Quando Schuster mandò Teresa al fronte…

di Ester Moscati

«Si chiamava Teresa Vassena ed è stata segretaria-aiutante del Card. Schuster e successivamente collaboratrice di Mons. Bicchierai. Era la sorella di mio nonno materno, morto all’età di 100 anni. Noi nipoti siamo cresciuti con i suoi racconti davvero particolari di questa donna straordinaria che ha aiutato moltissime persone, malgrado il Parkinson che le era stato diagnosticato ma che con l’ha mai limitata nella sua dedizione agli altri… proprio per questo è riuscita a “muoversi” senza farsi notare troppo: donna minuta, malata, silenziosa e proprio per questo “insospettabile”, si è sempre occupata, soprattutto seguendo le indicazioni del Cardinale, delle persone “più fragili” di quel periodo». Sono a volte improvvise e sorprendenti le strade che possiamo percorrere per scoprire personaggi che, con le loro azioni silenziose e nascoste, hanno cambiato il destino di tanti esseri umani che avrebbero potuto, senza il loro intervento, finire nel gorgo della storia. In questo caso, la strada è quella di una lettera che Paolo Besana invia a Bet Magazine. Cerca informazioni ma a sua volta ne dà, raccontando di questa prozia: «Quante volte ho sentito mio nonno dire: “quante persone ha salvato e aiutato mia sorella!”. Lui l’ha spesso accompagnata a Milano sulla canna della sua inseparabile bicicletta e in altri luoghi sconosciuti: “mia sorella mi diceva che se passavo quel ponte mi uccidevano”. Ma dove fosse “quel ponte” è ormai un mistero».

Raffaele Cantoni, allora Commissario Straordinario della Comunità Israelitica di Milano, il 27 giugno del 1945, scrisse a Teresa Vassena queste parole: “Da molte voci si è levata verso di noi la lode delle opere che Ella ha compiuto in favore di nostri correligionari durante il tempo della clandestinità. Benedetta Ella sia e le parole di bene che al suo riguardo pronunciano le bocche dei bimbi sopravvissuti saranno indubbiamente accolte presso il più alto soglio. Di fronte all’orgia di male compiuto satanicamente, il bene ancora di più risalta, risplende come aureola per coloro che avendolo compiuto ne saranno rimeritati”.

Ma quale fu l’opera di Teresa Vassena? Nei mesi più terribili della guerra e della persecuzione razziale, a partire dall’autunno del 1943, Teresa si prodigò per trovare rifugio e assistenza, come testimoniano giornali dell’epoca, agli ebrei “vecchi e infermi che affluivano a Milano da zone più malsicure” e a fornire loro falsi certificati di nascita e di battesimo che figuravano rilasciati dalle città del Meridione via via liberate dagli Alleati. Non solo: fu spesso la longa manus del Cardinale Schuster che affidava alla sua figura in apparenza timida e fragile, minata dalla malattia, in divisa da ausiliaria, il compito di visitare perseguitati nascosti, sfuggendo alla caccia delle SS, portare soccorso e documenti, lungo strade pericolose, di giorno e di notte, tra Milano, Como, Bergamo, a piedi e quasi sempre sola. Il Cardinale Schuster, arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954, perduta presto l’illusione di “cristianizzare il fascismo”, il 13 novembre 1938 dal pulpito del Duomo, per l’inizio dell’Avvento ambrosiano, pronunciò un’omelia che condannava le Leggi razziali, denunciandone l’ideologia neo-pagana: «È nata all’estero e serpeggia un po’ dovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alle fondamenta soprannaturali della cattolica Chiesa, ma materializza nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione e di Patria, rinnega all’umanità ogni altro valore spirituale, e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo»

Nei momenti più cruenti dell’occupazione nazista, il Cardinale si adoperò per creare una rete di assistenza e rifugio, sia a Milano, sia nei paesini e nei conventi del comasco e in prossimità del confine svizzero per agevolare la fuga e la protezione di ebrei, di perseguitati e partigiani. Teresa Vassena era parte attiva di questa rete solidale. «Io vorrei cominciare uno studio e una ricerca sulla mia parente – conclude la sua lettera Paolo Besana – non tanto per “vantarmi” di questa parentela ma perché penso che sia importante come testimonianza per i miei figli e chissà, magari per la mia città e territorio. Penso che la nostra società, il nostro mondo, io, la mia famiglia, i miei figli abbiamo bisogno di sentire testimonianze come la sua, di Teresa e di ogni altro racconto di vita significativo e rivolto agli altri perché ciò che è successo non sia una lontana storia del passato ma il tema dell’accoglienza, del rispetto per le persone, del sentirsi davvero parte di una umanità intera sia una necessità e il filo conduttore di ogni era ed età della vita. E non credere che non si possa più fare nulla per questa società sempre più individualista».