“Dove sono ora i terroristi liberati da Israele?”. Un racconto

Personaggi e Storie

di Valeria Ottolenghi
Prosegue la pubblicazione di racconti di finzione legati a temi di attualità. Qui un racconto di Valeria Ottolenghi, su cosa facciano i terroristi palestinesi rilasciati negli scambi per gli ostaggi rapiti il 7 ottobre. Possono costituire ancora una minaccia?

 

“Fin qui tutto bene”, sorrise tra sé. “So far so good”, una vecchia battuta di rassicurazione…. di chi sta precipitando da un grattacielo! Ma lì la conclusione era certa… Lui stava andando nella direzione giusta, anche se non aveva idea di cosa sarebbe successo. Non voleva pensare di stare sbagliando. Doveva vedere Aisha.

Camminava veloce lungo il corridoio del treno cercando il suo posto. Si era svegliato presto, ma così non doveva cambiare. In tre ore sarebbe arrivato a Roma. E intanto avrebbe pensato a cosa fare, cosa dire. In verità non faceva altro da giorni, ma ora era davvero in dirittura d’arrivo. Seduto, il vagone pieno solo in parte, fu preso da un’ondata di panico. Brevissima, ma per un istante sentì che avrebbe preferito essere a casa, davanti al computer, routine di lavoro.

Fino a poco prima si sentiva soddisfatto della sua strategia, vergognandosi un po’ per quella parola ragionando di affetti familiari: era contento di essere riuscito a coinvolgere sua sorella per i bambini (meglio ragazzi?)… sarebbe stata anche a dormire lì con loro. E Aisha sapeva del suo arrivo: le doveva solo comunicare la puntualità o meno del treno. Ormai era da un po’ in movimento, già superata Bologna. Poi Firenze. Roma Tiburtina alle 10,35.

Aisha aveva risposto solo: “ci vediamo”. Nient’altro. Sarebbe venuta sola? O con suo fratello, Tariq, causa prima del loro dissidio, di quella lontananza? Nel caso ci fosse stato anche lui come doveva comportarsi? Lo avrebbe salutato cordialmente, tranquilla stretta di mano? Ripensò a quel confronto duro con Aisha, il primo, vero, da quando stavano insieme: vent’anni proprio in quell’inizio di primavera. Lui sapeva perché c’era stato sempre quell’accordo di fondo, lo aveva sempre saputo, ma solo ultimamente era riuscito a dare forma di pensiero a quella consapevolezza.

Aisha aveva dentro di sé la misura di tutte le cose, quelle importanti e quelle di nessuna importanza. Tante cose allora scivolavano via: uno sguardo, un po’ di attesa, il piccolo compromesso, ma senza strategie (ecco: tornava quella parola!): nulla, nulla poteva sconvolgere la loro vita di buon lavoro, di tenerezze, di piccoli progetti. Nulla. Perché loro vivevano liberi, avvolti dal benessere, da una quotidianità d’infinite cose diverse. Potevano ridere, essere generosi, nutrirsi delle tante sorprese, non importa se sempre buone, che arrivavano dai figli. Tariq no. Il fratello di Aisha era in prigione. Ergastolo. Aisha era persona aperta, allegra, scherzava volentieri. Ma a guardarla si coglieva a tratti quel fondo di inquietudine, quasi di cupezza. Quel pensiero, Tariq, l’ergastolo, non la lasciva mai del tutto. L’amore così grande per i figli, per la famiglia, restava però come avvolto da un velo di dolore. Tariq! Ormai il treno aveva superato anche Firenze.

Ricordò quella scena davanti a scuola: Aisha era in mezzo a tante altre mamme, piccola, senza trucco, quasi una scimmietta, si era trovato a pensare, tra quelle donne più alte e vistose che pure stavano ad ascoltarla. Forse c’era bisogno di qualche consiglio legale per la scuola. Aisha lavorava da tanti anni in uno stadio notarile. Il suo titolo non era stato ancora riconosciuto (ancora? si erano più preoccupati di avviare la complessa trafila burocratica, esami in più da fare?) ma la stima del notaio, di Sergio, lo aveva conosciuto anche lui, ne era stato anche un po’ geloso, era sconfinata: ogni anno un notevole aumento di stipendio con belle frasi, non avrebbe potuto fare a meno di lei, così competente, attenta con i clienti, capace di ascoltare, rigorosa…

Ecco: ricordava quel giorno davanti a scuola. Lui era arrivato in bicicletta. Osservava la scena. A un certo punto lei si era voltata, come per forza magnetica, lo aveva visto e gli aveva sorriso, lo sguardo colmo di gioia. E il mondo si era illuminato. Lui amava Aisha. Così tanto. Aveva bisogno di lei, che tornasse a casa, che tutto riprendesse come un tempo.

Sarebbe mai stato possibile? Ricordava quei giorni colmi d’ansia. Per vie misteriose, strane telefonate, Aisha aveva saputo che Tariq si trovava tra i palestinesi liberati in cambio di alcuni ostaggi catturati il 7 ottobre. E un giorno gli aveva detto: “Tariq verrà qui. Imparerà un po’ di italiano”. Con i modi solidali di sempre. Tante volte era accaduto di necessità familiari di lui o di lei. Ogni volta bisognava solo organizzarsi.

Lì, lì, il primo errore. L’irruenza della risposta. “Forse meglio di no”. Così aveva detto. Lei l’aveva guardato senza capire. Altre parole erano seguite senza la mediazione del pensiero: “se ha avuto l’ergastolo significa che avrà messo delle bombe su un autobus, avrà sparato alla folla, chissà”. E aveva aggiunto: “un terrorista”. Non ricordava bene come fosse andata crescendo la discussione che ne era seguita. “Non è una questione di soldi”, aveva detto. Altro errore. E aveva detto anche che probabilmente Tariq avrebbe continuato a restare fedele alla sua ideologia. Dunque: dove avrebbe messo le bombe la prossima volta?

Chissà da dove gli derivava quella certezza, dell’autobus fatto esplodere con bambini e ragazzi che andavano a scuola. Forse Tariq aveva partecipato a uno scontro a fuoco. In quella discussione lui  aveva anche detto che pensava che lo stato di Israele dovesse continuare a esistere, ma Tariq, Tariq, non credeva invece che dovesse sparire del tutto? E lei, lei Aisha, non la pensava così anche lei?

Avevano perso ogni contatto diretto, vero, tra loro. Qualcosa si era spezzato. Irrimediabilmente?

Il treno stava attraversando la campagna romana. Tra poco sarebbe arrivato in stazione. Aisha sapeva del suo arrivo in orario: confermato. Era quasi un mese che non la vedeva. Lei il giorno dopo era partita per Roma: Tariq si trovava lì. Ora l’avrebbe rivista. Avrebbe incontrato nuovamente il suo sguardo. Sentiva il bisogno di abbracciarla forte. Avrebbe potuto? Lei glielo avrebbe permesso? Oh diomio, diomio, se gli avesse sorriso come quella volta davanti alla scuola…

Valeria Ottolenghi è Responsabile Relazioni Esterne A.N.C.T. – Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, Critico Teatrale della Gazzetta di Parma, Membro della Direzione Artistica “Destini Incrociati” e Direttore Artistico e vicepresidente di Fondazione Mario Lanfranchi.

(Foto: Wikipedia)