di Roberto Zadik
Un viaggio nella sua complessa e agnostica identità ebraica fra scienza, sionismo e contraddizioni, in occasione dei 70 anni dalla sua scomparsa a 76 anni il 18 aprile 1955.

Ingegno talmente brillante da essere definito il “genio” per antonomasia del Novecento, lo scienziato, fisico e pensatore ebreo tedesco Albert Einstein aveva una personalità decisamente particolare. Aveva un carattere molto timido ed enigmatico ma allo stesso tempo coraggioso, solitario e ironico ed una identità ebraica estremamente contraddittoria, piena di dubbi e incertezze anche se fortemente sionista.
Lo scienziato morì, a settantasei anni, il 18 aprile 1955 a Princeton, essendo nato il 14 marzo 1879 ad Ulm, Germania; trascorso un periodo in cui fu apolide, dopo il suo trasferimento in Svizzera con la famiglia, prese la cittadinanza Svizzera e, poi, quella americana; infatti, dopo aver insegnato in Germania, nel 1933, con l’ascesa di Hitler, emigrò negli Stati Uniti.
Einstein è passato alla storia per la teoria della relatività così come per la profondità dei suoi pensieri, racchiusi nello splendido libro Il lato umano, raccolta di lettere e riflessioni. Ma quale fu il suo rapporto con l’ebraismo, il sionismo e le sue origini ebraico-tedesche? Il fisico fu profondamente legato all’idea di appartenenza al popolo ebraico e dichiaratamente sionista, ma totalmente agnostico e scettico riguardo all’intervento Divino nelle scelte umane, pur essendo profondamente idealista e filosofico.
Einstein fu sia un rigoroso e razionale uomo di scienza sia un soggetto assai creativo, profondamente curioso e autoironico. Come riporta un interessante articolo, sul sito Jewish magazine, egli nacque in un ambiente famigliare totalmente laico, venne mandato dai genitori a scuola cattolica e, dato il rendimento non certo eccellente, i genitori ne sottovalutavano l’intelligenza definendolo “lento” e poco dotato.
Come evidenzia il sito My Jewish learning, citando la monumentale omonima biografia di Walter Isaacson, egli emerse sempre di più come ebreo profondamente legato al “suo” popolo, motivato dal senso di giustizia e da una identità ebraica non per forza legata alla Torah e alla religione. A tale proposito, in un incontro con i rabbini berlinesi nel 1921, egli riassunse così la propria ebraicità definendosi “un ebreo di nazionalità e di origine ma non di fede”. Strenuo difensore degli ebrei nel mondo, convinto della forza perversa dell’antisemitismo nel risvegliare la conservazione del “nostro popolo “, egli fu osservante, solo per un breve periodo nell’adolescenza, anche se non fece mai il bar mitzvà, e credeva in un Dio che “si rivela nell’armonia dell’universo come diceva Spinoza” ma non nei destini umani.
Il suo geniale talento per la Fisica iniziò a emergere nei primi anni del Novecento in Svizzera a Zurigo e coi primi successi in campo scientifico quando, laureatosi al Politecnico elvetico, nel 1905 pubblicò in pochi mesi una serie di articoli, che apparvero in rapida successione sugli Annalen der Physik, la più prestigiosa rivista di fisica dei suoi tempi, che contenevano la famosa teoria della Relatività, sintetizzata nell’equazione: e=mc2 che stabiliva l’equivalenza fra l’energia e la massa per il quadrato della velocità della luce.
Sempre più importante e famoso, Einstein, che di natura era schivo e modesto e rifuggiva gli onori e la celebrità, fu oggetto di crescente antisemitismo e, avvertendo il pericolo di una catastrofe imminente, scrisse alla sorella Maja, “mi auguro di fuggire quanto prima”.
Fu così che negli anni Venti viaggiò fra Europa, America e Asia e sempre più attratto dal sionismo. Nel 1923 andò nella Palestina Mandataria di allora e tenne la prima lezione all’Università ebraica di Gerusalemme della quale divenne grande sostenitore chiedendo a Chaim Weitzmann, chimico ebreo russo e futuro primo presidente dello Stato ebraico, di raccogliere fondi per il mantenimento della stessa.
Einstein visse una vita molto intensa, non solo a livello pubblico, ma anche privato, con due matrimoni, il primo con la fisica serba Milena Maric da cui ebbe due figli, Hans Albert e Edouard che morì a soli 55 anni, affetto da schizofrenia, e il secondo con la cugina Elsa Lowenthal della quale adottò le figlie avute dal primo matrimonio e con la quale iniziò una relazione extraconiugale mentre era ancora sposato con la Maric. Dopo l’avvento al potere di Hiter, la vita del geniale scienziato cambiò definitivamente e gli ultimi ventidue anni egli visse negli Stati Uniti dove iniziò la sua ultima fase “americana” insegnando nel rinomato ateneo di Princeton e rifiutando la prestigiosa carica di presidente di Israele, offertagli nientemeno che dal Primo Ministro Ben Gurion, definendosi con la consueta umiltà “inadatto a un incarico del genere”. Famoso a livello internazionale per la capacità in campo scientifico e per la spiccata personalità, morì per emorragia interna nella sua casa di Princeton il 18 aprile 1955.