di Fiona Diwan
Una collana di luce avvolge i pendii rocciosi. Il sole del deserto acceca con il suo “dondolante silenzio” rotto soltanto dal grido di un’aquila reale che plana sul wadi. Le turbolenze dell’anima e quelle del cielo, i cumuli nembi che si addensano nel cuore e quelli che viaggiano nell’atmosfera, il soffocamento di un uomo rinchiuso per errore in una cantina buia e il senso di asfissia di una giornata afosa, avvolta in nuvole di calore e polvere, nell’attesa liberatoria dell’uragano. Al centro, c’è un’eroina tragica, la meteorologa appunto, che nella solitudine di un pomeriggio torrido cammina su una strada deserta, una Cassandra al contrario, oracolo a cui tutti vogliono credere sperando però di coglierla in errore. C’è il professore, il padre, tutto razionalità, coraggio e certezza negli strumenti del proprio sapere. E infine, la nipotina adolescente, con le sue insicurezze e il senso di inadeguatezza, venuta a trovare il nonno e la zia: ragazzina che è l’unica in grado di cogliere la voce crudele e primigenia della natura che richiama le sue creature al loro destino ancestrale.
La meteorologa di Tamar Weiss Gabbay (israeliana, sceneggiatrice e autrice premiata di libri per ragazzi) è una novella divisa in tre parti che è anche un apologo sull’inadeguatezza, sul sentirsi deficitari, mancanti, lacunosi, perché c’è qualcuno che un giorno, dicendo di amarci, ci ha fatto sentire sbagliati o non sufficienti. Nonno, figlia e nipote: questo romanzo narra il peso delle aspettative dei genitori sui figli, il potere di annientamento che spesso il gioco di queste aspettative hanno, figli che non si sentono all’altezza e che scappano in un mondo parallelo, lontano dalla realtà. Ma c’è anche il rapporto con la natura, il nostro senso di solitudine e di inquietudine a cui la natura fa da specchio, con il suo mistero. In fondo, si chiede la scrittrice, che cosa è un meteorologo se non un profeta della natura? “…la meteorologa continuava a sentirsi spinta dallo stesso vento”, un vento che è come un sussurro da interpretare, un presagio che mormora a un’anima profetica più ancora che a una professionista. Un’eroina tornata alla cittadina per salvarla, con afflato messianico annesso. Una condottiera solitaria, capace – come Giosuè – non solo di far fermare il sole, ma di collocarlo al centro del cielo, sopra una donna che cammina.
Numerosi i temi presenti in queste scarne 94 pagine: c’è quello della vecchiaia che troppe volte toglie dignità alle persone con il suo declino inesorabile, riducendole alla condizione di “cetriolo di mare”, senza cervello, solo bocca e apparato digerente. E ancora c’è il tema dei sogni e delle aspettative, quelle con cui opprimiamo noi stessi, mai disposti ad accettare la caduta, la finitezza, la morte, nemmeno la natura, convinti che la razionalità tutto possa esaurire e raccontare, che tutto possa comprendere e prevenire.
Unità di tempo e spazio: tutto si svolge in una manciata di settimane estive, sullo sfondo di una cittadina incastonata nel deserto roccioso: è il Neghev del Mactesh Ramon? È il deserto di Giudea con i wadi che si snodano a ridosso del mar Morto? Chissà. L’autrice non mette nomi e lascia tutto, volutamente, nell’indeterminatezza geografica, un espediente che favorisce una narrazione enigmatica, sospesa, intrisa di un forte senso di meraviglia. Su tutto, le forze soprannaturali presenti nella natura. Acqua e deserto, uno Yabbok interiore, un fiume segreto e sotterraneo da oltrepassare. Ci sono cani tornati lupi, gazzelle, pesci, aquile, tutti alla ricerca di una realtà originaria e antica a cui appartenere.
Leggendo, la sensazione è che tutto accada a distanza ravvicinata, l’intera narrazione si snoda a un metro di distanza da noi. Un piccolo gioiello dell’ultima narrativa israeliana, sorprendente per la qualità letteraria e l’originalità.
L’opera ha conquistato il terzo posto al Premio Letterario Adei Wizo “Adelina Della Pergola”

Tamar Weiss Gabbay, La meteorologa, traduzione Silvia Pin, Giuntina, pp. 95, 14,00 euro