Che cosa significa essere ebreo?

di Carlotta Jarach

IMG_2659Era il 1958 e mentre lo Stato Ebraico festeggiava i suoi primi dieci anni, Ben Gurion si accingeva a risolvere un importante problema legislativo e morale: chi poteva beneficiare della legge del ritorno? In altre parole, chi era da considerarsi ebreo? In un clima complesso, in cui si discuteva della validità della legge talmudica come base giuridica, al culmine dello scontro tra religione e Stato, il Primo Ministro apre la sua inchiesta e interroga 50 saggi, rabbini e filosofi, laici e religiosi, ponendo loro questo interrogativo. Nel 2001 Eliezer Ben Rafael, professore universitario francese di Sociologia, pubblicò la raccolta di tutte queste corrispondenze in un libro dal titolo Qu’est ce qu’être Juif?, essai suivi de 50 Sages répondent à Ben Gurion, ora tradotto da Monica Miniani in italiano ed edito da Proedi, a cura dell’Associazione di Cultura Ebraica Hans Jonas. Ed è proprio per l’importanza dell’argomento trattato in questo libro che Kesher l’ha scelto per aprire la nuova stagione degli incontri 2014/2015.
«Abbiamo appena letto l’ultima parola della Torà, “Israel” – dice rav Roberto Della Rocca, tra i relatori della serata – e subito abbiamo ripreso con Bereshit, come a dire che non arriveremo mai a un compimento, ma che tutto ricomincia, ciclicamente».
Dopo i ringraziamenti a Paola Boccia per l’organizzazione degli eventi, rav Della Rocca inizia a delineare il quadro storico dell’Israele del ‘58, e di quella delicata situazione in cui bisognava mediare tra i personaggi più culturalmente e socialmente diversi che animavano la Knesset e lo Stato di allora. I 50 saggi, a prevalenza ashkenazita e rigorosamente tutti uomini, furono interpellati da Ben Gurion che già aveva legiferato su altri aspetti delicati, come il diritto di famiglia, che fu affidato alla sola Rabbanut.
«Mi ha colpito questa domanda “Che cosa significa essere ebreo?” così senza confini per l’ampiezza geografica e culturale delle persone cui si rivolgeva – ha aggiunto Daniele Cohen, vicepresidente della Comunità e Assessore alla Cultura -, e mi fa pensare a ciò che è la nostra piccola Comunità, dai confini segmentati. Noi abbiamo forse il problema opposto a quello di Ben Gurion: non dobbiamo disegnare una legge del ritorno, ma una legge dello stare insieme».
La parola, poi, a rav Alfonso Arbib, che definisce la domanda “strettamente amministrativa”. «Si tratta di iscrivere come ebree persone che sono nate da madre non ebrea, che dimostrano di volere essere ebrei “in buona fede’’. E molti si sono domandati come si misura, la buona fede». Cita dunque gli interventi di rav Elio Toaff, che accusò il Primo Ministro di sconfinare in un territorio di competenza della sola Halakhah, e quello di rav Soloveitchik, che si dichiarò sorpreso «dal fatto che il governo dello Stato di Israele voglia tagliare le nostre radici e tenti di distruggere quanto di più fondamentale nell’ebraismo antico è stato consacrato». «Dal mio punto di vista- continua Arbib- vale la pena capire un pochino di più le varie risposte, nonostante queste due potrebbero essere sufficienti: e lo si può fare attraverso le parole di Hugo Bergmann, filosofo e fondatore dell’Università ebraica di Gerusalemme, esponente della sinistra israeliana. Siamo un popolo diverso da tutti gli altri, possiamo definirci “sacro’’: nell’ebraismo è impossibile scindere completamente Stato, religione e popolo ed è quindi necessario, dice Bergmann, sciogliere quell’incomprensione che ha portato alla nascita di due definizioni tra di loro equivoche di ebreo: ebreo per Halakhah e ebreo per dichiarazione (della legge ndr)». Am Israel è religione, ricorda Arbib: credere nel popolo ebraico ma non credere in Dio è quindi impossibile.
Saul Meghnagi, direttore scientifico di Hans Jonas: «Il libro è per me un punto di partenza per un’importante riflessione circa il futuro della prossima generazione, totalmente diversa da quella di cui io faccio parte e che ho conosciuto». I compromessi che il neostato doveva affrontare erano molteplici, ricorda Meghnagi, e Ben Gurion non solo si raffrontava con un pubblico misto di religiosi e laici, ma in più doveva raffrontarsi con i sopravvissuti della Shoà, non tutti halakhicamente ebrei. «C’è un problema serio di sopravvivenza dell’ebraismo. Dopo millenni abbiamo riacquistato bandiera, moneta, territorio, lingua, tutte le caratteristiche necessarie per la genesi di una nazione: per secoli la religione era stata, nella diaspora, ciò che permetteva a tutti di sopravvivere. E con la nascita del sionismo e di una nuova fase per l’ebraismo ecco che si fa più aspra la differenza tra ebrei della diaspora e ebrei di Israele. La responsabilità verso la Comunità, tanto forte in alcune città della diaspora quanto debole nello stesso Stato Ebraico, dovrebbe spronarci a cercare la risposta a questo interrogativo. Dobbiamo evitare l’abbandono». Questo libro ci aiuta a riflettere, conclude Meghnagi, e cita Dante Lattes per ricollegarsi ad Arbib: è fondamentale distinguere bene ciò che è Halakah da ciò che è politica.

Parlano quindi due rappresentati dei giovani, Yair Danzig, per molti anni Shaliach del Bnei Akiva, e Simone Mortara, membro dell’European Council of Jewish Communities. Yair ha portato la sua esperienza personale, di israeliano. «I ghiurim in Israele sono ora estremamente complessi, quasi impossibili: questo però è ingiusto, perché se esiste la possibilità di conversione essa dovrebbe essere sì rigorosa, ma comunque fattibile». Fa quindi un parallelismo tra il clima di allora e il presente: «Ben Gurion si trovò a mediare in una comunità animata da un pluralismo di ebraismi: e così è anche tuttora. C’è di tutto un po’ e bisogna saper vivere e non rimanere chiusi. Esiste la religione e poi c’è la politica. Dovrebbero essere argomenti scissi, anche se le notizie delle ultime ore sulle scelte e alleanze di Netanyahu dimostrano che non è così».
«Ammiro Ben Gurion-dice Mortara- che ha intravisto una finestra di opportunità non coinvolgendo solo la Rabbanut. Il problema di chi poteva ricostruire lo Stato ha origini antiche, e lo ritroviamo già dopo l’esilio babilonese. Rispondere oggi all’interrogativo ‘’chi è ebreo’’ presuppone l’identificazione della nostra società come di una società liquida, come diceva Bauman. Abbiamo un concetto complesso di identità, fatto di autodeterminazione e indipendenza, personale prima di tutto». Qual è quindi l’identità oggi? si chiede Mortara, come muoverci? La risposta forse sta proprio nell’Halakah, nella sua etimologia: lech-lechà, andare verso. Andare oltre.

E ultimo relatore è il professor Mino Chamla, docente di storia e filosofia. «Religione e Popolo abbiamo capito essere inscindibilmente legati: rinunciare a questa identità equivarrebbe a riconoscere un capovolgimento totale del discorso. Vedere l’ebraismo come sola religione porterebbe alla perdita di un’insita specificità. Diverso però intendere lo Stato come religioso, e so che dicendo questo attirerò l’inimicizia di alcuni. Uno Stato per definizione deve essere democratico e laico. Bisogna radicalmente cambiare visione, è inammissibile non contemplare per esempio il matrimonio civile. Compito della politica è non essere tollerante alle intolleranze: chiarito ciò abbiamo due percorsi che possiamo seguire parallelamente. Il primo fenomenologico, che mira a indagare come gli ebrei identificano se stessi, e il secondo che percorre proprio il pensiero ebraico moderno che ha come scopo ultimo l’emancipazione». C’è bisogno quindi di una netta distinzione tra Sinagoga e Politica, distinzione da cui trarrebbe vantaggio soprattutto la prima, secondo Chamla.

Chiude rav Della Rocca: «Sono temi non catalogabili quelli di questa sera, ma fonte di studio e come tali verranno ancora affrontati nelle prossime settimane». Nella cultura ebraica, continua Della Rocca, religione e discussioni terrene non sono distinguibili: il rabbino come figura di sapiente e maestro a cui si chiedevano consigli sulla vita di tutti i giorni ne è l’esempio. «Israele come sappiamo è all’avanguardia nell’industria dell’high tech: è nel nostro DNA. Siamo un tutt’uno di sacro e profano».

Grazie all’Associazione Hans Jonas, curatrice dell’ebook, “Che cosa significa essere ebreo?” di Eliezer Ben Rafael è disponibile in forma gratuita sulla piattaforma web della Proedi Editore.