La Sposa cadavere

Spettacolo

La storia “dark” dell’imbranato giovanotto che infila accidentalmente l’anello nuziale al dito di un cadavere si ispira a un ciclo di leggende ebraiche che avevano come protagonista il grande mistico del 16° secolo, Rabbi Isaac Luria di Safed.

Il cadavere in questione è quello di una bellissima e ultraterrena fanciulla che giustamente considera il giovane a tutti gli effetti suo sposo e che lo trascina nel regno dei morti costringendolo a lasciare la sua vera fidanzata. E da qui prendono il via le vicende grottesche e “horror” della compagnia allegrissima dei defunti, il che offre l’occasione al regista Tim Burton di far sguazzare nel gotico e fiabesco ambiente dell’aldilà i suoi straordinari pupazzi di plastilina, rendendo più lieve la vicenda originale della favola ebraica e trasformando le scene più agghiaccianti in una parodia del classico film dell’orrore.

Nella leggenda medievale a cui si è ispirato, il regista ha visto elementi congeniali al suo stile e alla sua ricerca di personaggi all’apparenza strani ma in realtà tragici e solitari che si ritrovano in molti suoi film (La fabbrica del cioccolato, Edward mani di forbice e altri).
Anche la nostra sposa a prima vista sembra un mostro mentre invece è dolce, incompresa e con un cuore che è d’oro anche se non batte più.

Anche se nel film non c’è nulla di ebraico, la fonte di ispirazione, cioè la leggenda del cadavere, ha comunque a che fare con l’ossessione popolare ebraica per il macabro. Nel corso dei secoli gli ebrei sono stati sempre impotenti e in balia di forze che venivano dall’esterno, eventi contrari erano sempre in agguato ed era un vero dono della Provvidenza se due sposi potevano arrivare al baldacchino nuziale.

Howard Schwartz, professore dell’università del Missouri studioso di storia del folklore ebraico e autore di un’opera sulla Mitologia del giudaismo, riprende la storia del cadavere in un libro del 1987, dal titolo Il dito. La sua fonte è un’opera del 17° secolo, Shivhei ha-Ari, una raccolta di antichi racconti sulle presunte imprese del vero Rabbi Luria, leggende agiografiche, che illustravano i grandi poteri del Maestro. Nella storia della sposa-cadavere, Luria, in veste di giudice del tribunale rabbinico (bet din), sostiene l’accusa contro una donna morta che vuol far valere i suoi diritti di moglie. E alla fine pronuncia la sentenza: il matrimonio è nullo in quanto i morti non hanno alcun diritto sui vivi.

Luria visse nel 16° secolo, ma l’origine dei racconti di unioni con entità soprannaturali è molto più antica: Schwartz la fa risalire a un commento biblico secondo il quale Adamo aveva una prima moglie ribelle, Lilith, che divenne poi un demone della seduzione. In altre varianti compaiono il matrimonio forzato o accidentale di un uomo con un demone, gli sforzi per liberarsi da giuramenti non voluti e le sentenze del tribunale rabbinico.
Questi personaggi ultraterreni forse rappresentano l’inconscia paura dei matrimoni misti. La sposa cadavere della tradizione folklorica serve anche da racconto didattico ed edificante, ammonimento per i cattivi comportamenti o promesse fatte alla leggera.

Nel film la “sentenza” è emessa da un vecchio e saggio scheletro, e la vicenda ha un lieto fine che permette all’incauto giovanotto di ritornare alla sua virtuosa sposina. La sposa cadavere non collassa in un mucchio d’ossa come la sua omologa della favola ebraica, ma lascia comunque una scia di malinconia quasi per una sorta di ingiustizia di cui è stata vittima.