La libertà e i significati della ricerca storica: “archeologia” di notizie, funzionali all’interpretazione del presente

di Claudio Vercelli

[Storia e controstorie] Se lo storico di professione rivendica a ragione la sua libertà di ricerca e divulgazione dei suoi risultati, non è meno vero che nelle nostre società la ricostruzione del loro passato è spesso un campo di conflitti. Ovvero, è un contesto di parole, saperi, idee e fonti che non si presenta come un insieme statico, precostituito, sempre uguale a sé. Soprattutto, non implica sempre e comunque la condivisione a priori delle medesime opinioni. Poiché la storia non è mai una raccolta di cronologie bensì la definizione dei rapporti, dei legami, delle relazioni tra ciò che è stato e quanto invece è dato nel pre-sente.
Ricostruire la storia di una società, di una comunità, di uno stesso individuo non è un mero esercizio di acquisizione di dati ma lo sforzo, una volta che si siano consultate fonti e verificate un insieme di informazioni, più o meno grezze, di dare un senso e, con esso, una correlazione di significati, a ciò che di quanto è trascorso arriva fino a noi.
Fare storia implica sia il dotarsi di un metodo rigoroso di ricerca sia di tenere nella dovuta considerazione non esclusivamente un oggetto di ricerca, quello su cui si sta indagando (che si tratti di un evento piuttosto che di una persona) ma anche e soprattutto del contesto nel quale esso è inserito. Non di meno, rispetto alla medesima materia di indagine, i punti di osservazione possono essere molteplici. Per fare un esempio, se si guarda una montagna di questa si avranno impressioni diverse a seconda del luogo in cui, chi lo fa, si posiziona: la montagna, in altre parole, è sempre la medesima ma il modo in cui verrà descritta non sarà mai il medesimo. Non cambia l’oggetto osservato ma il punto di vista dell’osservatore. E con esso, le impressioni che se ne ricavano.
Un tale riscontro vale ancora di più se si parla non di cose al presente, tangibili nella loro esistenza materiale, ma di quanto resta di quello che è avvenuto e del quale rimangono alcune tracce, comunque da identificare e interpretare. In altre parole, è un lavoro di vero e proprio scavo quello che va altrimenti fatto in quest’ultimo caso.
Spesso lo storico è un archeologo delle notizie, dovendo dissodare dati da quella terra, fatta spesso di ombre e di nebbie, che è il passato.
Detto questo, c’è ancora dell’altro da aggiungere.
Nelle nostre società, infatti, malgrado la forte propensione all’innovazione, quindi allo sguardo verso i tempi a venire, è non meno diffusa la volontà di giustificare una parte importante dei cambiamenti in corso legittimandoli con una qualche linea di continuità rispetto a ciò che è stato. In altre parole, il passato ha una sua autorevolezza: dire che ciò che avviene trovi un fondamento in una linea di continuità, ovvero nella consapevolezza di quanto è già stato, è inteso come indice di cognizione, misura e sensibilità. Soprattutto se si parla di quel fenomeno tanto potente quanto per più aspetti indefinibile che abbiamo imparato a definire con la parola «memoria».
La memoria, infatti, non è solo una forma di consapevolezza della lunga durata di tanti aspetti delle nostre società ma un elemento che ne legittima il valore morale e civile.
Non a caso è parte integrante della cittadinanza, ossia dell’insieme di convincimenti e idee di fondo che sono parte imprescindibile della solidarietà, della reciprocità, della libertà e della giustizia. Senza un comune terreno di condivisione, infatti, tutto questo diventa molto difficile se non impossibile.
Lo storico cosa c’entra con quest’ordine di considerazioni?
Il suo ruolo di fondo non è solo quello di raccontare, nella maniera più rigorosa possibile, il passato ma di offrire strumenti per comprendere meglio il significato degli avvenimenti presenti. Il suo lavoro di ricostruzione, quindi, è fondamentale per definire non solo ciò che è stato ma anche e soprattutto cosa significhi parlare di grandi aggregati umani, della loro azione collettiva, delle scelte da questi esercitate dinanzi alla pressione del proprio tempo, come anche dei rapporti di forza e di potere che creano, ma a volte anche disfano, delle comunità storiche. Non è un impegno da poco, a ben pensarci.