di Michael Soncin
Figlio di ebrei immigrati dalla Polonia, nacque a Parigi, dove scampò alla Rafle du Vel’ d’Hiv.
Visse in Svizzera e in Australia, ma nel dopoguerra, tornato in Francia iniziò a dedicarsi alle mille sfumature che i suoi pastelli gli consentivano di creare. Un maestro del colore
«Aveva un’ossessione per i pastelli» raccontano a Bet Magazine Isabelle Roché e Margaret Zayer de La Maison du Pastel, la cui produzione risale al lontano 1720 e che, nel corso della sua lunga e ricca storia, menzionata anche dal Louvre, ha avuto tra i suoi clienti artisti come Edgar Degas. Preziosi pastelli sapientemente fatti a mano, ad oggi disponibili in quasi 1600 tonalità differenti, composti in prevalenza da pura polvere di pigmento unita al legante. Con le responsabili della casa parigina dei celebri pastelli, Szafran strinse, lungo gli anni, un profondo e famigliare legame d’amicizia. «Ha fatto il possibile per mantenere viva la nostra maison», sospirano. Iniziò il percorso artistico utilizzando i colori ad olio, tecnica che poi decise di abbandonare in favore dei pastelli, una vera e propria illuminazione che porterà avanti nei decenni successivi, assieme agli acquerelli. L’esordio, caratterizzato in prevalenza da una produzione astratta, ebbe luogo presso l’Atelier de la Grande Chaumière sotto la guida di Henri Goetz, pittore e incisore surrealista franco-americano. “I suoi primi pastelli hanno per soggetto dei cavoli, alimento frequente nella cucina ashkenazita, che gli ricordano le sue radici polacche e che diventano il pretesto per sottili sfumature di colore, a cui seguono gli Atelier, che rivelano una grande teatralità, fatta di mobili, trespoli, cornici coinvolti in un intenso disordine”, commenta swissinfo.ch ricordando l’artista. Le “foglie” assieme alle “scale” sono tra i soggetti più rappresentati, che hanno contribuito a far conoscere Szafran al grande pubblico.
Dal 1965, anno della sua prima mostra, è stato un continuo crescendo, culminato con la grande retrospettiva del 2013 presso la Fondation Pierre Gianadda a Martigny. “Artista discreto che ha praticato la sua arte in un modo tutto personale, distaccato dalle mode ma assistito da una prodigiosa capacità espressiva”. Sul sito della fondazione è possibile vedere il film documentario intitolato Sam Szafran: Escalier. Nel 1993 ha ricevuto il Grand Prix des Arts de la Ville de Paris e nel 2008 due dei suoi lavori sono stati esposti presso il Museo d’Orsay nella mostra Le mystère et l’éclat. Molto spesso quando si parla di un artista, ci si concentra sulle opere, dando meno spazio alla materia prima da loro adoperata. Parlando di Szafran, invece, non si può fare a meno di approfondire questo aspetto, laddove l’utilizzo del pastello secco, da non confondere – trattandosi di tecniche differenti – né con le tradizionali matite, né con i pastelli a cera o a olio, contribuisce a forgiare e ispirare l’esecuzione del lavoro stesso, definendolo e influenzandolo.
IL CAPOLAVORO: “DA SINAGOGA A STAMPERIA”
Sua moglie Lilette fu spesso protagonista nei suoi quadri, come nella tecnica mista, acquerello e pastello su carta del 2012, dal titolo Lilette dans les feuillages. L’impremerie Bellini, un pastello su carta montato su tela, eseguito tra luglio e settembre del 1972, collezione della famiglia William Louis-Dreyfus, è oggi tra i suoi capolavori più chiacchierati, forse complice il fatto che, nel dicembre del 2019, qualche mese dopo la sua morte, Sotheby’s lo vendette all’asta, raggiungendo la cifra di 876.000 euro. «Sam Szafran –afferma la casa d’aste – è stato uno dei più grandi pittori e coloristi dell’era contemporanea». “Di rara intensità, la serie di pastelli di grande formato iniziata nel 1972 nella famosa tipografia Bellini, ex sinagoga del decimo arrondissement trasformata dall’artista in un tempio d’incisione, è oggi considerata il capolavoro assoluto di Szafran”, si legge in una nota sul catalogo.
Il nome che diede alla tipografia è un omaggio al pittore del Rinascimento italiano Giovanni Bellini. Da quell’anno si dedicherà anche alla litografia. “Creato in un’improvvisa esplosione d’ispirazione, sintetizza il magico mondo di Sam Szafran in un piccolo corpus di opere che colmano abilmente il divario tra Gustave Caillebotte e le scene della vita urbana di Hopper, le visioni industriali di Carl Grossberg e l’universo di Alfred Hitchcock”. Una rappresentazione densamente ricca di particolari e citazioni. Opere dello stesso genere sono entrate a far parte della collezione dei più prestigiosi musei del mondo tra cui il Centre Pompidou. Lungo il corso della sua vita ha creato oltre 2000 opere, di cui 1200 pastelli e 800 acquerelli. «I suoi disegni fungono da pretesto per intavolare un gioco astratto con una perfetta abilità che anima l’inanimato e conferisce all’inerte la potenza della vita», dirà di lui lo storico dell’arte Jean Clear. Il caos, unito allo squilibrio, erano ispirazioni che permettevano a Szafran di liberare le sue doti artistiche. «Ho bisogno del caos. Il mio atelier è un immenso caos con pile di libri, pastelli sparsi qua e là, sovrapposizione di una miriade di cose. Ho bisogno, per fare nascere qualcosa, di partire dal caos», dichiarò. Impossibile non pensare a Nietzsche e alla sua stella danzante, partorita – appunto – dal caos.
SALVO PER MIRACOLO
Figlio di ebrei immigrati dalla Polonia, nacque a Parigi nel 1934 e trascorse i primi anni della sua infanzia nel Quartier des Halles. All’inizio del secondo conflitto mondiale, quando era ancora un bambino, perse suo padre e fu affidato a uno zio dal severo temperamento, ritrovando infine, dai nonni, una scintilla di tepore umano. Col nonno frequentava la sinagoga di Guimard a Parigi. Si salvò dai rastrellamenti del Vélodrome d’Hiver, avvenuti tra il 16 e il 17 luglio del 1942, nascondendosi presso dei contadini, nelle campagne del Loiret. Fuggito in Svizzera, nel 1944 decise di tornare in Francia per stare accanto a sua madre ma fu catturato dai nazisti e portato nel campo di concentramento di Drancy alla periferia di Parigi. Sopravvisse, al contrario della maggior parte degli altri ebrei presenti a Drancy, come l’artista ebrea tedesca Charlotte Salomon, deportata ad Auschwitz, dove morì. Anche molti famigliari di Szafran furono sterminati dai nazisti. Dopo essere stato liberato, nel 1947 assieme alla madre e alla sorella partì per l’Australia, raggiungendo uno zio a Melbourne, dove trascorse quattro anni, ritornando poi a Parigi nel 1951. Gli anni in Australia saranno per lui particolarmente duri e lo vedranno cimentarsi in ogni tipo di lavoro, dal magazziniere al commesso di drogheria, e anche il tanto atteso rientro in Francia non sarà da meno.
Nel dopoguerra verrà finalmente a contatto con le diverse personalità di spicco dell’ambiente intellettuale del tempo. Tra queste vanno ricordate Alberto e Diego Giacometti, entrambi scultori, Yves Klein, precursore della body art, conosciuto per i suoi monocromi, e il celebre fotografo Henri Cartier-Bresson col quale stringerà un lungo rapporto d’amicizia. Sam Szafran, pseudonimo di Samuel Berger, era un uomo dotato di un carattere “delicatamente riservato” e al tempo stesso gioviale. Ebbe un unico figlio, Sébastien, nato nel 1964 ad un anno dal matrimonio, gravemente disabile. Un anno fa, il 14 settembre 2019, come le sue tanto amate foglie, Sam Szafran si staccò dal ramo della vita finendo in un’altra dimensione. Era sopranominato, come scrive Le Figaro, “l’artista delle foglie”. Al cimitero di Bagneux, il 23 settembre 2019, tutti i suoi più cari amici, tra cui lo storico dell’arte Jean-Louis Prat, erano presenti per porgergli un ultimo saluto.