di Ilaria Myr
Probabilmente è ignoto ai più, ma alcuni degli alimenti più comuni sono stati introdotti nei mercati europei da commercianti o imprenditori ebrei. Uno di questi è la vaniglia, ingrediente originario della costa orientale del Messico, utilizzata dai cuochi nativi americani che condivisero solo con alcuni commercianti ebrei le loro tecniche segrete per cucinarla. Gli ebrei infatti erano utilizzati spesso come interpreti-traduttori nel 1500 e 1600, e nel Nuovo Mondo parlavano l’olandese, lo spagnolo e l’inglese, e imparavano anche alcune lingue indigene; per questo erano molto richiesti dai commercianti e si guadagnavano, in alcuni casi, la fiducia degli indigeni.
I primi non nativi a produrre vaniglia furono David e Rafael Mercado, fratelli ebrei che si stabilirono nell’attuale Guyana francese e vi costruirono un impianto di lavorazione dello zucchero. Davanti però alla proibizione delle autorità olandesi locali di lavorare in questo settore, i fratelli si dedicarono alla vaniglia. La vaniglia è estremamente difficile da coltivare, ma i Mercado – e presto altri produttori ebrei – svilupparono metodi per renderla commercialmente redditizia. Gli ebrei sefarditi iniziarono a esportarla verso le comunità ebraiche in Europa, e poi anche gli ashkenaziti entrarono in questo commercio, tanto che per anni l’industria della vaniglia fu strettamente associata ai produttori ebrei, che non ne svelarono mai il segreto di produzione.
Solo a metà del 1800 i commercianti francesi riuscirono a contrabbandare le piante di vaniglia dal Messico alla colonia di Tahiti. Alla fine, il dominio ebraico dell’industria della vaniglia svanì con la sua diffusione e popolarità e con i progressi scientifici in Europa che permisero di lavorarla più facilmente.