La “costruzione del nemico”, funzionale alla sopravvivenza delle dittature e dei regimi illiberali

di Claudio Vercelli

[Storia e controstorie] Così come il bene e il male non sempre possono essere affettati al pari, invece, del pane, al medesimo tempo e negli stessi modi lo spirito dei tempi che stiamo vivendo non può essere facilmente racchiuso in generalizzazioni di comodo. La vita, nelle società contemporanee, è troppo complessa, e articolata, per risolversi in pochi assunti di principio. Si rischia, altrimenti, di fare dell’ideologia. Ossia, quel tipo di pensiero che cristallizza, in categorie illusorie, la pluralità dell’esistenza. Detto questo, a titolo meramente precauzionale, in quanto cornice di merito, rimane tuttavia il resto. Ovvero, la contrapposizione, che si va facendo sempre più marcata, tra modelli ibridi – ma pervasivi – di autocrazie, oligarchie e sistemi dittatoriali (tutti sostenuti da una qualche complice collusione di una parte della popolazione: nessun regime, infatti, può sopravvivere se non raccoglie un qualche consenso diffuso) e democrazie, al medesimo tempo liberali (laddove si rispettano i diritti alla differenza da parte dei singoli) e sociali (il diritto alla giustizia sociale).

Parrebbe quasi di potere dire che in questo terribile confronto, storicamente per nulla inedito, la mortale seduzione delle prime stia sopraffacendo la forza residua delle seconde. Le quali nascono nel Novecento, il secolo da poco trascorso, anche come risposta alla tentazione totalitaria. Il nocciolo di qualsivoglia democrazia, infatti, non riposa in “valori eterni” (di fatto una mera finzione, malgrado tutto, in quanto revocabili ad ogni crisi di regime) bensì nella consapevolezza che se si intendono preservare le condizioni di vita associata, quindi in comune, senza che da ciò ne derivi la prevaricazione del più forte verso i tanti più deboli, occorre dare corso ad un ampio sistema di poteri, capaci al medesimo tempo di soddisfare i bisogni delle collettività così come di impedire che la potenza di certuni si imponga sull’esistenza dei molti altri.

Ciò che conosciamo con il nome di “pluralismo”, ossia la coesistenza di eguali diritti tra persone e gruppi differenti tra di loro, è anche il prodotto di un tale stato di cose. I regimi illiberali, invece, fanno strame di tutto ciò, indicando illusorie soluzioni a problemi complessi, a partire da quello della coesistenza tra minoranze e maggioranza. Non è infatti un caso se, prima o poi, questi si esercitino contro un qualche gruppo, bersagliato come una sorta di target collettivo, cercando in tale modo di distogliere l’attenzione della società dalle vere ragioni del comune disagio.

Gli integralismi, i fondamentalismi, gli identitarismi e molto altro, lavorano quindi contro una prospettiva democratica. Il loro campo, quello sul quale riescono meglio a fare pressione, è la paura. Ovvero, l’angoscia di perdere se stessi, il proprio posizionamento nella società, le sicurezze alle quali qualsiasi essere umano altrimenti spasima ancorandosi alla collettività. Poiché senza di esse, non solo rischia di non potere continuare ad esistere in quanto cittadino ma, cosa non meno rilevante, viene consegnato a una sorta di percorso di auto-disintegrazione dal resto della società. Se tutti noi siamo disposti a dirci “differenti” dalla massa degli individui, all’atto concreto non sappiamo poi come distanziarcene. Ossia, temiamo l’isolamento che da ciò potrebbe derivare. La pressione della collettività (approvazione e solidarietà, accoglimento e condivisione di contro alla disapprovazione e all’indifferenza, alla stigmatizzazione e al rifiuto) è un elemento decisivo nella vita non solo della maggioranza ma anche delle minoranze. Storicamente, i regimi illiberali si sono basati sull’istigazione della contrapposizione tra una maggioranza conformista, le cui opinioni sono fondate sul conservatorismo e sul convenzionalismo più spiccati, e gruppi bersaglio indicati, di volta in volta, come i portatori di una qualche minaccia per l’integrità dell’intera società.

Mentre la democrazia richiama la libera e consapevole unione tra diversi, i governi e le istituzioni antidemocratiche necessitano di un nemico, non importa quanto fittizio, contro il quale indirizzare l’attenzione (e la rabbia) della popolazione. Il consenso che questi riescono, in un tale modo – decisamente truffaldino – a raccogliere, è tanto più forte nella misura in cui la minaccia è alimentata ad arte, creando un bisogno di protezione che le stesse élite fingono di volere soddisfare. Si tratta di un meccanismo per nulla inedito che, tanto più in società di massa, ha funzionato nel passato e, per diversi aspetti, torna ad agire oggi. I totalitarismi novecenteschi non hanno fatto altro che amplificare questa eco, trasformando la vita collettiva in un continuo richiamo al bisogno di mobilitarsi contro un avversario tanto pervicace e pervasivo quanto, a tratti, quasi invisibile. Nel nome di quest’ultimo obiettivo, si sospendono le garanzie istituzionali e costituzionali, si attenuano – fino ad ucciderle – le libertà, si attenta ai principi più elementari di giustizia. La storia, beninteso, non si ripete mai. Tuttavia, c’è spesso un passato che non trascorre del tutto ed è quello per il quale, nel nome di una qualche “sicurezza” collettiva, così come di un presunto diritto ad una rivalsa, si può arrivare a distruggere, con un’azione eversiva, la democrazia operando al suo medesimo interno. Per queste ragioni, così come per tante altre, è bene guardarsi dai non pochi pifferai magici di Hamelin che, suonando melodie con i loro strumenti a fiato, si portano via la libertà stessa. E con essa anche la vita di certuni. A volte di molti.

 

Foto in alto: un frame di Maus