è il senso di tutto il male che imperversa nel mondo? Allora, a quando questa libertà tanto attesa? E questo Messia, quando arriverà? E soprattutto pensi di essere corretto nei nostri confronti? Fino a quando ti faremo concessioni? Spetta quindi a noi insegnarti ciò che devi fare? Forse sei Tu stesso pieno di sconforto, in esilio? E se ci perdonassimo reciprocamente? E se cancellassimo tutto e ricominciassimo il nostro rapporto da zero? Dove sei D-o? Perché Ti nascondi?”. Il Rabbi disse: “Quando prego in pubblico? Mi apparto con D-o come se fossi solo, anche quando tutti sono intorno a me. So come levare un grido silenzioso. Ciò che dico viene udito da un capo all’altro del mondo, eppure chi mi circonda non sente niente”. Rabbi Nachman insegnava che occorre ricercare energicamente la verità in noi stessi. Dobbiamo essere tanto onesti quanto risoluti con noi stessi ed essere consapevoli che “il mondo è un ponte molto stretto, ma la cosa più importante è non avere paura”. Questo dialogo con il divino sta alla base del pensiero chassidico: il D-o di Israele non ha nulla a che fare con il D-o obbligatorio e senza libertà di Spinoza. Colui che parlò e il mondo fu è libero nel proprio agire e liberamente, per propria volontà, ha creato il mondo e ha fatto un Patto con Israele. Ma affinché il Patto regga, entrambi sono tenuti a rispettarlo. La preghiera spontanea e individuale può sconvolgere D-o stesso. L’essenziale è che il pensiero sia sincero. Rabbi Nachman insegnava a coltivare la gioia, a guardarsi dalla tristezza, paragonata da lui all’idolatria; insegnava ad essere convinti che tutti gli ebrei possono essere salvati; che la disperazione non serve a nulla, non più dei lamenti; che non esiste un’anima ebraica votata al male, non più di quanto non esista un male assoluto nel mondo; che possiamo costringere D-o a cambiare il corso della storia. Come viene giudicata una persona da D-o? La risposta è semplice per Rabbi Nachman: secondo il metro dell’amore che ha per il prossimo. Il Rabbi disse: “Rispondi agli insulti con il silenzio. Quando qualcuno ti ferisce, non ripagare con uguale moneta. Allora sarai degno di stima autentica, una stima che è stima interiore, una stima che viene dal cielo. La pace risana. La pace più elevata è la pace fra gli opposti. Se incontrerai qualcuno che ti fa sentire a disagio, invece di dirigerti verso l’uscita più vicina, troverai dei modi per andare d’accordo con quella persona. Sii come D-o e non cercare i difetti e i punti deboli delle persone. Allora sarai in pace con tutti. È facile criticare gli altri e farli sentire indesiderati. Chiunque può farlo. Quello che richiede sforzo e abilità è risollevarli e farli sentire bene. Cerca sempre il bene nell’altro. Concentrati su quel bene, mettilo in evidenza, e trasforma anche un peccatore in un santo”. Il Rabbi stesso non era che gioia e amore; non amava il fasto e disdegnava lo sfarzo; era la semplicità e l’umiltà in persona; era l’interlocutore di D-o, l’ambasciatore delle proteste d’Israele; il rabbino dei poveri; l’uomo della compassione, mosso dal desiderio di salvare la gioventù ebraica dall’influenza negativa esercitata dai maskilim: “D-o ama gli ebrei tormentati, quelli che vegliano nella notte dell’esilio, gli ostinati, coloro che hanno una grande voglia di essere ebrei, coloro che vogliono sopravvivere a tutto e nonostante tutto”.