Una famiglia nella tempesta: i Bolaffi, tra armi e amori

Libri

di Liliana Picciotto

Il romanzo familiare di Stella Bolaffi Benuzzi.

Le storie di famiglia sono diventate ormai un genere letterario a sé stante e, in questo filone, si colloca il bel libro di Stella Bolaffi Benuzzi, psicologa, scrittrice, intellettuale attenta ai problemi del nostro tempo. Questa vivace e intelligente donna restituisce nel suo libro l’atmosfera, gli affetti, le conquiste, le lotte intestine vissute da quattro generazioni dei suoi.

La famiglia Bolaffi è un’importante famiglia torinese di solide tradizioni ebraiche, che ha fatto la storia della filatelia italiana. Il nonno Angelo, nato nel 1841, era impresario e attore teatrale livornese, figlio di Jonathan, commerciante di piume esotiche e di gioielli a Gibilterra. Il figlio di Angelo, Alberto, nato nel 1874, cittadino britannico come il padre, visse a Torino in casa delle zie materne Rosina e Ester Tilche. Fu pioniere della filatelia italiana e fondatore a Torino, nel 1890, della ditta Bolaffi. Fu una persona che contò moltissimo nella Torino fin de siècle: uomo di raffinata cultura, poliglotta, studioso di antiche lingue orientali.
Il primogenito di Alberto fu il leggendario Giulio, nato nel 1902, che sviluppò l’attività della famiglia facendo del marchio Bolaffi una star internazionale nel campo della filatelia. Fu anche editore, la cui perizia nel campo dei francobolli era riconosciuta internazionalmente. Giulio è, per l’appunto, il padre di Stella, l’autrice di questo racconto famigliare.

Le fotografie di Giulio ci presentano un uomo serissimo, vestito di scuro, severo e compreso nel suo ruolo di grande commerciante, tutto dedito al lavoro. Colpisce al cuore un’altra fotografia che lo ritrae in tutt’altra tenuta, quella del partigiano Aldo Laghi. È in posa con una divisa da alpino che gli sta a pennello, guarda dritto l’obiettivo come a sfidare il mondo che si è incupito attorno a lui a causa del fascismo e delle ingiustizie che esso ingenerava, compresa quella delle leggi antiebraiche del 1938. Malgrado la non tenera età, Aldo Laghi decise di dare il suo contributo alla lotta contro il fascismo e il nazismo e si circondò di uomini fedeli a lui e all’idea di giustizia. Non ne troviamo tante di persone mature come lui, talmente determinate da decidersi a prendere le armi. L’età media dei partigiani si aggirava intorno ai 18-22 anni e si parla, in generale, di persone inesperte di armi, animate solo da spirito di ribellione, senza chiari programmi in testa. «Tutti noi abbiamo solitamente un dipinto o un ritratto particolarmente caro su cui far cadere lo sguardo e che ci rimanda a sentimenti amorosi, talora nostalgici: io ho questa foto di mio padre partigiano» dice Stella. E dietro la foto, poche righe scritte dalle montagne della Val di Lanzo dove Giulio Bolaffi era rintanato con i suoi uomini, che vestiva e nutriva con i suoi propri mezzi, caso quasi unico nella Resistenza. Si riferiscono al dormire nelle condizioni precarie di un partigiano: “la rivoltella e le due bombe a mano restavano perennemente al fianco o nelle tasche unitamente al sacchetto talismano da te confezionato con la stella di David ricamata”.

Le poche righe alla figlia si connettono al dono della bambina per il suo compleanno: un sacchetto di tela con ricamato, appunto, un Maghen David. Sono di quegli episodi che legano per sempre un padre a una figlia, quella traduzione in gesti dell’affetto di una vita, la cui memoria rimane sempre presente nella mente. Stella, nel libro, si rivolge al padre: “Avevi ragione nel dirci dopo la guerra: voi non conoscete vostro padre e infatti, tanti tuoi aspetti, forse i migliori, li ho scoperti tardi, dopo la tua morte, quando infine osai cimentarmi a leggere il tuoi nove Diari partigiani. Quando parlai con alcuni tuoi uomini e i loro famigliari in Val di Susa raccogliendo le loro testimonianze, ho ascoltato parole di affetto, di riconoscenza e d’amore filiale per il loro pur severo comandante”.
Stella e il fratello Alberto, principale continuatore dell’attività filatelica della ditta dopo la morte di Giulio nel 1982, ebbero un’infanzia travagliata, segnata dalla morte per malattia della loro mamma, dal passaggio nella clandestinità nel settembre del 1943, accuditi dalla brava governante, Gabriella Foà, e separati dal padre. Gabriella è ricordata da Stella con grande affetto e come un esempio di altruismo e moralità. La figura di un’altra donna straordinaria è delineata in queste pagine: Rita Gaidano, segretaria della ditta Bolaffi, fedele esecutrice dei desideri di Giulio, che garantiva con le sue visite nelle montagne-rifugio, prima a Mondrone, poi a Chialamberto, poi a Vonzo, vettovagliamento, vestiario, lettere e informazioni ai bambini.

 

La guerra finì e Stella e Alberto tornarono nella loro Torino, dove Giulio riprese, come se niente fosse, il suo lavoro e la sua aria seria e cupa. Era il 1946, la vita riprese a scorrere veloce, si ricominciò a frequentare la scuola ebraica, a studiare in preparazione della maggiorità religiosa, a fare giochi scatenati con gli altri ragazzi nelle case. Alberto fu mandato in collegio in Svizzera, dal quale riemerse soltanto a 19 anni, brillante giovane, amante dei cavalli, delle automobili e delle belle donne. Per Stella ci furono, da subito, la spensieratezza, le gite con gli amici, lo sport, la scherma, gli sci, e, infine, il fidanzamento con un giovane ingegnere conosciuto d’estate in montagna. Il difficile annuncio al padre che il fidanzato non era ebreo fu risolto velocemente e Stella si trovò felicemente sposata in Comune con Alberto Benuzzi nel 1961. Stella, spirito ribelle e vulcanico, si adattò a seguire l’amato marito a Ispra, dove lui era impegnato nelle ricerche sulla sicurezza degli impianti dei reattori nucleari. Ispra era, allora, come dice lei: “un misero villaggio, più galline che abitanti, la farmacia e il medico a quattro chilometri ad Angera, la banca ad Arona che raggiungevo attraversando il lago Maggiore con una barca a remi”. Lo studio fu la sua salvezza. Si iscrisse a Torino al Magistero in psicologia. Si laureò con un’apprezzata tesi con il massimo dei voti e la dignità di stampa, che favorirono la sua accettazione al Centro Milanese di Psicoanalisi, dove ammettevano una percentuale minima di non medici. Ebbe inizio la sua lunga e brillante carriera di psicoanalista freudiana, culminata ora, nell’età della sua maturità, nello studio della tradizione ebraica, nella scrittura e nella soddisfazione delle piccole cose che, come dice lei, sono quelle che rendono felici.

Stella Bolaffi Benuzzi, Il mio romanzo familiare. Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, Golem edizioni, pp. 167, euro 14,25

 

Foto: la famiglia Bolaffi (foto Archivio Fondazione CDEC. Concessa a corredo dell’articolo di Liliana Picciotto su Giulio Bolaffi). La copertina del libro di Stella Bolaffi Benuzzi. Giulio Bolaffi in divisa da alpino.