Monte San Savino

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In occasione della Giornata della cultura europea si è svolta a Monte San Savino, un luogo significativo nella memoria di molti ebrei italiani, l’inaugurazione della sezione di letteratura ebraica alla biblioteca comunale. Questi che seguono sono alcuni dei contributi che hanno caratterizzato la giornata.

Sono lietamente emozionato e onorato di essere oggi qui, in questo posto, tra questi libri, con voi… in ebraico si aggiungerebbe ” be zman ha’ze”.
L’aver creato, grazie alla amichevole disponibilita’ di persone come la prof.ssa Caroti,
la dott.sa Zevi, gli amici de ” Il laboratorio”, Joe Shammah, Enrico Raccah, Joseph Mimun, questo primo nucleo di libri originariamente scritti in ebraico o di argomento attinente, e’ fonte di orgogliosa soddisfazione.

Questo avvenimento segna un magico incontro tra due bellissime lingue, due culture che io amo con uguale intensita’ e che hanno segnato i piu’ importanti momenti del mio vissuto.
Che questo avvenga proprio a Monte San Savino, con la rivitalizzazione di un pathos ebraico di antica memoria, mi sembra un fatto fortemente emblematico e commovente, e in un certo senso un gesto di giustizia storica.

Con la creazione di questo fondo librario, si offre ai frequentatori di questa biblioteca la possibilta’ di conoscere, attraverso la lettura, nuove e diverse proposte di cultura. Come dice la poesia di Ronny Someck, che abbiamo udito ieri, ” siamo tutti manovali disoccupati scesi dai ponteggi della torre che volevamo costruire a Babele”. Io stesso ho dedicato il mio tempo recente all’ambiziosa e maldestra impresa di abbattere muri di incomprensione, addirittura di ostilita’, creati dalla poca o nulla conoscenza dell’Altro e della sua lingua.
Grazie alla traduzione, ci e’ concesso di scoprire la meravigliosa realta’ di un’altra esperienza umana, celata da una barriera glottologica, espressa in idioma diverso ma pur cosi’ intimamente nostra.

Qualche giorno fa, casualmente, ho trovato qui in biblioteca, un passo di Solomon Fiorentino, che mirabilmente esprime il perenne dilemma del traduttore.

L’arditezza della figura, la precisione de’ termini, la ripetizione de’ concetti, l’abbondanza de’ sinonimi, tutte proprietà della lingua ebraica, sono bellezze, che se ne stanno restie entro le proprie vesti e non s’arrendono agl’inviti delle altre lingue viventi, per lasciarsi adornare dei pomposi loro abbigliamenti,fin quando la forza d’un indiscreto traduttore non ce le costringa; ed allora sfigurate restano e perdono la natìa vetustà.

Qualunque intelligente della lingua ebraica e della lingua italiana potrà accorgersi che in questa traduzione ho dovuto sempre lottare con la fedeltà del testo e con una tal quale eleganza che si doveva alla copia per non renderla seccaginosa e troppo ridondante. Per non confondere la chiara intelligenza delle semplici orazioni, ho dovuto trasportarle quasi parola per parola, a fronte della continua ripetizione dell’istesse frasi.

(Salomon Fiorentino – Orazioni quotidiane per uso degli ebrei spagnoli e portoghesi. Tradotte dall’idioma ebraico coll’aggiunta di alcune note e di qualche poetica versione).

Due settimane fa, stradefacendo, mi trovavo a Bacoli, nei Campi Flegrei e, in una libreria di quella citta’, ho trovato il nuovo libro di Erri De Luca, Napolide, appena pubblicato. Lo apro, leggo, certamente non a caso:

“il napoletano di nascita incontrava l’ebraico definitivo della divinita’. Da non credente me ne sono lasciato abbagliare. Se avessi fede, considererei l’ebraico un meraviglioso mezzo, ma senza quella l’ho amato per la sua finitezza, non per la sua eternita’. Non ho cercato asilo in quella lingua, ne’ appartenenza…arrivavo all’ebraismo delle scritture per bisogno di starmene lontano(dal destino di nascita)”.
E’ un momento di alta estasi laica. E continua:
“la lingua ebraica, quando non la maledice (Gerusalemme), la nomina con un affetto parallelo, anche se superiore, a quello delle canzoni napoletane dedicate al luogo (Napoli).
C’e’ in quella lingua sacra una particella d’incoraggiamento che si aggiunge di solito a un verbo e va intesa come un “dài”,”per piacere”, a scopo di smussare un imperativo. Questa particella e’ “na”. La piu’ terribile richiesta di Dio, quella ad Abramo di sacrificare il figlio, e’ accompagnata da un na che trasforma un ordine in una richiesta, in una preghiera dall’alto verso il basso, contromano rispetto al senso unico di marcia delle suppliche. Mi piace che sia na: anche da noi gli ordini si stemperano in richieste.
(Erri De Luca- Napolide- Libreria Dante & Descartes 2006).

De Luca squarcia il velo dell’incomunicazione e scopre una meravigliosa pietra di paragone tra l’ebraico e il napoletano.

Uscendo dalla stessa piccola libreria di Bacoli, vedo appeso all’ingresso un cartello che riporta una citazione di Amos Oz .
Salvatore Scamardella, titolare della libreria e casa editrice “Il punto di partenza”, mi ha detto che e’ sua abitudine proporre di volta in volta brani letterari ai passanti. Questa era la sua scelta quel giorno ( qui ha sottolineato le ricorrenti parole leggere e leggeva) :

“..Allora mia madre si rannicchiava a leggere nel suo angolo…si sedeva a leggere sul divano. I piedi scalzi li raccoglieva sotto le gambe, e leggeva, la schiena arcuata, il collo piegato, le spalle morbide, tutto il corpo sembrava una mezza luna, e leggeva, il viso seminascosto dietro il sipario dei capelli neri, chino verso la pagina, e leggeva.
Leggeva ogni pomeriggio….leggeva anche dopo cena e dopo aver lavato i piatti…leggeva anche dopo che io ero andato a dormire…leggeva quando le imposte erano ormai chiuse…continuava a leggere anche quando la luce sul soffitto era ormai spenta..e intanto lei continuava a leggere.
(Amos Oz – Una storia di amore e di tenebre – Traduzione Elena Lowenthal – Feltrinelli 2003)

Negli stessi giorni, per questo avvenimento al Monte, avevo anche io scelto un brano di Amos Oz, sui libri e le biblioteche, che avrete visto entrando qui oggi:

Un odore sottile, un odore di grigio e di polvere, aleggiava perennemente fra gli scaffali, una specie di sedimento di aria straniera, turbata, e tuttavia attraente. Ancor oggi, a portarmi in una stanza piena di libri, ad occhi chiusi e magari anche con le orecchie tappate, riesco subito a capire che è popolata di libri. Non con le narici, la riconosco, ma con la pelle capto gli odori di una vecchia libreria, dove l’aria è composta e pensierosa, impregnata di quella polvere finissima dei libri e del vapore di vecchiaia che emana la carta, insieme al sentore delle colle vecchie e nuove, odori pungenti, amari, densi, al latte di mandorla, aciduli ma leggerissimamente, insieme a quelli intossicanti dell’alcool, con un alito di azoto e iodio, un cenno del piombo degli inchiostri, nonché di carta ammuffita e quasi marcita, e di carta da poco che finisce per sbriciolarsi, e tanto contrasta con le ricche, inequivocabili esalazioni della carta di qualità, quella dei libri preziosi, esteri. Su tutto aleggiava l’aria buia e immobile degli anni trascorsi, trattenuta entro lo spazio occulto fra le file di libri e le pareti.
Amos Oz- Una pantera in cantina -Traduzione di Elena Loewenthal- Bompiani 2001))

Noi siamo anche usciti da questo spazio occulto e, sotto il sole toscano, abbiamo spiegato vessilli con stralci di poesia ebraica, con un gentile invito ai lettori a meglio conoscere questi poeti. Esigenze e limitazioni hanno molto ristretto il numero e la scelta. Siamo comunque molto lieti del fatto, forse non casuale, che in preponderanza, siano rappresentate, con forte dolcezza, voci di donne.

E, infine, a questa nostra festa e’ presente, con un notevole numero di suoi libri, lo scrittore David Grossman. L’esistenziale ebraico e’ tessuto di poche gioie e molte tristezze: in questo stesso momento, a Gerusalemme, la famiglia Grossman e’ in lutto per la morte del figlio Uri, anche lui vittima di questa ultima tragica guerra. Un modo per essere vicini a David potrebbe essere quello di cercare un suo libro per rispecchiarci in pagine dettate da una intensa e dolente umanita’.

Jack Arbib

Ronny Someck
Il latte clandestino (Mahteret ha-halav)
Traduzione dall’ebraico: Jack Arbib

A Liora e Shirley

Annaffiatoio

L’amore spilla in getti sottili
dai fori dell’annaffiatoio.
Anche noi siamo guance di terra
assetate di baci d’acqua.

7
Canzone patriottica

Io sono un irakeno-pigiama, mia moglie e’ rumena
e nostra figlia e’ il ladro di Bagdad.
Mia madre fa ancora bollire il Tigri e l’Eufrate,
mia sorella ha imparato a fare i piroshki dalla madre russa
di suo marito.
Il nostro amico, marocchino-coltello, affonda la forchetta
di acciaio inglese nel pesce nato sulle coste norvegesi.
Siamo tutti muratori disoccupati discesi dai ponteggi della torre
che volevamo costruire a Babele.
Siamo tutti lance arrugginite puntate da Don Chisciotte
contro i mulini a vento.
Tutti noi continuiamo a sparare alle stelle abbaglianti
un attimo prima che vengano inghiottite
dalla Via Lattea.

8
40

Quarant’anni mi separano da lei.
Avrei potuto vagare nel deserto,
agognare la marmitta di carne,
mangiare le quaglie cadute
dalla nuvola del Signore.
Sarei passato accanto al monte Nebo,
sarei stato una spia,
avrei visto la puttana di Gerico.
A tutto questo ho rinunciato per una guerra
dove il bottino era la parola “ Papà ”.

9
Corteggiamento

Y. chiede a mia figlia di filare con lui. Lei ha nove anni e mezzo.
Lui due mesi di piu’. Insieme hanno l’eta’, che un poeta come Jacques Prevert festeggiava spegnendo le luci di Parigi.
Ma qui, a Ramat-Gan, le batterie sono appena sufficienti
per un dorso di lucciola che illumina cuori disegnati
sul bordo di una pagina strappata.
Eccoti, innocenza, sacchetto di zucchero
versato su un impasto rubato, mescolando
con dita appiccicose una torta
che addolcira’ un altro scaffale
nella pasticceria del corpo.

10
4 consigli a una bimba che danza

Balla come se nessuno
ti guardasse,
sii Picasso che dalla tela del corpo
fa affiorare spalle e mani,
lascia che il pennello di fuoco annerisca
i carboni negli occhi,
e ricorda che, da quando sei nata, io rimuovo
piastrelle roventi da sotto i tuoi piedi.

11
Quinto consiglio a una bimba che danza

Guarda le bambine nella scuola di ballo
ordinate come righe di un poema
sui campi di zucchero.
La loro testa si eregge davanti a solchi
di aria trasparente
e le loro dita sono un semplice aratro
del corpo.
Io scrivo queste righe con mano
stesa come ala d’uccello.
Domani le danzerai con piede
che seminera’ lacrima e mietera’ gioia.

12
Tappi

Sull’etichetta del corpo di N. e’ indicato la data di produzione:
17 anni sprecati nel mondo
e adesso sua madre non vuol perdonarla.
“Le si e’ aperto il buco” dice” e le si e’ chiuso il cervello”.
Gli occhi vitrei di N. luccicano di lacrime,
di notte, sulle sedie dei bar, lei accavalla
le gambe distrutte dal ballo, osserva
il tappo francese che salta dalla bottiglia di champagne,
e il messicano calcato come un sombrero sulla testa della tequila
e il tedesco dai denti aguzzi che morde il collo della birra.
“Mamma, guarda!” vorrebbe gridare, ma si immagina la risposta:
“La tua verginita’ non e’ mica un tappo, e’ la tua dote”.

N. torna a casa e depone le sue scarpette da ballo
vicino al letto, come due baci sulle guance del pavimento.

13
Sciocca bellezza

“..o filosofi elogiati nei discorsi degli eventi culturali, onorati pensatori.”
(Pinhas Sadeh:”Alla stazione centrale di Tel Aviv, pomeriggio, vigilia di Capodanno”).

Non troverete Platone tra i nomi nell’agendina infilata nella borsetta,
e la lacca sulle unghie dei piedi non indica memoria di
animali mitologici. Anche i capelli sciolti sul collo
non provengono da Afrodite, e il pennello azzurro che scolpi’
le onde di Botticelli, a malapena evidenzia ciglia selvagge
nella giungla dei suoi occhi.
Ma lei e’ bella, di una bellezza sciocca e piovosa,
una bellezza che spruzza acqua che sbiadisce lo scritto, che cancella
il dipinto e che sa che, al di la’ della flora protetta, una foglia violetta ozia in cima a un germoglio di spine.
E quando vi parlera’, scordatevi per un momento il linguaggio,
richiudete le parole nelle gabbie della grammatica,
lasciate che la lancetta grande nel tondo del suo viso scandisca
il minuto che e’ schiavo del tempo.
Anche un orologio rotto e’ esatto due volte al giorno.

14
Davanti Afrodite

Tu, sempre bella, puoi calpestare i resti dello sguardo
che ingorgo’ i miei occhi, quando ti vidi per la prima volta,
fissata su un cartone nero,
piazzata sul dorso di una sedia,
avvolta da una nebbia di discorsi su pennelli
e mitologia.

Ah, adesso ti aspetti che io dica che non ho dimenticato
quel momento.
Ma che so io di dimenticanze, del ricordo che spesso e’
il figlio loquace del tradimento?
Sui muri accanto a te sono appesi Gesu’, il ventre gonfio
di sua madre, lo spirito santo e il soffio che agita
le frecce dei cupidi.
Io mi agito con te, nella seconda stanza a sinistra, nel corridoio
al secondo piano di questo palazzo di ricchi,
smarrito davanti alla spuma di un mare tradito dalle onde,
davanti al gorgo sul quale si aprirono i tuoi occhi,
davanti ai coralli di pittura sulla punta del pennello che infine ti catturo’.

E tu? Ti allontani. Le tue gambe sono inclinate come quella torre a Pisa.
Almeno, davanti a te non hanno eresso un cipresso come quello piantatole accanto,
cipresso che non ha mai tolto le scarpe col tacco
dalle radici dei suoi piedi.

15
Mafia di un solo uomo

Quando la luna depone sul davanzale
i sacchi di luce rapinati al sole,
noi corrompiamo gli organi dal ginocchio al ciglio,
rubiamo diamanti di sudore,
serriamo mano nella mano
e ci stringiamo sul bordo del letto come mafia
di un solo uomo.

16
Alfabeto alcolico

Da molto tempo Amikam aspettava questo Aprile.
Finalmente puo’ tirar fuori di casa la testa
e guardare la fronte di Giulia. Lui sa che se la circuisce,
le si scaldano i motori e lei fara’ uscire il viso dal garage del corpo perche’
lui le lucidi i fanali degli occhi.
Sono due tartarughe, e A. ci parla di loro qualche chilometro a nord di Atlit.
Li’ vicino si spara, e il cuoco della base dei paracadutisti avvisa
che il reticolato grida fuoco. A. e’ sicuro che questo e’ un recinto di pascolo e avvolge foglie di salvia
come sudari attorno ai corpi delle sardine che poi seppellisce nel ventre del pane.
T.prova a telefonare a suo padre che si trova
con gli americani in Irak, D. beve ancora vodka
per dimenticare il diamante che vendette per un sorso d’acqua
quando gli idraulici erano gli ufficiali delle S.S.
I. e’ gia’ al terzo Campari, H. giura che il whisky
non gli fa niente, D. formula la legge del Cognac, W. fotografa Elliot
che coglie un fiore di oxalis che anneghi per sempre l’arak in fondo alla gola.
Vicino al monte, come ho gia’ detto, si spara. La linea con l’Irak si interrompe,
quelli li’ continuano a marciare nella testa di D., e A. raccoglie
un’altra foglia per addolcire il funerale della sardina che ci attende in bocca.
Solo il monte su cui ci troviamo attende che il vento venga a strappare
le mutande di foglie che la pioggia di marzo
fece indossare ai rami degli alberi.

17
Nota a margine di un poema pedagogico

Quando la madre di S. racconto’ che suo figlio era crollato sul banco del bar
sulla spiaggia di Tel Aviv, la consulente comincio’ con gli avvertimenti.
Riempi’ due provette, una di vodka e l’altra d’acqua,
e vi fece galleggiare due vermi. Il primo mori’ dopo
qualche minuto, l’altro continuo’ a nuotare.
Quando chiese che cosa si doveva concludere, S. rispose che nello stomaco
dei bevitori di vodka non ci sono vermi.
Quando I. mise un rospo nel cassetto della scrivania
del professore di letteratura, non raccontarono piu’ fiabe
di principi incantati.
Quando Z. nascose nelle mutande bigliettini
con la storia dei rapporti tra Antigone e Emone,
proibirono alle ragazze di venire agli esami
in pantaloni corti.
Dopo tanti anni, S. vende benzina al distributore che era di suo padre
e offre il giornale a chi compra per piu’ di ottanta shekel,
I. fa la sarta di abiti da sposa,
Z. si e’ sposata con il primo della classe, e io credo
che non abbia piu’ bigliettini greci nelle mutande.

O ragazzi, righelli di plastica in astucci di stoffa,
matite spuntate e macchie di ruggine sul compasso.
Io misuro ancora a centimetri verdi lo spessore delle parole
da voi intrappolate in cuori scarabocchiati
sui banchi di scuola.

18
Dramma del lavello in cucina

In quella cittadina erano tutti neri. L’ultimo treno
era gia’ partito, e le forchette degli occhi trafiggevano la mia pelle bianca.
Comprai in una bottega lucido da scarpe e me lo spalmai addosso
al punto che il portiere del motel, mostrandomi la stanza,
comincio’ a parlarmi in inglese nero.
“Svegliami alle sette. Alle sette e mezza parte il treno”.
Mi sveglio’ alle sette e venti e arrivai appena in tempo in stazione.
Tutti mi guardavano e mi ricordai del lucido. Provai dolcemente a toglierlo.
Anche usando piu’ forza sulla pelle non riuscii,
allora capii che il portiere del motel aveva svegliato

un altro.

Buongiorno poesia
Continua pure a svegliarmi tardi,
spalma lucido nero sulla
mia pelle e fai scorrere parole nel dramma del lavello in cucina.
Li’ il getto d’acqua sciacquera’ i resti del piacere
che mia moglie ha servito nel piatto di minestra,
e i cucchiai dimenticheranno per un momento il tunnel della bocca
scavato verso di loro.
Pelle e’ pelle,
e il lucido per piatti fara’ brillare le unghia di mia figlia
come i fanali delle montagne russe nel Luna Park
della mia infanzia.

19
28 Dicembre

Sono nato il giorno dell’invenzione del cinema. In una incarnazione precedente
ero il bastone di Charlie Chaplin, le mutandine di
Marylin Monroe, la pistola di Gary Cooper, la ruota
della moto di James Dean,
Da allora sono nomade, vigilo sui luoghi sacri,
vorrei sparare a chi fugge e sono innamorato del bacio
d’asfalto.
Un giorno, forse,
fo di questo un film.

20
Ararat Express
(per Beni Efrat)

Nessuno si aspettava che il cavalli ricordassero il diluvio.
Il chiodo del tempo arrugini’ nello zoccolo quando Dio
scateno’ sul mondo l’urlo bagnato.
Da allora guerrieri li cavalcarono,
popoli migrarono
e la frusta del vento spinse le loro zampe al trotto.
Quindi chiedo ai membri del parlamento degli asini,
di mettere la coda dell’orgoglio tra le gambe posteriori
e di chiedere ai fratelli cavalli di fare la guardia d’onore
il giorno dell’ arrivo del messia.
Solo una sella bruciata dall’occhio del sole e graffiata dal dondolio
puo’ forse convincere quell’arcobaleno sopra l’Ararat
a scarabocchiare di nuovo la faccia delle nuvole.

21
Trasparente

Tayyeb studia letteratura
all’universita’ di Tel Aviv.
Nella borsa ha una grammatica
e un saggio su Mahmud Darwish.
La borsa e’ trasparente perche’, quest’estate,
con una borsa diversa, gli occhi a raggi X
di ogni poliziotto lo indizierebbero
come portatore di bombe.
“Anche questo” dice suo padre “inshallah
presto verra’ lavato col bucato”
e appende sulla corda del tempo
indumenti senza piu’ macchie di vergogna.
Comunque la vita deve fare la spesa al mercato,
e lui la accompagna a comprare le olive in arabo volgare
e a scrivere poesie sulle olive in arabo classico.
Nel frattempo, Tayyeb e’ trasparente.
La pelle tesa delle mani non nasconde
i muscoli gonfi, la morbida cartilagine fra le ossa,
e i vasi sanguigni
entro i quali il nuotatore della disperazione
puo’ remare ubriaco verso la capanna,
sulla quale i bagnini hanno issato
bandiera nera.

22
Che

Che il cervello sia il comandante del corpo
Che il corpo celi la brama nella grotta del pube
Che il pube bagni le labbra del prigioniero
Che il prigioniero sia un dente rotto nella bocca che urla l’ordine
Che l’ordine non riconosca confine
Che il confine sia teso come una calza
Che la calza stia in silenzio
Che il silenzio disfi i fili del gomitolo delle parole
Che nel cervello le parole siano piantate come una palizzata
E che dopo non resti piu’ nulla da dire.

23
Abramo verso il sacrificio

La cintura esplosiva ticchettava
sul suo corpo impaurito
e dai profondi pozzi
di occhi imbullonati
quel mattino stillavano
lacrime di separazione da Isacco.
Tra poco il monte, l’altare
e i visi di bambagia degli angeli.
Per fortuna, un momento prima dell’esplosione,
Dio gli ricordo’ che
Dio c’e’.

24
Morsicare la sua bellezza
(In memoria di Noa Orbach)

E venne un ragazzo, alto, e disse
che ordinava pranzi interi al “Burger Ranch” dove lei lavorava
solo per poter morsicare la sua bellezza.
La sua morte gli restitui’ i denti di latte, e adesso lui non strappa piu’
sacchetti di ketchup per versarne il contenuto
su carne orfana nel ventre del panino.
Fuori, il vento caldo di giugno cuoceva la pentola della strada,
il cucchiaio dei raggi del sole rimestava nella testa come in una scodella di minestra,
e il suo ricordo come olio bollente trasforma una crisalide di patata in una farfalla fritta,
salata da una lacrima.

25
Sconosciuto

Dove e’ quella che scatto’ fuori dalle sue braccia come lama dal ventre del coltello
e sbuccio’ l’amore dal suo corpo vivo?
L’angelo librato tiro’ una freccia. L’albero della passione venne piantato nella terra bruna dei suoi
occhi, e la zappa della nostalgia continuo’ a rivoltarla..
Io copio la sua” esistenza” dal verbale della polizia .:
Altezza: 172 cm.
Costituzione: Magra
Colore degli occhi: Bruno-verde
Capelli: Corti e lisci
Sul braccio destro: Tatuaggio di busto di donna.
Sulla spalla destra: Tatuaggio di cupido
Il corpo e’ stato trovato in Via Yedaya Hapnini a Tel Aviv.

O alberi cavi, potrei qui dire,
disegnare a penna la caduta delle foglie
e la sabbia negli occhi delle radici;
e la morte, come la prima pioggia, verra’ a spargere schegge
d’acqua sul prato della sua vita esausto come hamsin..

26
Il latte clandestino

I bambini che usciranno dal frigorifero vuoto
faranno rotolare i bidoni della spazzatura
e accecheranno i lampioni stradali.
Nel buio pesto i denti piu’ guasti brilleranno,
pungeranno i gatti satolli, succhieranno dalla loro lingua,
i resti della panna.
E la panna, gran signora, da tempo ha dimenticato
le tette della vacca che la fece nascere goccia a goccia.
Domattina sorgera’il sole, gli uccelli
annunceranno l’autunno, e non ci sara’ chi
avvicinera’ questi versi al naso
per odorare il latte clandestino.

27
Il Signor Auschwitz

Non riesco a sciogliere nella memoria
il blocco di ghiaccio congelato nei suoi occhi
e i numeri tatuati sul braccio
e la cintura con cui frustava la donna che era stata con lui li’
e che adesso taceva sul balcone.
“Peccato” la sua voce fendeva ” che Hitler non abbia fatto gli straordinari”,
e le piantine di cactus ondeggiavano come il filo spinato
del campo da cui fuggi’.
Tergeva la bava sgocciolante dal pozzo avvelenato della sua bocca
con la bandiera che restava appesa da una festa nazionale all’altra.
“Signor Auschwitz” gli gridammo dietro quando lo presero per portarlo in manicomio,
e lui fece ancora in tempo a mettere la mano in tasca
e a scartocciare le caramelle che ci getto’.

28
Bastonata

I leoni non ruggiscono nel bosco vicino a casa,
e i capuccetti rossi non hanno appeso nastri
gialli sui tronchi degli alberi.
Li’ ci sono solo rami che crescono e cadono,
e quando la mamma la manda, lei preferisce
raccogliere quelli sottili, che fanno meno male.
Come una pecora, lei sogna che un giorno toglieranno
i denti rapaci dalle bocche dei lupi o che almeno
il bosco prenda fuoco.
Ma lei ama la mamma piu’ di quanto
odii le botte, e quindi torna con
i rami grossi che seminano sempre piacere
nella mano che percuote. Lei ha dieci anni, sua madre
e’ una figlia di puttana, e nessuno festeggia il compleanno
dei segni blu che scuriscono in silenzio.

29
Ghigliottina
(o: Saluto al giovane poeta)

Se mai un giorno incontrerai il Francese, l’Inglese ed il Tedesco,
che furono condannati alla ghigliottina, ricorda!
Il Francese chiese di essere messo col viso
verso l’alto per poter guardare la morte negli occhi,
l’Inglese preferi’ seppellire il suo sguardo nella terra,
e per ambedue la lama si blocco’
un centimetro prima che le loro teste intonassero
un canto d’addio al corpo.
Quando chiesero al Tedesco che posizione preferisse
lui rispose:” Prima di tutto riparate la ghigliottina”.
E tu,
non dimenticare di guardarlo bene negli occhi
e di dirgli che non vale la pena riparare chi
vuol fare sprizzare i tuoi pensieri,
che bisogna lasciarla sognare
i fuochi d’artificio della parola sangue,
anche se decide di fermarsi un centimetro prima
dell’incontro scortese con
la nuca
o la gola.
Ricorda!
La ghigliottina puo’ essere piccola come le forbici
che tagliano le unghie che, nella tua canzone d’amore,
graffiano il collo della pagina.

30
Cesar Valleyo
(o: dodici versi sul pane della vergogna)

Forse al terzo verso una lacrima bollira’ nel forno dell’orbita
quando scoprirete che raccoglieva in strada bottiglie vuote
per vivere.
Possiamo immaginare la curva della schiena, la mano tesa
verso il collo di vetro, la fetta tagliata dal pane della vergogna.
Da quell’angolo e’ difficile saziarsi perfino di gambe parigine
incollate alle anche di ragazze con le quali Dio scherzava
in sala parto.
E Lei, Signor Ministro della Fame, non ci dica che nel suo ventre vuoto
sono lievitate poesie, non ripeta che la bellezza frusta il grano prima
che i forni dell’inferno ne facciano pane. Si sarebbe potuto
immaginarlo uccello, e lasciargli una briciola sul davanzale.

31
Poesia d’amore per Wislawa Symborska

“Hai portato una foto di tua figlia?”
mi chiede, e nel cavo della mia bocca spuntano
altri denti per masticare
questo momento.
“ Beviamoci un altro cognac” lei sventaglia
la sua voce come se fosse una falce che miete il grano,
per cuocere parole e tagliare un pane
che si innamora perfino del coltello.
Sulla tavola fette di marmellata giacciono
come foglie cadute dentro il piatto.
Le foglie vere pendono dagli alberi di Cracovia
avvolti nel cellofan di nebbia che viene ad addolcire la sera.

34
Cinque cipressi
(da un quadro di Rika Shalev)

Cinque fiamme verdi si accendono lungo la strada.
Lontano la collina si piega come ginocchio di schiava
davanti al re.
Un uccello invisibile
stringe le ali,
e nei denti del rastrello del sole e’ impigliata una foglia
che trucca la faccia della terra come un neo.
Cosa facciamo di questa bellezza che Dio
ha steso come una mappa su un tavolo discosto in quella sala di matrimoni
che si chiama”Natura”?
Dovremmo piegarla come un tovagliolo
e tenerla in tasca per quando vorremo
avvolgere i resti del bicchiere schiacciato
sotto la hupa’ nuziale