Casale: la cultura si fa con i fatti

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Ci sono le chiacchiere e ci sono i fatti. Ci sono le smanie di apparire, le piccole beghe, le malevolenze, i sospetti e il desiderio di prevalere ad ogni costo. Ci sono le azioni che finiscono per avvilire la nostra personalità e le nostre potenzialità, quelle che perseguiamo senza curarci di investire sul nostro futuro. Ci sono le nostre ragioni che vorremmo imporre e quelle degli altri che non vorremmo ascoltare. Ci sono le nostre capacità che vorremmo sopravvalutare e quelle degli altri che vorremmo sminuire. E ci sono invece i progetti che vorremmo tirare fuori dal cassetto, le occasioni di arricchire la realtà che ci circonda e quelle di crescere, di imparare cose nuove, il desiderio di raggiungere obbiettivi ulteriori.
Scegliere non è sempre facile. Ma la prima azione da compiere e riordinare le idee e separare serenamente le chiacchiere dai fatti. Una buona regola per i singoli individui e anche per le istituzioni ebraiche.
Un giornalismo ebraico utile e professionale credo farebbe bene a denunciare chi si serve delle chiacchiere per mascherare una penosa mancanza di fatti, di iniziative, di progetti. Ma soprattutto penso renderebbe alla gente un buon servizio raccontando i fatti che succedono, le iniziative che vanno a segno, gli ideali su cui qualcuno sta lavorando.
Due esempi di queste ore.
Le straordinarie giornate di formazione per i giovani di molte comunità ebraiche italiane (soprattutto delle piccole comunità) che si sono svolte a Casale Monferrato con l’organizzazione dell’Ufficio giovani nazionale e del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle comunità ebraiche. In un settembre scintillante, i colori indimenticabili di un Piemonte ricchissimo di patrimoni culturali e naturali e il fascino irresistibile di una delle sinagoghe più belle del mondo, è stato messo a segno un successo che deve essere sottolineato. Non solo i contenuti dell’iniziativa, non solo le personalità che vi hanno partecipato (dal giornalista Gad Lerner, al rabbino Roberto Della Rocca allo psicologo israeliano Daniel Segre), ma anche la collocazione simbolica del’iniziativa, hanno contribuito al suo successo. La sinagoga di Casale Monferrato, infatti, è un monumento così prezioso da attirare turisti da tutto il mondo. In quanto luogo di cultura, o in quanto museo, non ha più bisogno degli ebrei piemontesi o di quelli italiani per tenere aperti i battenti. Ne ha invece per conservare il suo significato, il suo alito di vita, la sua connessione all’essenza autentica che ha rappresentato.
E queste giornate, importanti proprio sul fronte del compimento di uno dei nostri doveri fondamentali, quello di trasmettere sapere e identità alle nuove generazioni, è molto importante che si sia svolta propria in una gloriosissima, ma oggi piccolissima realtà ebraica italiana. Ha rappresentato un fatto, non una chiacchiera.
Ma non basta. Un importante appuntamento a San Pietroburgo porta, in queste settimane che preludono al Nuovo anno ebraico, alcuni rappresentanti delle principali realtà ebraiche mondiali a San Pietroburgo. L’occasione è quella di consegnare fondi e progetti per la rinascita della realtà ebraica dell’Est Europa, dopo le ferite irrecuperabili aperte dalla Shoah e decenni di dittatura comunista.
Non si tratta dell’unica iniziativa del genere. E certamente non sarà l’ultima. Ma la presenza attiva, nel quadro della missione internazionale, di Claudia De Benedetti, un’esponente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, rappresenta un segno positivo e incoraggiante. Non è forse un caso che Claudia faccia parte proprio di quell’ebraismo piemontese che ha donato all’Italia figure ebraiche e testimonianze preziose, insostituibili. Ma soprattutto è importante che l’Unione mostri segni di risveglio e di presenza, una voglia di fatti concreti, in una stagione decisiva per il futuro della minoranza ebraica in Italia.