Lettera aperta al Ministro degli Esteri Massimo D’Alema

Opinioni

Siamo assai meravigliati da alcuni passi di una recente intervista del Ministro degli
Esteri Massimo D’Alema sull’Unità.

Siamo noi, e molti altri come noi, gli ebrei “silenti” che D’Alema chiama in
causa, imputandoci il fatto che “…la coraggiosa asserzione [di David
Grossman] non trovi una eco nel mondo democratico ebraico [in Italia] ; ciò
non può non porre preoccupanti interrogativi.” Rovesciando la tesi, a noi
proprio questa affermazione pone “preoccupanti interrogativi”. Suona come
una messa in stato d’accusa degli ebrei italiani, destinata a influenzare
un’opinione pubblica già pregiudizialmente ostile a Israele e propensa a
considerare gli ebrei come un tutt’uno monolitico, sempre allineato nel
sostegno ai governi di Israele.

Il Ministro D’Alema non può non sapere che gli ebrei italiani sono
cittadini di questo Paese e come tali si esprimono nei partiti, nella
società civile, nel dibattito culturale; che una parte cospicua di essi ha
militato da sempre nei partiti di sinistra; che la stessa sinistra
italiana – e mondiale – è fortemente intrecciata nelle sue radici e nella
sua storia con quella del mondo ebraico.

Gli ebrei italiani nutrono per Israele un forte legame affettivo. Ma essi
non sono cittadini-elettori di quel paese. Ci accomuna la volontà di
difendere il diritto irrinunciabile di Israele a una esistenza pacifica e
sicura, ancora oggi messo in forse a quasi 60 anni dalla nascita dello
Stato. Ma ci interroghiamo con angoscia e spesso aspramente ci dividiamo
circa le azioni dei suoi governi.

Il Gruppo Martin Buber-Ebrei per la pace (www.martinbubergroup.org) ,
attivo dal 1988, muove dalla convinzione dell’esistenza di diritti nazionali
di pari dignità dei popoli israeliano e palestinese e della necessità di una
soluzione negoziata del conflitto sulla base del principio di “Due stati per
due popoli” e dell’ Accordo di Ginevra del 2003. Le posizioni del Gruppo
sono apparse più volte sulla stampa italiana, israeliana e di altri paesi.
Ben prima di noi, sin dal 1967 la sinistra ebraica italiana, come quella di
altri paesi europei, ha promosso idee di dialogo e di pace, fra l’altro
affermando il diritto dei palestinesi a uno stato indipendente allorché l’
idea era anatema in Israele e sconosciuta nel resto del mondo. Basti
scorrere le pagine del giornale ebraico torinese Ha-Keillah che da trenta
anni dibatte questi temi.

Quanto alle nostre posizioni oggi, riconosciamo al governo italiano e al
ministro degli Esteri il merito di notevoli sforzi compiuti per una
soluzione negoziata del conflitto in Medio Oriente. Riteniamo meritoria l’
azione delle Nazioni Unite e dell’Italia ai confini fra Libano e Israele.
Riteniamo che l’apertura di trattative con l’Autorità palestinese, qualora
si formasse un governo di unità nazionale, e con la Siria sia una necessità
vitale per Israele, stretto da ostilità su troppi fronti; che i palestinesi
debbano trovare in se stessi volontà e capacità di costruire un embrione di
stato a Gaza, con un legame fisico e politico con la Cisgiordania evacuata
da Israele, invece di insistere in una sciagurata guerriglia contro Israele;
che Israele debba porre fine a azioni di guerra che troppo spesso
colpiscono civili innocenti.