Bill Bernbach, colui che portò il modello delle scuole talmudiche nella pubblicità. Rivoluzionandola

di Dario Diaz
La legge della comunicazione dice: La verità non è verità finché la gente non vi crede, e non possono credervi se non sanno cosa dite, e non possono sapere quello che dite se non vi ascoltano, e non vi ascoltano se non siete interessanti, e non sarete interessanti se non dite le cose con immaginazione, originalità, freschezza.

Un’agenzia aperta agli esclusi

A pronunciare questa frase fu Bill Bernbach, uno dei padri della pubblicità moderna. Bernbach era un bravo copywriter nato nel Bronx nel 1911 da famiglia ebraica, che negli anni 50 fonda una propria agenzia di pubblicità: la Doyle Dane Bernbach. E da qui comincia la storia che ha dato una svolta alla pubblicità.

A quei tempi nel mondo dorato di Madison Avenue (via di New York dove avevano sede le maggiori sigle dell’advertising) si assumevano quasi esclusivamente wasp. Italiani, greci, neri, latino-americani ed ebrei ne erano praticamente esclusi. Ma Bill, con la sua coraggiosa disobbedienza, cambiò rotta è cominciò ad assumere nella propria agenzia gli esclusi, portando nei reparti creativi culture nuove, fresche, diverse, innovative.

Un nuovo modello di lavoro

A quei tempi i cosiddetti creativi ovvero il copywriter, colui che scrive e l’art director, colui che si occupa della parte visiva, lavoravano ciascuno nel proprio ufficio, e quando nell’uno o nell’altro nasceva un’idea, questa veniva trasmessa all’altro, che gli metteva un titolo nel caso del copywriter, o un’immagine nel caso dell’art.

La grande intuizione di Bill Bernbach fu quella di metterli a spremersi le meningi insieme nello stesso ufficio, affinché lavorassero uno per l’altro, in intima intellettuale convivenza, scambiandosi idee intorno ad una storia, intorno all’IDEA, in modo che testo e immagine si compenetrassero in una forma di racconto intorno al prodotto da pubblicizzare, racconto che doveva essere nuovo, interessante e stimolante…e un pizzico di humour non guastava mai. Fu una svolta che cambiò il modo di CONCEPIRE la pubblicità, e questa nuova forma di concezione cambiò radicalmente il “prodotto pubblicità” nella stampa, nella televisione e nei manifesti.

Questo atto di radicale disobbedienza alle leggi codificate dell’advertising di allora, fu chiamata nel tempo “rivoluzione creativa”, e fu presto adottata da tutte le agenzie di pubblicità del mondo.

Ragazzi in una yeshivà studiano in coppia i testi
Ragazzi in una yeshivà studiano in coppia i testi

 

Ma quale fu la fiammella che innescò l’incendio della rivoluzione? Risposta: la yeshivà.
Come detto, Bill Bernbach era ebreo e nasceva da una famiglia osservante. Quindi sapeva che nelle yeshivot, luoghi di studio su testi del Talmud e della Torah, i ragazzi che la frequentavano studiavano e interpretavano questi testi in coppia, in modo da poter discutere e scambiarsi opinioni su certe interpretazioni di una certa frase di cui sviscerare il significato nelle sue profondità. E questo è lavoro che necessita creatività, originalità interpretativa, capacità di andare oltre il testo e l’ardire di forzarlo.

Proprio come quando art e copy si guardano in faccia e cominciano a parlarsi, a discutere, ad arrabbiarsi l’un con l’altro, a essere d’accordo e a non essere d’accordo. Finché arriva quel momento, che prima o poi sempre arriva, in cui la parola che aleggia nel loro piccolo ufficio, è: eureka, (esclamazione non strettamente ebraica…).