Waterloo, Beirut, Gerusalemme, Odessa… Fare la guerra senza neanche accorgersene

Libri

di Cyril Aslanov

[Ebraica. Letteratura come vita] Nei capitoli 3 e 4 della Certosa di Parma Stendhal descrive come Fabrizio del Dongo partecipa alla battaglia di Waterloo senza neanche accorgersene. La descrizione fenomenologica di una realtà militare attraverso gli occhi di un protagonista ingenuo, coinvolto senza saperlo chiaramente in una situazione di belligeranza, mi è tornata in mente quando un’amica di Odessa mi ha detto recentemente: «Le vie che due settimane fa erano il simbolo della dolcevita caratteristica della città portuale sono ormai piene di ‘ricci ciechi’ (ostacoli che fermano i carri armati). Ho l’impressione che si stia girando un film di ricostruzione storica che racconta la Seconda guerra mondiale».

La difficoltà a rendersi conto della vera natura della guerra (la guerra premoderna a Waterloo; il ritorno della guerra convenzionale nell’odierna Ucraina aggredita dai russi) compare anche nella letteratura israeliana.
Sebbene il tema della guerra e delle battaglie sia stato occultato da molti scrittori in cerca di qualcosa che facesse dimenticare loro l’esperienza traumatica da loro stessi vissuta, la guerra è un tema ricorrente in molti autori israeliani. Talvolta diventa l’argomento principale del libro, come in Giorni di Tsiklag di S. Izhar o in Te’um kavanot («Aggiustamento dei bersagli») di Haim Sabato (1999). In questi libri la descrizione delle battaglie combattute da Tsahal (nel 1948 e nel 1973) riflette la cultura militare degli autori, che non è necessariamente condivisa dai lettori. Quando invece l’evocazione di un evento legato alla guerra o al terrorismo viene fatta in un modo ingenuo o pseudo-ingenuo, si crea una piattaforma comune fra il narratore, che cerca di descrivere la guerra attraverso il vissuto immediato (senza applicare la prospettiva del narratore onnisciente), e il lettore che forse ha avuto la fortuna di essere preservato da questo tipo di esperienze.

Questo è il modo più autentico di parlare della guerra giacché spesso nella realtà non si capisce immediatamente ciò che sta succedendo: Fabrizio del Dongo pensa di partecipare ai preliminari di una battaglia quando, in effetti, la sconfitta di Waterloo è già consumata.

Analogamente, crediamo di assistere alla ricostruzione storica di una guerra passata da quasi ottant’anni quando invece la guerra è cominciata veramente, come nel caso dell’amica di Odessa; oppure si descrive una battaglia accanita dalla prospettiva totalmente ingenua di un diciassettenne, come nella scena della battaglia vicino al monastero di San Simon nel quartiere Katamon di Gerusalemme nel famoso romanzo di Meir Shalev Yonah ve-na‘ar (2006), pubblicato in italiano con il titolo Il ragazzo e la colomba (2008). Forse il modo perfetto di evocare il divario fra l’impatto dell’evento (la strage in un campo di battaglia o in un incontro di guerriglia) e il riconoscere chiaramente ciò che è avvenuto si trova nel film d’animazione Vals ‘im Bashir (Valzer con Bashir) di Ari Folman nel 2008 (poi pubblicato sotto forma di un romanzo grafico l’anno successivo). Una delle prime scene del film ci mostra carri armati israeliani appena entrati in Libano nel giugno 1982. Il protagonista principale, che rappresenta la prospettiva di Ari Folman, si trova accanto al suo comandante sulla torretta del carro armato. Dopo aver attraversato una località urbana, i carri armati avanzano lentamente fra il litorale e una piantagione di banane. Sono totalmente rilassati e stanno canticchiando tranquillamente la canzone Levanon, boqer tov («Buongiorno, Libano»), versione israeliana di un canto nello stile della country music che i marines americani cantavano in Vietnam. A questo punto il comandante, che si trova alla sinistra del protagonista principale sulla torretta, riceve una pallottola che lo ammazza sul colpo. C’è un breve attimo quando né il protagonista principale seduto alla destra del comandante ucciso (ma rimasto seduto sul suo sedile) né lo spettatore capiscono ciò che è successo.

Questa percezione immediata che precede la reinterpretazione razionale dell’evento è forse il segreto della forza di certi racconti bellici che, invece di passare dalla macroprospettiva storiografica (come Tolstoj in Guerra e pace) alla descrizione di un contesto preciso, evocano la guerra proprio com’è percepita in tempo reale. Questa percezione sembra talvolta surreale per chi la vive, come l’amica odessita che pensava che una strada usualmente affollata della città portuale ucraina servisse alla ricostruzione scenografica di un film di guerra.