di Roberto Zadik
No other land, di produzione israelo-palestinese, è stato premiato come miglior documentario. Il Ministro della Cultura israeliano Miki Zohar: “È un giorno triste per il cinema”.
Fazioso e disturbante, incurante del calvario di uno dei periodi peggiori nella storia recente israeliana e delle violenze di quell’incancellabile 7 ottobre, eppure premiato in una caterva di festival internazionali, il documentario No other land arriva a vincere l’Oscar nella categoria Documentari di quest’anno, domenica 2 marzo. Malgrado non sia la prima volta che un certo cinema israeliano si esponga tanto a livello ideologico, non era mai accaduto che si arrivasse addirittura a una premiazione così prestigiosa come gli Oscar.
Prevedibilmente, a poche ore dalla premiazione, come racconta un articolo del Times of Israel firmato da Ben Sales, stanno dilagando le polemiche fra chi grida al “capolavoro”, con numerose recensioni sui siti di mezzo mondo, e la condanna da parte del Ministro della Cultura israeliano Miki Zohar che ha espresso la propria indignazione ribattendo “È un giorno triste per il cinema”.
Realizzato grazie alla collaborazione fra il regista israeliano Yuval Avraham e il collega palestinese Basel Adra e interpretato da un cast israelo-palestinese, dall’attrice israeliana Rachel Szor all’arabo Hamdan Ballal racconta delle periodiche incursioni dell’esercito israeliano nel villaggio arabo di Masafer Yatta e di una serie di operazioni come le demolizioni di abitazioni della popolazione locale del centro abitato situato nel West Bank.
Il Times of Israel ha riportato anche parte del discorso di ringraziamento alla premiazione da parte dei due autori. A cominciare dal palestinese Adra, ventotto anni che oltre al cinema è anche avvocato e attivista politico, che ricevendo il premio ha detto “da due mesi sono diventato papà. Mi auguro che mia figlia non debba mai vivere la vita che sto vivendo. Le demolizioni, gli sfollamenti forzati e le angherie che affliggono la mia comunità del villaggio di Masafer Yatta”. Rincarando la dose ha aggiunto “Chiedo che il mondo agisca per fermare le ingiustizie dell’occupazione israeliana”.
Parole infuocate, soprattutto in un contesto che dovrebbe essere apolitico e cinematografico, alle quali il collega israeliano trentenne Yuval Avraham, di origini yemenite-ashkenazite e da sempre molto schierato ha aggiunto “l’atroce vicenda di Gaza deve finire e gli ostaggi catturati devono essere liberati” criticando l’attuale politica israeliana e americana.
Poco dopo arriva la dura replica del Ministro della Cultura israeliano Miki Zohar che ha contestato la premiazione della pellicola, evidenziando che esso è parte di una campagna internazionale di distorsione e di manipolazione dell’immagine di Israele. “La premiazione di questo documentario è un momento molto triste nel mondo del cinema. Invece di narrare la complessità dela nostra realtà – ha aggiunto nella nota – i registi hanno preferito sabotare la reputazione del Paese”. Inneggiando all’importanza della libertà d’espressione, Zohar ha esortato il Governo a prendere provvedimenti per tagliare i fondi a questo genere di film, “conservando le risorse economiche per opere rivolte al pubblico israeliano e non a lavori che diffamano il Paese nelle manifestazioni internazionali”.
Come ha ricordato l’articolo non è la prima volta che gli Oscar scivolano sul conflitto fra Israele e Hamas. L’anno scorso il regista ebreo britannico Jonathan Glazer ritirando il premio per The Zone of Interest aveva menzionato le vittime di Gaza. Una narrazione a senso unico.
In tema di fake news, invece, dopo la premiazione agli Oscar si è diffusa sui social le notizia che l’attivista pacifista Hayon Katsman, trucidato il 7 ottobre dai terroristi di Hamas avesse fatto parte della produzione di No other land (durata 5 anni). Hayon Katsman era nato in Israele da genitori immigrati americani, aveva conseguito una laurea presso l’Open University in filosofia e scienze politiche, un master presso la Ben-Gurion University in politica e un dottorato presso la University of Washington in studi internazionali. Era attivo in diverse organizzazioni di pace. Durante l’attacco al kibbutz Holit il 7 ottobre ha salvato una donna proteggendola con il suo corpo. La madre ha smentito in un post che il figlio avesse collaborato alla realizzazione del documentario israelo-palestinese.