«Uffa mamma, che sbatti!» Teen-ager: istruzioni per l’uso

Opinioni

di Daniela Ovadia, Hamos Guetta, Francesca Modiano, Eliana Feyer

Li guardiamo e non riusciamo a capirli: hanno tutto ciò che desiderano, vivono immersi in un mondo pieno di stimoli e di possibilità, sono amati e viziati. Eppure gli adolescenti di oggi sono sempre più ansiosi, tormentati, eccessivi. E privi del più elementare senso del limite. Colpa loro? Colpa nostra, che non sappiamo più trasmetterlo? Il disorientamento è ovunque. Ecco perché forse la ricerca di un supporto psicologico sta iniziando a diventare diffusa anche tra i ragazzi apparentemente più protetti, quali sono quelli della Comunità. “Anzi, nel nostro ambiente a volte la protezione può sconfinare nella chiusura e complicare il già difficile processo di crescita identitaria degli adolescenti” spiega Eliana Feyer, psicologa e insegnante di filosofia presso la scuola di via Sally Mayer.

Giovanissimi in difficoltà davanti agli scogli esistenziali della crescita, genitori allo sbando, liti e scontri quotidiani che lasciano increduli e stremati tutti quanti. “Le richieste di supporto sono in crescita costante” conferma Andrea Cortesi, psicologo del Centro di terapia famigliare e psicoterapia infantile di Milano. “E all’origine spesso c’è l’ansia, motore principale di tutte le altre manifestazioni, dalla depressione ai disturbi dell’alimentazione come l’anoressia e la bulimia”.

La fase più critica si manifesta intorno ai 14 anni, con l’ingresso nella scuola superiore: “I ragazzi non reggono all’impatto con una scuola selettiva e la loro ansia è da prestazione. Siamo una società basata sulla conoscenza: per stare al passo bisogna sapere molte più cose che in passato. Inoltre la famiglia è strutturata diversamente e spesso assistiamo alla completa assenza della figura paterna, il cui ruolo genitoriale viene in tutto e per tutto supplito dalla madre” spiega ancora Cortesi.

Una recente indagine promossa da Eurispes e Telefono azzuro su oltre 1.500 adolescenti dai 12 ai 19 anni rivela che oltre il 56 per cento degli intervistati teme di deludere i genitori, mentre quasi il 53 per cento teme in generale di fare brutta figura.

E le più insicure sono le ragazze, che alle comuni incertezze dei coetanei maschi su scuola e socialità, sommano anche quelle sull’aspetto fisico, come spiega Erin A. Munroe, counsellor di Boston, negli Stati Uniti, specializzata nella salute mentale degli adolescenti e autrice di un best seller ora tradotto anche in italiano da Franco Angeli e intitolato Ragazze, controlliamo l’ansia!. Attraverso un approccio pragmatico, tipico delle strategie cognitivo-comportamentali di matrice statunitense, la Munroe propone esercizi e stratagemmi per non farsi sopraffare dall’agitazione e per mantenere il controllo sui fattori di stress. “Perché l’ansia colpisce proprio le ragazze? Le ipotesi sono molte: ci potrebbe essere una componente genetica, quando anche la madre è un tipo ansioso. Oppure una causa ormonale o, infine, una componente sociale, perché ci si aspetta che le donne prendano a cuore ogni cosa. Ci sono studi a sostegno di ciascuna di queste teorie” spiega l’esperta.

Si può controllarla imparando a conoscersi, attraverso speciali “diari dell’umore” che aiutano a individuare le situazioni più a rischio. La Munroe suggerisce anche esercizi di autostima: se l’adolescente si sente brutta e inadeguata, è necessario addestrarla a pensare diversamente, anche attraverso tecniche di autoipnosi ed esercizi fisici. “Le ragazze di oggi tendono a essere troppo sedentarie, quando è noto che la ginnastica o la corsa favoriscono il rilascio di neurotrasmettitori del benessere. Inoltre un’attività fisica equilibrata serve anche a regolare il rapporto col cibo” conclude l’esperta americana. La ricetta made in USA non convince del tutto la psicologa Eliana Feyer, che preferisce andare alla ricerca delle cause: “Gli esercizi aiutano a superare un sintomo, l’ansia, che ha certamente una causa profonda. Se non si aiuta la ragazza a scoprire il perché del suo malessere, questo prima o poi si ripresenterà”.

Anche i maschi possono adattarsi male al passaggio alla vita adulta, che impone di farsi carico delle proprie responsabilità. “Il fatto che questi ragazzi siano sempre connessi attraverso computer e telefonini fa sì che non si sentano mai soli o, meglio, che non imparino a reggere la solitudine. Il diventare adulti, l’assumersi responsabilità, presuppone la capacità di pensare e decidere in autonomia”, spiega ancora Andrea Cortesi. Il campione di adolescenti intervistati da Eurispes e Telefono Azzurro conferma: il computer e Internet occupano ormai più tempo della televisione, mentre un quarto degli adolescenti usa il cellulare per più di quattro ore al giorno. Sempre iper-connessi, con punte di 18 ore al giorno. Risultato: l’intaso, l’ingorgo, l’incapacità di iniziare e finire un discorso o fissare l’attenzione su una cosa per più di pochi minuti. “Non dobbiamo però temere le nuove tecnologie, ma comprenderle, specie per quel che riguarda il loro impatto sull’evoluzione dei ragazzi” spiega Matteo Lancini, psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano. Insieme alla collega Laura Turuani ha scritto Sempre in contatto-Relazioni virtuali in adolescenza (Franco Angeli), dove affronta con lo sguardo dello psicoanalista il mondo emotivo dei nativi digitali. “Puntare solo sui rischi delle nuove tecnologie è controproducente” spiega Lancini. “Si rischia di ripetere l’errore che è stato fatto negli anni Settanta nei confronti delle droghe: gli adolescenti sono attratti dal pericolo e quindi mettendo in luce questo aspetto si ottiene esattamente l’effetto opposto a quello desiderato”.

Cosa devono fare allora i genitori che non sanno più come staccare i loro figli dallo schermo del computer? Intanto dovrebbero chiedersi in che modo usano gli strumenti a loro disposizione. I cellulari e le chat, per esempio, vengono lasciati perennemente accesi mentre il ragazzo o la ragazza studiano. Non si tratta necessariamente di un elemento di distrazione, ma solo di un modo per non sentirsi soli in una casa dalla quale i genitori sono assenti per molte ore.

E i social network aiutano anche, in alcuni casi, a mitigare le paure legate ai primi amori o alle relazioni veramente importanti. “Attraverso gli sms o la chat i ragazzi mantengono relazioni molto più strette di quelle dei loro coetanei di un tempo. E con uno squillo senza risposta fanno sapere al partner, in qualsiasi momento della giornata, che lo stanno pensando” spiega Matteo Lancini. Per questo basta che l’amico o la fidanzata non rispondano per suscitare un senso di abbandono o il timore di aver fatto qualcosa di sbagliato. L’umore precipita sotto i tacchi ed è difficile spiegare ai genitori preoccupati perché un ritardo in fondo banale assume una valenza totalizzante.

“La difficoltà a dare il giusto peso agli eventi e a esprimere giudizi pienamente razionali è peraltro una conseguenza ben nota della incompleta maturazione dei sistemi neurali nel cervello degli adolescenti” spiega Gabriella Bottini, docente di neuropsicologia all’Università di Pavia. “Diversi studi che hanno usato tecniche di imaging funzionale, -cioè che hanno valutato il cervello di adolescenti mentre prendevano decisioni o affrontavano problemi-, hanno mostrato un’immaturità dei lobi frontali, le strutture cerebrali che governano il nostro comportamento e svolgono il ruolo di controllori delle pulsioni per renderci adatti alle regole sociali”. Questa è la ragione per cui gli adolescenti sono più inclini a prendere rischi degli adulti e tendono a decidere secondo schemi mentali non sempre del tutto razionali. “Ovviamente l’ambiente e la cultura mitigano i fenomeni biologici, per cui nel determinare il comportamento dell’adolescente contano molto l’educazione che ha ricevuto e il contesto sociale, ma un certo grado di instabilità emotiva è pressoché inevitabile” conclude Bottini.

Tutto sta nel non superare certi limiti e, soprattutto, nell’identificare precocemente chi ha bisogno di un sostegno professionale perché il disagio generico è diventato malattia. “Un adolescente non manifesterà sintomi all’improvviso”, conclude Andrea Cortesi. “I campanelli d’allarme suonano già nella prima infanzia: bambini che si ammalano spesso e hanno frequenti febbricole senza ragione sono piccoli in fuga per timore di non essere all’altezza”.

Il rischio maggiore, paradossalmente, lo corrono i bambini perfetti: “Quando fanno esattamente ciò che ci aspettiamo da loro, quando si assumono tutte le responsabilità, sono bravi a scuola, ordinati nella vita… significa che non hanno incontrato ancora un genitore che dia loro abbastanza sicurezza da consentire di sbagliare” conclude Cortesi. “I bambini perfetti, una volta cresciuti e giunti alle soglie del liceo, subiranno una brusca e dolorosa battuta d’arresto”.

E un adolescente ebreo che problemi ha in più, rispetto agli altri? “Ha in sé la complessità della propria storia lacerata, e l’urgenza di costruire in modo fluido la propria identità”, dice la psicoterapeuta relazionale Silvia Donati. “Un ragazzo ebreo è chiamato a procedere su un filo sottile; a rischio di cadute rovinose. Per restare in equilibrio funambolico s’interroga sulla sua specificità. Crescere non è per nessuno un processo indolore, tantomeno per un adolescente ebreo nella diaspora”. Per Giulia Remorino Ibry, psicoterapeuta specializzata nel trattare famiglie multiculturali (ha lavorato con adolescenti provenienti sia dalla scuola di via Sally Mayer sia dalle altre scuole ebraiche di Milano),  “tutti gli adolescenti si somigliano e i problemi che emergono non dipendono dalla maggiore o minore laicità o religiosità della famiglia”, spiega. “Certo, la rigidità di certi contesti familiari può esacerbare la ribellione dell’adolescente. Allo stesso tempo, però, noto che i ragazzi che hanno un solido retroterra culturale o religioso, nel momento in cui vengono aiutati a uscire dalla fase di opposizione fine a se stessa, trovano il modo di recuperare la parte migliore della propria educazione. Rispetto ad altre famiglie, dove il terapeuta deve aiutare a costruire un’identità dal nulla, spesso quella ebraica offre un ricco retroterra che risulta fondamentale anche in caso di patologie gravi come i disturbi alimentari o le dipendenze”.

Daniela Ovadia

Hamos Guetta: come (forse) evitare gli errori

di Francesca Modiano

È uno dei mestieri più difficili del mondo, un mestiere che si impara sul campo, nel quale spesso si sbaglia ma che se affrontato con affetto e attenzione, dà buoni risultati. Essere genitori di adolescenti è indubbiamente una delle cose più complicate della vita, che spesso cade anche in una fase difficile della vita dell’adulto. Ma quanti genitori sono in grado di mettersi in discussione, smetterla di criticare e trarre poche e chiare regole per svolgere al meglio il ruolo di educatori? Tra questi c’è forse Hamos Guetta, nato a Tripoli, imprenditore a Roma, cuoco per passione, impegnato in volontariato giovanile e culturale, padre di quattro figlie che gli hanno permesso di metter su un “laboratorio casalingo” dove osservare, prendere appunti, riflettere, fare esperimenti educativi, confrontarsi, imparare, fare battaglie e infine ottenere soddisfazioni. Il succo è nel libro Genitori: 60 errori da evitare, venduto nelle edicole la scorsa estate, in migliaia di copie. Il testo affronta i temi dell’educazione dai primi anni di vita (orari, regole, punizioni, pianto, cibo), fino alla adolescenza, periodo in cui i genitori si trovano ad affrontare situazioni difficili: abbigliamento eccessivo, uscite in discoteca, alcool, fumo, sesso e soprattutto scontro e impossibilità di dialogo. Le discussioni in famiglia diventano sfibranti e molto importante è trovare il modo giusto per dire le cose. Eppure i modi per smussare il conflitto e non entrare a gamba tesa ci sono. Suggerisce Guetta: “Fai sempre capire a tuo figlio che lo stimi, diglielo a parole e con centimetri di carezze. Pronuncia più frasi positive che negative nella giornata. Cerca di usare sempre un tono di voce basso, altrimenti apparirai arrabbiato anche se non lo sei. Parlaci sempre da genitore, non da amico. Mostrati sempre attento e vicino ma senza infastidire. Porta sempre pazienza. Lo scontro nel dialogo è spesso inevitabile e può trasformarsi in un litigio senza beneficio. Quindi ascolta molto attentamente ciò che ti sta dicendo, lascia aperta la possibilità che abbia ragione; pretendi di essere ascoltato pure tu ma non sminuire il suo punto di vista soprattutto se riguarda i suoi sentimenti. Tutto sommato la lite condotta nel giusto modo è una dimostrazione d’affetto”. Scrive nella prefazione David Meghnagi, professore di psicologia. “L’amore e il rispetto dei figli si conquistano sul campo ogni giorno, in primo luogo imparando ad ascoltare. Tanti aspirano ad essere dei buoni genitori ma non sanno come fare; eccedono in una misura o nell’altra complicando la vita loro e dei figli”. Il pregio di questo agile libretto sta quindi nella capacità di trasmettere ottimismo e affrontare il da farsi. Ma sono davvero solo 60 gli errori? “Molti di più -dice Guetta-, ma non drammatizziamo”. A leggere il libro, tutto sembra facile ma chi vive e combatte coi figli tutti i giorni, sa che non lo è. Conclude l’autore: “L’educazione è imperfetta per natura. Il figlio non sarà mai quello che avreste voluto. Accettarlo rende felici tutti”. Per ordinare il libro: genitori60@hotmail.it

Spensieratezza, trasgressione e quell’ansia di apparire “sfigati”

di Eliana Feyer

Gli adolescenti della nostra Comunità sono figli di questo tempo inquieto, esattamente come i loro coetanei; come loro risentono dei momenti critici connessi alla crescita ed esprimono il bisogno di svincolarsi dalle figure di riferimento, pur mantenendo fermo un forte bisogno di appartenenza, tipico della cultura ebraica. Come i loro coetanei, anche loro vivono dipendenti dal cellulare e dal computer a cui affidano il bisogno di sicurezza e di risposta alle loro domande, così come le necessità di omologazione sociale. Per come conosco i nostri adolescenti, mi pare di poter dire che talvolta in loro si accentuano alcune delle contraddizioni tipiche dell’età, tra il desiderio di crescere -anticipando i tempi delle cosiddette “esperienze di iniziazione”-, e il bisogno di rimanere bambini il più a lungo possibile per sottrarsi alle responsabilità e alle aspettative del mondo adulto: per questo, a volte, i nostri adolescenti possono esternare atteggiamenti e reazioni molto più infantili della loro reale età anagrafica e nello stesso tempo rivendicare con forza i loro spazi di autonomia. Anche l’esperienza che vivono nel contesto della Comunità può accentuare queste spinte contraddittorie, dal momento che, per ragioni sia di cultura sia di security, i ragazzi crescono in ambienti iper-protetti e rassicuranti. E pur dovendo fare i conti con problematiche impegnative, che chiamano in causa la loro identità più profonda, i nostri teen ager vivono in un contesto in cui il bisogno di integrazione si confronta continuamente con il rischio di assimilazione.

Mi sembra che in genere i nostri adolescenti siano ben consapevoli delle aspettative che gli adulti hanno su di loro e, rispetto ai loro coetanei, sappiano che non possono “perdere tempo” una volta usciti dal liceo. È consuetudine, soprattutto nelle comunità orientali da cui proviene la maggioranza della nostra popolazione scolastica, che le ragazze si sposino molto giovani e che i ragazzi si dedichino alla loro formazione professionale con impegno per poter mettere su famiglia il prima possibile. Questo è uno dei motivi per cui i nostri teen ager vivono gli anni del liceo alternando momenti di spensierata evasione a fasi di ribellione e di trasgressione più o meno accentuate, perché questo è il tempo che si concedono prima di affrontare con maggiore serietà gli impegni e le responsabilità della vita adulta. So di alcuni giovani che hanno vissuto con molta ansia la fase conclusiva del liceo, proprio perché percepivano su di loro le aspettative familiari e, pur non volendole deludere, non si sentivano affatto pronti per affrontarle …

Se in tutti gli adolescenti è molto forte il bisogno di appartenere a un gruppo, come motivo di identificazione e di emulazione reciproca -ma anche per la possibilità che il gruppo offre di condividere esperienze e vissuti personali-, nella nostra Comunità questa dimensione di appartenenza è molto più accentuata. Questo aspetto di condivisione che ha senz’altro i suoi lati positivi, può tuttavia comportare dei risvolti più problematici quando subentrano le inevitabili difficoltà di relazione. Infatti se il rapporto col gruppo non è gratificante come si vorrebbe o ci si sente “esclusi”, questa esperienza può generare nell’adolescente un forte senso di insicurezza e di ansia eccessiva di cui ragazzi più sensibili risentono pesantemente, non sempre trovando un modo costruttivo di far fronte al disagio che provano. Laddove l’essere etichettati come “sfigati” diventa la più immane delle tragedie e tutto diventa lecito pur di non sembrarlo. Ma se occorre quindi trovare dei modi pratici per gestire le ansie -soprattutto in un’età in cui l’ansia rappresenta la risposta fisiologica allo sconquassamento ormonale e psichico in corso-, nello stesso tempo è importante anche imparare ad ascoltare i messaggi che le loro paure ci rivelano. La fretta di risolvere a tutti i costi il malessere legato allo stress, porta a perdere di vista ciò che c’è dietro. In un mondo basato sull’efficienza, sulla performance o sull’essere “figo”, come dicono i ragazzi, si rischia di non dare ascolto a disagi e paure profonde, che ci parlano di ciò che siamo. Al contrario, il disagio, l’ansia, il conflitto di crescita, dovrebbero offrirci l’occasione di fermarci a riflettere su noi stessi e trovare così dentro di noi le risorse con cui far fronte alle inevitabili incertezze e difficoltà del vivere quotidiano. Perché se i problemi scatenati dall’ansia sono troppo invasivi, possono diventare invalidanti.

Un aiuto concreto per genitori e adolescenti: a scuola, lo sportello di ascolto psicologico

Un servizio gratuito, offerto dalla Comunità a tutte le famiglie. È lo Sportello di Ascolto Psicologico creato tre anni fa da Sandra Goldin, psicologa che da tempo lavora nelle scuole di Milano. Chi meglio di lei potrebbe conoscere i nostri adolescenti, i loro punti di forza e le loro difficoltà? Usiamo il condizionale perché di fatto la dottoressa conosce personalmente pochissimi dei nostri liceali, non perché questi non abbiano motivo per chiedere aiuto -le stesse problematiche esistenti nelle altre scuole sono presenti anche nella nostra-, ma semplicemente perché qui si avverte una maggiore ritrosia ad avvicinarsi al terapeuta per chiedere supporto o aiuto. L’interscambio funziona bene con materne, elementari e medie; ai licei c’è il crollo dell’affluenza.

“Esiste il preconcetto che rivolgersi a una psicologa significhi debolezza. Il pensiero dei genitori è: «Se mi vedono entrare in questa stanza, si penserà che abbiamo dei problemi e alloracosa diranno di noi?». Anche da parte dei ragazzi c’è vergogna e paura di essere visti dai compagni; quindi mi sono resa disponibile anche dopo l’orario scolastico. I pochi che sono venuti hanno capito che qui possono parlare liberamente e trovare aiuto per studiare meglio, avere più autostima e diventare più sicuri di sé, avere migliori relazioni con i genitori, amici… Ci possono essere momenti in cui basta un confronto per chiarire pensieri di malessere: problemi coi compagni, con lo studio, in famiglia, di cuore. Qui vige assoluta riservatezza”, spiega Goldin.

Un servizio poco capito e valorizzato, specie tra i teen-ager. “Credo che il contesto ebraico in cui tutti si conoscono fin dall’asilo abbia aspetti ambivalenti: da una parte si è tutti amici, ci si sente in famiglia, protetti; dall’altro il fatto di arrivare al liceo già ‘etichettati’ dai compagni in maniera dispregiativa o positiva che sia, è un rischio grave. Un’immagine cristallizzata non aiuta a crescere bene”.

Problemi di bullismo e aggressività, di bulimia e anoressia, disturbi del comportamento, eccesso di dipendenza dai social network o più semplicemente le normali difficoltà del periodo adolescenziale.

Se i genitori capissero quanto lo Sportello possa essere utile alla famiglia, probabilmente anche i figli arriverebbero spontaneamente in maggior numero. E anche i professori dovrebbero forse sensibilizzare maggiormente famiglie e ragazzi circa l’utilità di un supporto o di questo stesso servizio.

Senza contare che spesso gli adolescenti non sanno comunicare le proprie emozioni né tantomeno la problematicità delle proprie esperienze: a questo punto il terapeuta potrebbe semplicemente aiutarli a riflettere e a ridurre la confusione che sentono dentro. O aiutare un genitore a gestire il conflitto e non a esasperarlo.“Questo Sportello è uno strumento prezioso che mi ha aiutato quando non sapevo che fare con mia figlia: mi rispondeva male, era troppo aggressiva, si truccava e vestiva in maniera esagerata e vistosa, voleva tornare a casa alle tre del mattino e ogni volta erano urla in piena notte. Il confronto con la terapeuta è stato fondamentale”, dice una mamma con la figlia in quarta superiore. Uno spazio protetto e gratuito, quindi, in cui ognuno può esprimere le difficoltà, il disagio, il dolore e farsi aiutare. Questo è lo Sportello di ascolto. Occorre tuttavia rompere il ghiaccio, avere solo un po’ di coraggio e… bussare.

(Francesca Modiano)