Gli ebrei di Sidone: storia speciale di una comunità perduta

di Davide Foa

Un gruppo ebraico particolare, che aveva creduto nel sionismo fin dalle origini, stringendo forti legami con l’Yishuv.
La fine della comunità, dopo la guerra del 1982, ha lasciato l’antica Sinagoga incustodita: oggi è un rifugio per profughi siriani.
Una ricerca di Yael Mizrahi

 

Da venticinque anni, Mohammed – siriano, emigrato in Libano – vive con la sua famiglia nella sinagoga della città di Sidone. Sì, proprio nella sinagoga. «Nel 1990 l’edificio era abbandonato e infestato dai topi», ha raccontato Mohammed al quotidiano Times of Israel -. L’ho pulito e ci sono andato ad abitare».
Situata nel centro di quello che fino a qualche decennio fa era uno dei più interessanti e vivaci quartieri ebraici del Medioriente, la sinagoga fu costruita nel 1850 ed è stata per decenni simbolo di una comunità rigogliosa, almeno fino al 1982, quando a seguito della Guerra del Libano gli ebrei furono costretti a lasciare il Paese. Molti di loro raggiunsero il vicino Israele, dove trovarono uno Stato pronto sì ad accoglierli, ma non a riconoscere le loro peculiarità culturali. Gli ebrei di Sidone finirono infatti nel “gruppone” dei Mizrachim, termine assai generico con cui la cultura askenazita ha per lungo tempo, e in parte ancora oggi, identificato tutti gli ebrei provenienti dai Paesi arabi, rinunciando di fatto a riconoscere la storia, le peculiarità e le tradizioni di ciascuno.
Questa generalizzazione ha messo in moto una visione semplicistica ma diffusa, secondo cui gli ebrei Mizrachim avrebbero fatto poco o nulla per la causa sionista, arrivando in Israele molto tempo dopo la nascita dello Stato e solo perché costretti dalle guerre con i Paesi arabi. Tuttavia, a questa generalizzazione si è opposta la ricercatrice Yael Mizrahi, che con il suo studio sugli ebrei di Sidone ha non solo ricostruito l’identità di una comunità oggi perduta, ma ha anche dimostrato come gli ebrei di Sidone fossero in realtà legati al sionismo ancor prima della creazione dello Stato ebraico. Tale vicinanza è comprovata dai frequenti contatti avvenuti tra la comunità di Sidone e i membri dell’Yishuv, la comunità di ebrei risiedente in Palestina prima della Prima Aliyah. Non a caso infatti, nel febbraio 1919, la Commissione Sionista di Palestina decise di fare visita a tre comunità ebraiche del Medioriente: Damasco, Beirut e Sidone (in arabo Saida). Incaricati della missione furono il rabbino Benzion Meir Hai Uziel, futuro Rabbino capo sefardita di Israele, e il suo collega Jack Mosseri. Il viaggio durò due settimane, durante le quali i due delegati si preoccuparono di raccogliere tutte le informazioni disponibili sullo stato di salute delle comunità, così da fornire il giusto sopporto alle famiglie bisognose e al contempo favorire la creazione o il mantenimento di scuole ebraiche. Sidone fu l’ultima tappa e, per molti aspetti, la più problematica. Le pessime condizioni in cui versava la Comunità possono essere riassunte nelle poche, ma significative parole utilizzate da Meir e Mosseri all’interno del loro report: “Nessun ghetto al mondo può essere peggiore di quello di Sidone”. Il quartiere ebraico era abitato da 150 famiglie costrette a vivere in condizioni al limite del sostenibile. La povertà del ghetto di Sidone era poi aggravata dalla totale mancanza di istituzioni comunitarie capaci di fornire alcun tipo di assistenza, materiale o spirituale che fosse. “La Comunità non possiede alcuna istituzione nazionale o filantropica e non è in grado di soddisfare neanche le più urgenti richieste di aiuto economico o di educazione”, scrivevano i due delegati.

 

L’intervento dell’Yishuv

Da quel momento in poi, l’Yishuv entrò in stretto contatto con la comunità di Sidone, favorendo uno sviluppo economico e culturale significativo. A seguito della visita di Meir e Mosseri, il 15 febbraio 1919 si riunì per la prima volta il consiglio della Comunità ebraica di Sidone, a cui presero parte anche due delegati dell’Yishuv. L’episodio è la prova inconfutabile di un legame esistente tra la comunità di Sidone e la Commissione Sionista.
A dir la verità, già nel 1908 alcuni leader sionisti si erano interessati a Sidone. All’epoca, era stato il movimento sionista russo Hibbat Zion a vedere in Sidone un centro fondamentale per la creazione di una rete di comunità ebraiche nel Medioriente. Con la caduta dell’Impero turco, al termine della Prima guerra mondiale, le cose cambiarono e la comunità di Sidone cadde inevitabilmente in una condizione di incertezza, dovuta al crollo delle istituzioni ottomane che precedentemente avevano garantito l’integrazione della comunità all’interno di quel tessuto sociale.

Come è stato detto, i danni per la comunità furono in parte limitati dall’intervento dell’Yishuv, così come di varie organizzazioni filantropiche occidentali, ma restarono comunque gravi. Successivamente, con la nascita della Repubblica Libanese, la comunità ebraica riuscì ad assicurarsi una buona rappresentanza politica, mantenendo i diritti religiosi e culturali di cui godeva già sotto il dominio ottomano.
Questo però non ebbe ripercussioni sul sostegno alla causa sionista, che rimase entusiastico. Basti pensare a quando, il 31 ottobre 1920, la comunità di Sidone festeggiò il terzo anniversario della Dichiarazione Balfour. Un sostegno del genere al movimento sionista non si verificò in nessun altra comunità ebraica dei paesi limitrofi. All’epoca, il sionismo era visto come una minaccia da coloro che avevano acquisito uno status sociale rispettabile all’interno del proprio Paese. Aderire a un movimento che si faceva portavoce di tutti gli ebrei, ovunque essi si trovassero, poteva esser visto come un tradimento nei confronti di quelle società in cui gli ebrei godevano di uno status tutto sommato rispettabile.

Ma questo non era il caso di Sidone; lì, la comunità non sentiva una grande contrapposizione tra l’identità ebraica e quella libanese, mostrandosi pronta ad abbracciare gli ideali sionisti pur mantenendo i legami con la terra natia. La comunità di Sidone è un chiaro esempio di quanto sostenuto dalla studiosa Pnina Morag Talmon, che per prima ha ridato valore al ruolo degli ebrei sefarditi all’interno dell’Yishuv. Morag Talmon ha affermato l’esistenza di una contrapposizione tra ebrei occidentali askenaziti ed ebrei orientali sefarditi all’interno del movimento sionista; mentre gli askenaziti erano portatori di un sionismo pratico, i sefarditi erano più vicini a un sionismo culturale, ricco di elementi simbolici. Se da un lato questa distinzione ha certamente fomentato il sentimento discriminatorio nei confronti dei sefarditi – poi identificati come Mizrahim -, accusati di scarsa partecipazione politica, dall’altro, come spiegato da Pnina Morag Talmon, ci aiuta a comprendere il valore del sionismo di Sidone, fatto di attività volte al sostegno dell’Yishuv e delle comunità vicine. Il sionismo, per gli ebrei di Sidone, aveva prima di tutto un valore sociale e culturale. Probabilmente, come ipotizzato da Yael Mizrahi, fu la vicinanza, non solo geografica, ma anche culturale di Saida con l’Yshuv a preventivare per lungo tempo l’emigrazione in Israele. La storia tutta particolare della comunità di Sidone ci riporta dinnanzi a una questione tanto dibattuta quanto mai del tutto risolta: è necessaria l’Aliyah per potersi definire sionisti?

Oggi, i beni, le case, gli aranceti e i terreni degli ebrei di Saida sono in mano ai palestinesi che li hanno occupate e che ci vivono. Inutilmente c’è ancora chi, in Israele, a New York o a Parigi, conserva le vecchie chiavi della casa dei propri padri. O chi, laggiù, su quelle rive fenicie, nasconde gli antichi chiavistelli, in cambio di denaro e nel ricordo della gente che vi abitò. «Quelle terre sono perdute per sempre. Laggiù, da bambina, giocavo tra gli alberi di limoni, erano di mio nonno Sehà», dice Gina Diwan, stilista e designer parigina. «Abbiamo provato a tentare una causa, o a parlare con le autorità. Abbiamo ancora le chiavi e i documenti che attestano la nostra proprietà. Non è servito a niente. Hanno sorriso, hanno scosso la testa e non hanno detto nulla».