Lettera aperta a Gabriele Nissim e agli esponenti delle Comunità ebraiche italiane

di Maryan Ismail, Ambasciatrice di Gariwo

Dopo la morte di mio fratello ambasciatore Yusuf Mohamed Ismail Bari-Bari, avvenuta a Mogadiscio il 27 Marzo 2015, per mano dei jihadisti somali di Al Shabaab, iniziai un percorso di racconto e confronto con l’amico Gabriele Nissim, presidente di Gariwo.

Gariwo è l’acronimo di The Righteous Worldwide Onlus, una Fondazione che dal 1999 promuove la conoscenza del coraggio civico dei Giusti, persone che in più parti del mondo hanno protetto e salvato gli ebrei perseguitati dal folle disegno di sterminio dell’ideologia nazi-fascista, ma non solo, ispirandosi a Yad Vashem in Israele.

Il valore che Gabriele Nissim sostiene è che “il Bene sia un potente strumento educativo e serve a prevenire genocidi e crimini contro l’umanità”. Un messaggio potente di fratellanza e sorellanza umana universale che la mia famiglia, con il martirio di mio fratello, ha contribuito a costruire e diffondere con un tributo altissimo e che, ovviamente, ho sposato immediatamente.

Ammiro e voglio bene al fratello Nissim, a cui avevo già espresso le mie perplessità e imbarazzi sulla Carta della Memoria che trovavo molto confusa per la presenza di concetti e indirizzi che includono temi tra loro irriducibili, che per gravità e delicatezza richiedono di essere trattati separatamente e in maniera specifica, il che certamente non esclude rimandi e comparazioni.

Tra questi, in particolare, vi è la questione della Giornata della Memoria, che, pur avendo certamente anche un valore universale, serve anzitutto e fondamentalmente per contrastare l’antisemitismo, non riducibile in alcun modo al solo nazifascismo e oggi in rapida crescita con forme nuove e da parti diverse.

L’antisemitismo è un male specifico, non è razzismo. L’antisemitismo deve essere combattuto per quello che è, con i suoi discorsi, i suoi luoghi comuni, le sue allusioni, i suoi non detti e le sue strategie.

La Giornata della Memoria, se non affrontata specificamente, risulta paradossalmente ambigua ed inefficace proprio sul piano dell’antisemitismo contemporaneo.

Anche il razzismo, crimine orrendo, ha le sue strategie e la sua storia. Per contrastarli e tentare di disattivarli entrambi, devono essere conosciuti senza generalizzazioni o riduzioni dell’uno all’altro; e, se talora i linguaggi e le modalità di odio si sovrappongono, è vitale capire in quale contesto, come, quando e perché.

È per questa e altre ragioni che considero insidiosa, in alcuni suoi punti, la Carta della Memoria.

Non solo: le altre Memorie, come quelle del Genocidio Armeno, oppure, specifica e ancora diversa, quella dell’infame e crudele deportazione sistematica in schiavitù di milioni e milioni di africani, condotta dalle potenze occidentali per oltre due secoli e con perfetta abominevole contabilità, meritano rispetto e ricordi specifici, senza essere indebitamente sussunte nella Giornata della Memoria della Shoah.

Il problema non è la “concorrenza” tra le Memorie o – peggio- l’usarne una perché le altre siano a traino, ma il coinvolgimento reciproco in Memorie diverse, debitamente e distintamente onorate e ricordate.

Cedere proprio su questo punto crea confusione, perché è riduttivo, scientificamente poco serio, politicamente azzardato e, ancor prima, iniquo e devastante.

Di recente, la polemica e la confusione sono state ulteriormente esacerbate da un articolo giornalistico e da un post di Antonio Ferrari.

Anzitutto, in quanto donna, mi ferisce profondamente la misoginia e la volgarità del machismo senescente e ariano del giornalista Antonio Ferrari, anch’egli come me, ambasciatore Gariwo. Credo che, solo per questa sua odiosa uscita, oltre alle scuse a noi signore di ogni etnia e fede, sia inconciliabile la sua presenza con quella di ogni ambasciatrice e sostenitrice Gariwo. Ne va della nostra dignità e pari opportunità riconosciute dalla Costituzione Italiana e dallo stesso statuto di Gariwo.

In questi mesi di letture delle critiche alla Carta della Memoria -mosse da molti esponenti dell’ebraismo italiano, ma non solo- e successivamente alle reazioni suscitate dal già citato articolo di Ferrari, faccio mie le considerazioni di Rav David Sciunnach, del rabbino  Giuseppe Momigliano, nonché del Rav Alfonso Arbib presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana e Rabbino Capo di Milano, che ho sentito personalmente più volte.

È per me inaccettabile come somala mussulmana che cerca di dialogare, confrontarsi e collaborare in maniera credibile con il mondo ebraico, che, proprio tra le personalità interne o vicine a Gariwo, segnalate sul quel sito istituzionale, vi siano persone contigue al movimento e all’ideologia che promuove il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele), storicamente legato alla Fratellanza Islamica, Hamas e Hezbollah.

Stupisce che su tutte queste commistioni e non detti, ostacolo a qualsiasi forma di chiarezza per la costruzione della pace in Medio Oriente, Africa e sempre più nelle nostre società plurietniche e plurireligiose europee, Gariwo non si tuteli da forme insidiose di pensiero o da persone che fanno dichiarazioni quantomeno problematiche.

Al riguardo, non posso che condividere l’amara sorpresa del rabbino Sciunnach circa il pubblico silenzio di Milena Santerini, specie a fronte dell’articolo di Ferrari e delle accuse vergognose da costui rivolte indistintamente alle comunità ebraiche e a molti loro rispettabili esponenti e membri, anzitutto in ragione, come è stato osservato, del suo mandato governativo di coordinatrice per la lotta all’antisemitismo, nonché a fronte del suo passato impegno parlamentare proprio nella Commissione europea uguaglianza e non discriminazione.

Non solo. Stupisce assai che le comunità ebraiche abbiano sottovalutato la pericolosa incidenza di certe prospettive ambigue e confuse della Carta della Memoria, come pure di certe personalità coinvolte in questa importante istituzione, non solo per se stesse ma per tutta la collettività civica e civile.

Come ambasciatrice di Gariwo auspico che venga avviata fattivamente una profonda e significativa rivisitazione di certe posizioni e pratiche sinora invalse, in maniera che Gariwo possa rafforzarsi, non entrare in contraddizione con se stessa, come sta accadendo,  e non perdere il sostegno, oltreché mio, del principale e “naturale” partner e riferimento, ossia le comunità ebraiche, che hanno inevitabilmente rinvenuto nell’amalgama insidie, talune surrettizie altre dichiarate.

A vent’anni dalla nascita di Gariwo, e per consegnarla al meglio al futuro, suggerisco all’amico Gabriele di trarre un bilancio franco degli obiettivi conseguiti, come pure di individuare e prontamente correggere, dando segnali tangibili e inequivocabili, le inevitabili storture che il tempo, gli impegni e il non risparmiarsi talora possono ingenerare senza che ce ne si sia resi conto.

Salam, Shalom, Pace,

Maryan Ismail