Il cilindro di Ciro (Foto: Kaaveh Ahangar/Wikimedia Commons)

Il Cilindro di Ciro il Grande, simbolo di tolleranza religiosa e diritti umani

Personaggi e Storie

di Lia Mara
Attraverso la redazione del Cilindro, Ciro II di Persia emanò il decreto che, secondo la tradizione, autorizzava le genti là deportate a fare ritorno alle proprie terre d’origine, a ricostruire i templi distrutti e a riprendere liberamente il loro culto. Fra queste genti, c’erano anche gli ebrei in esilio in seguito alla conquista del Regno di Giuda da parte del re babilonese Nabucodonosor II. Fu una scelta politica che cambiò la storia del popolo ebraico, segnando la fine del cosiddetto esilio babilonese, iniziato settant’anni prima.
 (Foto: (Foto: Kaaveh Ahangar/Wikimedia Commons)

 

Giunto dal cuore dell’antica Babilonia, fu rinvenuto nel 1879 nell’attuale Iraq un reperto che, a distanza di millenni, continua a parlare all’umanità: il Cilindro di Ciro. Il Jerusalem Post, nelle sue pagine dedicate all’archeologia, ne ha scritto lo scorso 24 giugno. Si tratta di un blocco cilindrico di argilla, oggi frammentato, che riporta un’iscrizione in caratteri cuneiformi accadici, redatta in babilonese standard, la lingua letteraria e amministrativa in Mesopotamia durante il II e il I millennio a.C. L’autore del testo è Ciro II di Persia (559–529 a.C.), noto come re Ciro il Grande, fondatore dell’Impero achemenide, che vi celebra e legittima la sua conquista di Babilonia agli occhi dei suoi nuovi sudditi. Datato alla fine del VI secolo a.C., il manufatto fu infatti realizzato in occasione della conquista dei Persiani dell’antica città nel 539 a.C.

Il reperto venne alla luce nel corso di una campagna archeologica sponsorizzata dal British Museum, nella cui collezione si trova tuttora. Ma il significato del Cilindro di Ciro si è trasformato, nel tempo, in un emblema universale di tolleranza, libertà religiosa e dialogo interculturale valido ancora oggi. Il Jerusalem Post lo descrive come un tesoro archeologico che collega altresì l’antica Persia e il popolo ebraico.

Attraverso la redazione del Cilindro, Ciro II di Persia emanò il decreto che, secondo la tradizione, autorizzava le genti là deportate a fare ritorno alle proprie terre d’origine, a ricostruire i templi distrutti e a riprendere liberamente il loro culto. Fra queste genti, c’erano anche gli ebrei in esilio in seguito alla conquista del Regno di Giuda da parte del re babilonese Nabucodonosor II. Fu una scelta politica che cambiò la storia del popolo ebraico, segnando la fine del cosiddetto esilio babilonese, iniziato settant’anni prima. Il Libro di Ezra ne fornisce un resoconto che lega le gesta del sovrano straniero a un intervento divino: “Così dice Ciro, re di Persia: Il Signore, Dio del cielo, mi ha dato tutti i regni della terra e mi ha incaricato di costruirgli una casa a Gerusalemme, che è in Giudea” [Ezra 1:2].

Un prototipo della libertà religiosa e dei diritti umani

Per il popolo ebraico, il Cilindro di Ciro può rappresentare una testimonianza tangibile di speranza e di rinascita, il simbolo di un momento in cui il proprio destino, lungamente segnato dalla diaspora e dall’oppressione, venne riscattato dal gesto inatteso di un sovrano straniero. Una figura lontana geograficamente e culturalmente, ma capace di incarnare una visione di giustizia e tolleranza. Ed è proprio in questo spazio di incontro tra civiltà, tra fede e politica, tra l’antico e il moderno, che il suo messaggio continua a risuonare: un invito alla coabitazione delle differenze e alla possibilità, ancora attuale, di un potere fondato sul rispetto dei diritti umani.

Per via delle analisi sul suo contenuto, negli ultimi decenni il Cilindro di Ciro è stato spesso presentato come la prima dichiarazione dei diritti umani della storia. Dalle Nazioni Unite è considerato, seppur a livello non ufficiale, un documento fondamentale proprio nella trattazione dei diritti e una sua copia è esposta al Palazzo dell’Organizzazione a New York. I suoi principi di tolleranza religiosa e libertà, insieme al rispetto per le diverse culture, sono spesso considerati precursori della moderna Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Dibattiti e controversie sul suo significato storico

Se da un lato il testo del Cilindro è stato tradizionalmente visto dagli studiosi biblici come una prova che avvalora la politica di Ciro del rimpatrio del popolo ebraico in seguito alla cattività babilonese, considerando che riporta la descrizione del restauro di templi e del rimpatrio di deportati, dall’altro questa interpretazione è stata contestata da alcuni altri studiosi, come riporta anche Wikipedia, in quanto il testo dell’antico manufatto identifica solo i santuari della Mesopotamia e non fa menzione degli ebrei, di Gerusalemme o della Giudea. E se il Cilindro di Ciro è stato indicato come la più antica carta dei diritti umani universali, anche questo parere viene considerato errato e anacronistico da molti esperti, per i quai il reperto sarebbe invece un testo generico e tipico di un monarca che intendeva legittimarsi e affermare la legittimità di un nuovo regno. Secondo queste interpretazioni, l’attribuzione al Cilindro di Ciro di un carattere umanitario sarebbe priva di fondamento storico e deriverebbe da ragioni politiche e culturali estranee al periodo di Ciro il Grande: non vi sarebbe traccia di alcun riferimento al moderno concetto di libertà.