di Nathan Greppi
Quando oggi si parla di lui, è soprattutto per ricordarne il ruolo avuto nella nascita dello Stato d’Israele: fondatore della Legione Ebraica durante la Prima guerra mondiale, padre della destra israeliana, e in generale una delle figure chiave del sionismo. Tuttavia, pochi sanno che Vladimir “Ze’ev” Jabotinsky fu a suo tempo anche un celebre giornalista e scrittore. A dimostrare il suo talento per la narrativa è I cinque (320 pagine, 16 euro, Voland), secondo di due romanzi scritti nel corso della sua vita e che, pur essendo stato pubblicato nel 1936, ha dovuto aspettare fino al marzo di quest’anno per essere tradotto per la prima volta in italiano.
Le vicende narrate si svolgono prevalentemente nella Odessa di inizio ‘900, dove il protagonista (alter ego dell’autore) è un giovane giornalista politicamente impegnato che frequenta spesso i cinque fratelli della famiglia Mil’grom, tra le più importanti della borghesia ebraica locale: la civettuola Marusja, lo sbadato Marko, la ribelle Lika, lo scaltro Sereza e l’onesto Torik. Attraverso le storie di ognuno di essi, il protagonista narra in prima persona la fine di un mondo, quello degli ebrei di Odessa, travolto da una serie di eventi tragici.
Sin dall’inizio del romanzo, vengono più volte citate le fratture politiche e spirituali che minavano gli ebrei dell’epoca, quali i contrasti tra bundisti e sionisti, o l’assimilazione che portava alcuni ebrei a convertirsi al cristianesimo. E infatti, sebbene il narratore accenna raramente alle proprie posizioni politiche, alla fine appare chiaro il messaggio che vuole veicolare: l’unico modo per gli ebrei di non finire assimilati consiste nel fondare un proprio stato-nazione. Sullo sfondo, appaiono descrizioni minuziose dell’Odessa di quegli anni, una città cosmopolita e culturalmente ricca alla quale l’autore rimarrà sempre molto legato, e delle vicende storiche che la sconvolsero, in particolare la rivoluzione.
La Voland, casa editrice specializzata in traduzioni dalle lingue slave, ha il merito di aver fatto scoprire un autore al quale per molti decenni è stata negata la giusta attenzione a causa delle sue posizioni politiche controverse. E questo nonostante Jabotinsky avesse un forte legame anche con l’Italia: infatti, come traspare anche nel romanzo, egli visse per diversi anni a Roma, dove scriveva corrispondenze per giornali russi. Attraverso le pagine del suo romanzo, emerge l’immagine di un uomo che, nonostante il percorso di vita intrapreso, ha sempre provato un amore intenso per la sua città natale, rattristandosi all’idea di non potervi più tornare.