Gli omicidi di Vittorio Arrigoni e Giulio Regeni: perché i media italiani hanno affrontato due casi simili in modo tanto diverso?

Opinioni

di Angelo Pezzana

GIULIO-REGENIPuò un argomento “delicato” escludere un paio di domande scomode? Mi auguro di no, perché voglio esaminare come i media italiani hanno affrontato due casi simili, quella di due giovani attivisti rapiti e uccisi, la cui sorte è stata raccontata, anche se il perché delle loro morti rimarrà, probabilmente, senza risposta. Sono Vittorio Arrigoni e Giulio Regeni, il primo sequestrato a Gaza il 14 aprile 2011, il cui corpo viene ritrovato dopo un paio di giorni in una abitazione della Striscia, sgozzato secondo alcuni, strangolato secondo altri. Vengono individuati i rapitori, però in uno scontro a fuoco vengono uccisi. Le autorità li identificano quali aderenti a un gruppo salafita autonomo, che avrebbe richiesto la liberazione di un capo salafita; l’unica testimonianza rimane quella di un video, nel quale il sequestro di Arrigoni viene giustificato da una affermazione, l’accusa di “essere entrato a Gaza per portavi la corruzione dei costumi” (era infatti stato catturato mentre usciva da una palestra). La storia era molto confusa e tale rimarrà, gli esecutori del sequestro debitamente eliminati, l’unica versione consentita è quella di Hamas. Arrigoni, come Giulio Regeni, scriveva sul Manifesto, avevano in comune una parentela politica, così come nella vita l’impegno comune era la militanza vicina a quelle forze politiche che potremmo definire, semplificando molto, anti-occidentali e legate al mondo estremista islamico. Hamas a Gaza per Arrigoni, i Fratelli musulmani per Regeni al Cairo.

Anche Giulio scompare il 25 gennaio 2016, rapito senza che ancora oggi si sappia da chi e in quale modo. Il suo corpo è stato ritrovato dopo una settimana con i segni di torture e violenze, anche nel suo caso sono stati identificati i rapitori, uccisi in uno scontro a fuoco, esattamente come per Arrigoni. Due destini simili, mentre la militanza di Arrigoni era molto appariscente, anche verbalmente. Su wikipedia, in merito al conflitto israelo-palestinese viene presentato come pacifista “sostenitore della soluzione binazionale”, anche se poi  si aggiunge “si era trasferito nella Striscia di Gaza per agire contro quella che definiva pulizia etnica dello Stato di Israele nei confronti della popolazione araba palestinese”, un modo curioso per definirlo equidistante.

Anche Regeni, oltre a essere ricercatore nella università americana del Cairo, aveva rapporti con forze di opposizione al governo, sindacati clandestini e, soprattutto, i Fratelli musulmani, la parte politica più rilevante che si oppone al presidente Al Sisi. Non è difficile immaginare le ragioni del suo sequestro, in un Paese che poco somiglia a uno Stato di diritto, non diverso dalla maggioranza degli Stati islamici. Storie simili in un destino comune, ma non nel modo in cui sono stati raccontati dai nostri media.
Dopo mesi, la vicenda oscura di Giulio Regeni è tuttora presente, non solo sui giornali; striscioni che chiedono la verità sulla sua morte sono appesi sui palazzi delle istituzioni pubbliche, l’Egitto è stato messo sotto accusa con il richiamo dell’ambasciatore. Tutto giusto, condivisibile.

Ma allora perché sull’assassinio di Arrigoni si è steso un velo pietoso? Persino la madre, che ha accettato per buona la versione di Hamas, ha poi chiesto che l’aereo, sul quale veniva riportata in Italia la bara del figlio, non sorvolasse… Israele! Non Gaza, dove aveva trovato una morte orribile, no, Israele, il paese che Vittorio odiava più di ogni altro.
Che la sua uccisione non abbia suscitato proteste simili a quella di Giulio Regeni sia dipesa dal fatto che avrebbe consigliato ai nostri cronisti di evitare di raccontare la vera verità di quel che rappresenta Hamas a Gaza? L’abituale trattamento di cortesia riservato a chi in Medio Oriente sta dalla parte dei nemici di Israele?