If… Un racconto

Personaggi e Storie

di Valeria Ottolenghi
Prosegue la pubblicazione di racconti di finzione legati a temi di attualità. Qui un racconto in cui l’autrice immagina una reazione di empatia e sostegno a Israele e al mondo ebraico dopo il 7 ottobre, e una presa netta di distanza da parte di tutte le forze politiche da Hamas, riconosciuto come movimento terroristico. Ma sappiamo bene che le cose non sono andate esattamente nello stesso modo…

 

Quante magliette si stamparono con la stessa scritta, “io sono ebreo”, con i medesimi volti, due piccoli bambini dai capelli rossi? Il mondo non era ancora diventato del tutto insensibile, non consumava così velocemente eventi tanto sconvolgenti. Un istante e ovunque apparvero gli striscioni “Kfir e Ariel liberi subito”, in Germania e in Italia in particolare davanti a tutti i municipi e centri culturali. Al telegiornale della Sette Mentana e i suoi collaboratori ricordavano ogni volta, all’inizio o al termine delle informazioni, l’atteso ritorno dei due piccoli rapiti dal Kibbutz Air Oz il 7 ottobre. Quei bambini realtà e simbolo dell’infinito dolore per quanto era accaduto, concreta la richiesta: il ritorno immediato di tutti coloro che erano stati tanto vigliaccamente catturati nelle loro case o mentre festeggiavano la gioia di essere giovani, ridere, cantare, ballare.

 E quando la Germania dichiarò che non avrebbe più dato aiuto ai palestinesi se non con il ritorno immediato dei prigionieri e la resa di Hamas, consegnate tutte le armi a un organismo internazionale, furono immediatamente tutti d’accordo. Tutti. Ci fu anche chi provò a calcolare quanti soldi arrivassero regolarmente alla striscia di Gaza dal mondo occidentale, ben sapendo che somme ben più consistenti arrivavano dai paesi arabi più o meno vicini. A cosa erano serviti? Non a fare stare meglio la popolazione, ma a costruire quei tunnel tanto complessi e sofisticati e a comprare armi. Una sorta di risveglio improvviso della coscienza collettiva agitava saperi rimossi che erano rimasti conficcati nel subconscio e che riaffioravano con forza impetuosa.

Biden apparve in pubblico con la maglietta “I am Jewish” e fu presto imitato anche da molti senatori e governatori repubblicani. Papa Francesco arrivò un istante più tardi facendo appello al sentimento di empatia dei palestinesi “So che molti di voi hanno festeggiato dopo il massacro del 7 ottobre, ma so anche che amate la famiglia, i vostri bambini: vi prego, chi di voi sa di prigionieri tenuti segregati, non voltate lo sguardo, date aiuto, e se è possibile liberateli”. Forse non proprio per le parole del Papa, ma davvero un giovane con doppio passaporto, americano e israeliano, che sapeva anche un po’ d’arabo, fu fatto fuggire, una notizia che corse ovunque ma che non fu resa pubblica se non molto più tardi nel tentativo di proteggere chi aveva avuto il coraggio di aiutarlo.

Sinistra e destra furono concordi nell’organizzare manifestazioni pubbliche: Hamas aveva confermato la sua essenza terroristica, doveva lasciare immediatamente Gaza, bisognava distruggere armi e tunnel, rifare le elezioni e ridare fiducia alla volontà di chi voleva vivere in pace, usare i soldi – che sarebbero tornati a fluire in quel paese – per il benessere degli abitanti. No: inimmaginabile fare degli scambi tra “ostaggi” (ma la parola era rifiutata ovunque: liberi cittadini!) e prigionieri nelle carceri israeliane, persone che – specie i condannati all’ergastolo – avevano messo bombe sugli autobus, avevano compiuto attentati in cui erano morti molti innocenti. Liberati non avrebbero continuato la loro lotta sanguinaria anche in Europa?

La maggiore mobilitazione avvenne nelle università: molti gli approfondimenti sulla nascita dello stato d’Israele e il senso di colpa dell’Europa, sul sionismo e l’antisemitismo. La sorpresa fu, ad Harvard, di tre studentesse palestinesi che erano sì d’accordo sul rilascio immediato dei prigionieri ma che chiedevano contemporaneamente l’abbandono dei coloni ebrei della Cisgiordania. Il primo documento politico veniva da quelle giovani che, il velo in testa, parlavano con tanta competenza – e subito se ne cominciò a discutere seriamente. Netanyahu, tutto il suo governo, fu messo sotto accusa. Fu costretto a dare le dimissioni anche per le proteste interne. Bisognava ricomporre il volto d’Israele, ritornare alle origini, il bisogno di sicurezza e di pace fondamentali.

Il dibattito riprese vigore. Senza che calasse l’attenzione, mai. Merito soprattutto di Kfir, neppure un anno, e Ariel, di cinque, i loro visi ovunque. E si aggiunse un altro fatto importante: ben dieci comandanti delle truppe Onu in Libano, consapevoli del rischio per le loro carriere e non solo, resero pubblici alcuni rapporti dove veniva documentata, più volte negli anni, l’attività di preparazione al conflitto armato contro Israele, costruzione di tunnel, con episodi che già si erano ripetuti, numerosi i lanci di razzi. Loro non potevano intervenire e le loro relazioni svanivano tra fascicoli che forse nessuno leggeva. Ma erano ben consapevoli di quanto accaduto a Srebrenica: non volevano essere complici di chi aveva tra le finalità la distruzione di uno stato, di tutta la sua popolazione.

Hamas faceva richieste che nessuno voleva prendere seriamente in considerazione: non si poteva trattare con un movimento terrorista che massacrava in quel modo persone inermi. Israele non aveva voluto diffondere le immagini del 7 ottobre, basta ebrei uccisi da guardare ammonticchiati dopo divertiti esercizi di sadismo. Il popolo palestinese – coraggiosamente molte donne – iniziò a protestare pubblicamente, a chiedere un cambio di dirigenza, ma anche, più esplicitamente, di poter pensare a quella terra, bellissima, sul mare, per poter stare meglio anche economicamente, basta tunnel e razzi. Straordinari alcuni interventi di intellettuali e giornalisti palestinesi – ma anche del mondo del diritto e della finanza – che vivevano all’estero che cominciarono a delineare un nuovo futuro per Gaza.

E Erdogan non volle perdere l’occasione di offrirsi come intermediario, sulla sua maglietta c’era la scritta “Io sono ebreo” in arabo e “io sono palestinese” in ebraico. La foto si diffuse velocemente. Oramai tutti volevano arrivare a una meta rasserenante. Una nuova parola d’ordine corse  ovunque, nelle piazze come nel mondo della politica internazionale: “Hamas arrenditi!”. E così, incredibilmente, accadde. Hamas si arrese. Furono gli stessi palestinesi a liberare velocemente i prigionieri. Ovunque nuove elezioni: anche in Israele. E ritornò concreta l’ipotesi “due popoli, due stati”. La famiglia di Kfir e Ariel si ricompose. Una corrente di gioia si diffuse ovunque, sentendo molti la soddisfazione di aver fatto la cosa giusta, contribuendo insieme a tanti alla soluzione di una situazione difficilissima.

Le magliette con la scritta “Io sono ebreo” furono riposte con un sorriso, con la speranza che non fosse più necessario indossarle. E ci fu anche un momento di ilarità generale quando uno dei prigionieri liberati disse di aver capito solo in quei giorni come fossero vere le parole pronunciate ritualmente durante il Seder, quanto amara è la prigionia e come è bello vivere liberi.

Valeria Ottolenghi è Responsabile Relazioni Esterne A.N.C.T. – Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, Critico Teatrale della Gazzetta di Parma, Membro della Direzione Artistica “Destini Incrociati” e Direttore Artistico e vicepresidente di Fondazione Mario Lanfranchi.