Recenti studi sulla stele di Mesha evidenziano riferimenti a Re David

di Ilaria Ester Ramazzotti
Considerata la più notevole fonte per la conoscenza e lo studio dell’antica lingua moabita, la stele di Mesha, detta anche Pietra moabita, cita nel suo testo anche il re biblico David. Oggi lo sappiamo con sicurezza, almeno secondo recenti studi svolti in Francia, dove il reperto è conservato al museo del Louvre a Parigi. Evidenze dell’incisione del nome del re d’Israele sono infatti state scoperte dai ricercatori André Lemaire e Jean-Philippe Delorme.

La stele di Mesha è una lastra di pietra basaltica rinvenuta sul sito dell’antica Dibone (oggi Dhiban), a est del Mar Morto, nell’agosto del 1868 da Frederick Augustus Klein (1827–1903), un missionario tedesco della Church Mission Society. Riporta l’iscrizione scolpita di Mesha, re di Moab, risalente al tardo IX secolo a.C., che narra in prima persona della guerra contro l’antico Israele. Gli eventi descritti corrispondono, anche se in modo impreciso, a un racconto simile contenuto nel terzo capitolo del Libro dei Re.

Il testo contiene riferimenti al D-o israelita, alla “Casa di Davide” e all’Altare di Davide ma, fino ad oggi, i ricercatori e i linguisti non avevano potuto dimostrare che questi riferimenti al re Davide fossero stati correttamente decifrati, a causa di alcune lettere non leggibili.

I recenti studi sulla stele di Mesha

Come riporta il Jerusalem Post nel 2015, un team del West Semitic Research Project della University of Southern California ha ottenuto nuove immagini digitali della Stele di Mesha attraverso il metodo Reflectance Transformation Imaging, con cui numerose immagini digitali vengono prese da un manufatto da diverse angolazioni e poi combinati per creare un rendering digitale preciso e tridimensionale. “Questo metodo è particolarmente prezioso perché il rendering digitale consente ai ricercatori di controllare l’illuminazione di un manufatto scritto, in modo che le incisioni nascoste, deboli o consumate diventino visibili”, hanno spiegato i ricercatori André Lemaire e Jean-Philippe Delorme su Biblical Archaeology Review nel 2022.

Più recentemente, nel 2018, il museo del Louvre ha scattato queste nuove immagini ad alta risoluzione e vi ha proiettato fasci di luce secondo una speciale tecnica. Alla fine, i ricercatori sono stati in grado di raccogliere un quadro molto più chiaro dell’antica scritta. Lemaire e Delorme sono stati così in grado di vedere le evidenze delle altre tre lettere, taw (come l’ebraico moderno tav), daled e dalet, visualizzando l’iscrizione in lingua moabita “Casa di Davide”.

La frase moabita è composta da cinque lettere: bt dwd. “Bt” è simile all’odierna parola ebraica per casa, bayit, che è beit nella sua forma costruttiva. E “dwd” può essere pensato come daled vav dell’ebraico moderno (la lettera, in questo caso, è in realtà waw) e daled: tre lettere che scrivono il nome “David”. Finora, solo la prima e la quarta lettera della serie, bet e waw erano completamente chiare e decifrabili.

Aspetti della lingua moabita

La lingua moabita, oggi estinta, appartiene al gruppo delle lingue cananaiche ed era parlata dai Moabiti, stanziati lungo le rive orientali del Mar Morto, (oggi nella Giordania centro-occidentale), nel primo millennio a.C. Veniva scritta utilizzando una variante dell’alfabeto fenicio simile all’alfabeto ebraico. L’Enciclopedia Britannica ha caratterizzato il rapporto tra moabita e l’ebraico antico come diversi “solo dialetticamente”. Secondo il libro Studies in the Mesha Inscription and Moab di Dearman e Jackson del 1989: “È probabile che il moabita e l’ebraico fossero, per la maggior parte, mutuamente intelligibili”.

Secondo Wikiwand, “alcune delle caratteristiche principali che differenziano il moabita da altre lingue cananaiche come l’ebraico sono: il plurale in -în anziché in -îm (ad esempio mlkn “i re” mentre in ebraico biblico məlākîm), come l’aramaico e l’arabo; per il femminile, la finale -at mentre l’ebraico biblico ha -āh (ad esempio qryt “città”, ebraico biblico qiryāh)”.