Dopo l’estate

Opinioni

Abbiamo letto i giornali o sentito la radio per le notizie, non per i commenti. Eravamo assetati di una cronaca ora per ora, i commenti e le analisi forse le sappiamo fare anche noi, anche noi siamo in grado più o meno di dare il nostro illuminato parere.

Eppure com’è bello, com’è riposante leggere un commento positivo, una previsione ottimistica, un’opinione equilibrata, anche se questo naturalmente non cambia la situazione, non aggiunge nulla ai fatti. Tuttavia: dato che non siamo solo noi a leggere quel pezzo o ad ascoltare quell’intervista, ci saranno pure altri occhi, altre sensibilità a scrutare fra le righe, a soppesare le parole, a ricevere impressioni che sperabilmente possano fare da contrappeso agli ormai mitici “pregiudizi” (eufemismo).

Qualcuno ha detto: “Ma in Israele non pensano a noi?”. No, non ci pensano proprio, hanno altro da fare. A noi ci dobbiamo pensare noi.

Adesso se – come vorremmo – le cose resteranno più calme sul campo, si scateneranno altri commenti, altri crudelissimi missili verranno lanciati contro di noi.

Contro di noi e anti noi senza se e senza ma. E noi avremo ben poco in mano da contrapporre. Diremo che le vittime di Qana sono state 28 e non 58? Ma se anche un bambino ucciso è già troppo.

E anche se nella testa del giornalista che parla o che scrive è ben chiaro l’equilibrio tra buoni e cattivi, o dove sta il giusto e il torto, trapela sempre una gioia, un’intenzione maligna di non smentire, di lasciar credere, di voler far credere, affinché si depositino e si radichino opinioni ben manichee. Ovvero, come ha scritto Citati (Repubblica 28/8), quegli eventi bellici che riempivano noi di apprensione “suscitavano nelle prose dei nostri giornalisti un buon umore inconsueto”.

Potere della parola: ci aggrappiamo a una voce non negativa sperando di non essere i soli ad ascoltarla e vorremmo cancellare tutto il livore (equidistante, per carità: ma come, adesso non si può più neanche criticare Olmert senza passare per antisemiti?!) che viene instillato da altri articoli, perché nessuno li legga e ne venga influenzato.

Adesso stiamo a vedere cosa succederà, sopra le nostre teste si discute e si decide speriamo per il meglio; per ora si aspetta, combattuti un po’ fra il desiderio di una svolta rassicurante e la paura di vedere una volta di più demonizzati – in italiano – ‘l’esercito di Tel Aviv’, o ‘i soldati con la stella di Davide’ o ‘lo stato ebraico’. Ma non esistono uno ‘stato con la mezzaluna’ o ‘un esercito di Sidone’ o ‘dei militari musulmani’?