Venjamin Zuskin? Era mio padre

Personaggi e Storie

di Davide Romano

Dal 3 al 15 giugno al Teatro Elfo Puccini andrà in scena lo spettacolo Re Lear è morto a Mosca, ispirato al libro di Ala Zuskin Perelman I viaggi di Venjamin – Vita, arte e destino di un attore ebreo. Una storia vera, di cui parliamo con l’autrice, figlia di Venjamin Zuskin ed Eda Berkovskaja, entrambi attori del Teatro Ebraico, testimone della persecuzione antiebraica nella Russia sovietica

Ala Zuskin Perelman è nata a Mosca nel 1933, figlia di Venjamin Zuskin ed Eda Berkovskaja, entrambi attori del Teatro Ebraico. È testimone della persecuzione antiebraica nella Russia sovietica, che colpirà anche la sua famiglia. Il libro di Ala ci aiuta a sfatare alcuni miti occidentali – come quello sul rapporto idilliaco tra cultura e comunismo – restituendoci una realtà fatta di persecuzioni che arrivavano fino all’eliminazione fisica di grandi protagonisti della cultura yiddish, tra cui suo padre.

Chi ha trasformato il suo libro in uno spettacolo?

Io ho solo scritto il libro su mio padre, il suo straordinario teatro e il suo tragico destino. Sono stati Antonio Attisani e César Brie a trasformarlo in uno spettacolo eccezionale…

Come e quando è nato il teatro yiddish di Mosca?

Il teatro fu fondato nel 1919 dal celebre regista Alexei Granovsky. Le opere erano tratte principalmente dalla letteratura classica yiddish, ma “gli attori esprimevano il loro sentimento ebraico utilizzando lo stile del modernismo”, come affermò Marc Chagall, il primo pittore di questo teatro.

Quando parliamo di storia yiddish, spesso ci riferiamo più a una leggenda che alla realtà. Tutto diventa poetico, grazie ai grandi scrittori, pittori e musicisti che hanno descritto quel mondo. Ci racconti il vero mondo yiddish di Mosca nel periodo di massimo splendore del teatro?

Io invertirei la frase: “A causa della terribile realtà, c’era bisogno di una bellissima leggenda, di canzoni…”. La grande cultura yiddish nei suoi canti, poesie e immagini rifletteva sia il bello sia l’orribile. Nella Mosca sovietica non esistevano parole ebraiche né una comunità ebraica riconosciuta. Da bambina, nella nostra casa venivano a trovarci scrittori e attori yiddish, e ricordo bene sia loro sia il teatro. A Mosca esisteva una Sezione Yiddish all’interno dell’Associazione degli Scrittori, dove si pubblicavano libri e un giornale in yiddish, ma tutto questo rimaneva all’interno di un cerchio ristretto, un po’ più aperto tra 1920 e 1930. Un nuovo momento di splendore avvenne nel 1935 (Re Lear) e, ancora, dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Che personaggi erano i due principali attori del teatro yiddish, Solomon Michoels e Venjamin Zuskin?

Il Teatro Yiddish di Mosca non era solo “il teatro di due stelle”, ma contava molti attori e attrici talentuosi. Tuttavia, il posto di Michoels e Zuskin era speciale. Condividevano l’amore per la cultura yiddish, la scena teatrale e le conversazioni umoristiche. Vivevano nella stessa casa ed erano amici inseparabili, anche se avevano temperamenti molto diversi. Nella loro coppia artistica c’era un continuo dibattito, sia nella vita reale che sul palcoscenico: Michoels interpretava personaggi combattivi, mentre Zuskin portava avanti la sua “piccola verità” (era davvero piccola?).

Michoels amava la compagnia di celebrità e viveva con uno spirito bohémien, mentre Zuskin era più casalingo, appassionato di libri e storia, legato soprattutto agli ambienti teatrali. Come attori, erano entrambi brillanti, ma molto diversi. Sul palco ballavano, piangevano, ridevano, sempre insieme. Il destino, che li aveva uniti nel percorso artistico, non li divise neppure fino alla loro tragica fine.

Poi arrivò Iosif Stalin. Ci puoi spiegare perché il regime comunista non apprezzava il teatro yiddish?

Durante il primo periodo dell’esistenza del teatro yiddish, esso fu ampiamente sostenuto dal regime comunista, i cui “capi della cultura” erano per lo più ebrei. La ragione principale di questo sostegno era la possibilità di propaganda: il mondo doveva vedere come il popolo ebraico, oppresso prima della Rivoluzione, fosse diventato così prospero sotto il nuovo regime.

Successivamente iniziò l’epoca degli ebrei assimilati, che credevano nello slogan sovietico secondo cui ognuno doveva essere uguale agli altri e non un elemento estraneo alla società. Questa visione si rifletteva anche nel teatro. Il Teatro Yiddish di Mosca non era “come tutti gli altri”: non solo si parlava una lingua incomprensibile per molti, ma nel tentativo di sviluppare uno stile particolare, gli artisti si esprimevano in modi lontani dalle norme stabilite. Cercare? Cercare cosa? Il regime comunista aveva già trovato tutto, e proporre qualcosa di originale non era consigliabile.

Cosa fece Stalin per chiudere il teatro? Come reagirono i principali attori e il direttore del teatro?

Nell’aprile del 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale, Stalin istituì il Comitato Antifascista Ebraico con l’obiettivo di coinvolgere, attraverso eminenti ebrei sovietici, gli attivisti ebrei di USA, Messico e Inghilterra. La loro missione era chiedere sostegno per il popolo sovietico nella sua lotta contro il fascismo. Il presidente del Comitato, Michoels, fu incaricato di rappresentare il gruppo e nel 1943 venne inviato nei Paesi citati, insieme al poeta yiddish Fefer. Negli Stati Uniti, la piccola delegazione fu ricevuta da Albert Einstein e altre personalità di rilievo.

I contatti scritti tra i membri del Comitato a Mosca e i loro corrispondenti all’estero, uniti ai potenti discorsi di Michoels nelle riunioni internazionali, superarono ogni aspettativa. L’esercito sovietico ricevette in dono numerosi carri armati, aerei e forniture mediche.

Dopo la guerra, il Comitato non era più necessario e il suo prestigio infastidiva Stalin. Come eliminarlo? In modo brutale: Michoels fu assassinato. Zuskin divenne direttore artistico del teatro, ma, avendo fatto parte del Comitato, dieci mesi dopo la morte di Michoels fu arrestato, insieme a cinque rinomati poeti e scrittori ebrei e ad alcuni intellettuali di spicco. Furono accusati falsamente di spionaggio, sostenendo che nelle loro corrispondenze con l’estero avevano divulgato informazioni segrete.

Dopo la morte di Michoels, Zuskin divenne molto nervoso e fu ricoverato per una terapia di sonno artificiale. Mentre era addormentato, gli agenti del KGB lo prelevarono e lo portarono in prigione. Rimase incarcerato per tre anni e mezzo, e alla fine fu condannato alla fucilazione, pena eseguita il 12 agosto 1952.

Con l’esecuzione dei poeti ebrei e la morte di Michoels e Zuskin, la cultura ebraica nell’Unione Sovietica subì un duro colpo.

E così si arrivò alla chiusura del Teatro Yiddish di Mosca…

Nel 1949, quando Zuskin era in prigione, il Teatro Yiddish di Mosca fu chiuso. Non fu Stalin a decretarne direttamente la chiusura, ma creò le condizioni per renderla inevitabile.

Gli ebrei di Mosca iniziarono a temere di essere fotografati vicino al teatro, considerato un luogo “contaminato”, e così il teatro smise quasi del tutto di avere entrate. Inoltre, il Ministero della Cultura sospese i fondi mensili destinati alla struttura.

Questi fattori permisero alle autorità di pubblicare false informazioni sull’instabilità del teatro e di chiuderlo definitivamente. Gli attori e le attrici soffrirono profondamente, perdendo la loro professione e il loro stipendio. Riguardo al direttore amministrativo… era un agente segreto del KGB.

Cosa accadde a te e tua madre?

Mia madre ed io siamo state etichettate come “familiari di un traditore” e, per questo, siamo state deportate da Mosca nella parte siberiana del Kazakistan. Un anno dopo la morte di Stalin, siamo tornate a Mosca. Mia madre morì di cancro nel 1959. Io ho studiato, lavorato, mi sono sposata. Abbiamo due figli. Dal 1975 viviamo in Israele.