Le classi invisibili

Libri

di Anna Coen

A Milano, la scuola comunitaria di via Eupili e il tecnico “Finzi”. Un saggio di Daniel Fishman sulle scuole ebraiche
in Italia dopo le leggi razziste (1938-1943)

La storia della scuola ebraica di Via Eupili è raccontata in dettaglio nel saggio Le classi invisibili: le scuole ebraiche in Italia dopo le leggi razziste (1938-1943) a cura di Daniel Fishman insieme a Patrizia Baldi del CDEC. Si tratta di una ricerca commissionata dal Ministero della Pubblica Istruzione in occasione dell’80° delle leggi razziste. È molto dettagliata e ricostruisce cosa avvenne in ogni comunità, comprese quelle che per mancanza di mezzi o di numeri di allievi non riuscirono ad avviare i corsi. Tutte queste realtà si trovarono a dover risolvere in soli due mesi, e prima dell’apertura dell’anno scolastico, una infinità di problemi logistici, pedagogici, economici e di reperimento degli alunni e dei professori.

È interessante il caso del prof. Arturo Finzi a Milano. In una lunga e accorata corrispondenza con l’Unione delle Comunità, questi propugna la sua struttura, l’Istituto Finzi di via Cadorna 2, una scuola media tecnica e professionale per ebrei, creata per sua iniziativa personale. Nel presentare il progetto e nel chiedere all’Unione di sostenerla, ufficializzarla e promuoverla, questi ricorda che è stato direttore per ventisette anni dell’Istituto Leonardo Da Vinci, che ha (appena) ceduto, per via delle leggi razziste, il 14 settembre 1938. Forte di questa esperienza e del fatto che ha tutti i locali già approntati all’uso, scrive speranzoso all’Unione, non mancando di sottolineare le sue conoscenze, ora si direbbe manageriali, del mondo scolastico. La sua scuola garantisce sia corsi regolari sia accelerati dell’istituto tecnico inferiore e superiore, commerciale e per geometri, dell’avviamento commerciale ed agrario. L’Istituto Finzi organizza anche dei corsi liberi di cultura commerciale, agraria, artigiana, di lingua, di steno-dattilo, e per le studentesse, corsi di cultura domestica. C’è anche un corso di ebraico e di pittura e funziona un pensionato per gli studenti. Finzi si muove con decisione, idee chiare e aspetti di marketing e comunicazione che le scuole dell’epoca, ebraiche e no, non possedevano.

Il Finzi comincia le sue attività il 12 dicembre 1938 ottenendo l’associazione all’ENIMS (l’ente statale scolastico), ma per favorire l’afflusso di un maggior numero di allievi divide i suoi corsi in diurni e serali. Stando a quanto emerge da alcune lettere inviate da Finzi all’Unione, la Comunità milanese non vede con molta simpatia questa iniziativa, che in fondo fa concorrenza alla scuola di via Eupili. Arturo Finzi cerca il dialogo con Yoseph Colombo, preside della scuola comunitaria, ma si viene a creare la classica situazione di sospetto tra una “dinamica realtà privata e la scuola comunitaria ufficiale”. E l’Unione appare schierata a favore di Via Eupili, o per lo meno sembra tenere in poco conto le ragioni e la proposta di Finzi.

Il saggio di Daniel Fishman è ricco di tante curiosità, aneddoti, ma ha il pregio di esaminare veramente tutti gli aspetti di questa esperienza unica nel panorama educativo dell’epoca in Italia e che non ha paragoni in nessun altro paese europeo. La durezza delle leggi razziste non escludeva aspetti di notevole ambiguità. Per quanto riguarda per esempio i libri scolastici, quelli di autori ebrei vennero ritirati anche se davano “garanzia politica”. In alcuni casi i libri vennero pubblicati con altri nominativi “ariani”.

Se gli ebrei venivano espulsi dal consesso, anche commerciale, nazionale, questo non bastava a far sì che alcune case editrici, quali l’Editrice Libraria di Torino e la Mondadori di Milano, proponessero alle scuole ebraiche testi scolastici e di cultura generale di autori ebrei che, per via dell’ostracismo del regime nei loro confronti, non potevano essere venduti alle Patrie scuole e dunque rischiavano di rimanere invenduti nei loro depositi.

Nelle scuole ebraiche i ragazzi studiarono sugli stessi libri in uso dai loro coetanei di tutta Italia. Più precisamente, fino al 1930-31, nelle scuole ebraiche sono stati utilizzati gli stessi testi adottati nelle scuole pubbliche con la sola sostituzione dei brani di argomento cattolico con altri, di carattere ebraico. La legge razzista del ‘38 stabilisce che le Comunità israelitiche si debbano fare carico, a proprie spese, di queste modifiche dei testi di studio. L’Unione fa allora rilevare al Ministro Bottai che «fra le incombenze loro assegnate v’è quella della modifica, a loro spesa, dei libri scolastici: ma fino ad ora non hanno, non solo potuto, ma neppure voluto addivenirvi. Ora vorrebbero, pur nelle strettezze economiche che sovrastano, interessarsi di tale materia, e domandiamo a Voi di impartire direttive adeguate».
Di fronte a tale situazione, come si vede dalla missiva, si evince lo stato di soggezione che le istituzioni ebraiche avevano nel 1938 rispetto alle Autorità. Pochi anni dopo, nel 1943, studenti, professori e dirigenti ebrei diedero invece prova di gran coraggio quando fino all’ultimo e di fronte al pericolo di retate e bombardamenti, continuarono fino in fondo la loro sfida educativa, cercando di credere fino alla fine alla possibilità di studiare per crearsi un futuro.

Daniel Fishman, Le classi invisibili.
Le scuole ebraiche in Italia
dopo le leggi razziste (1938-1943),
Editore Il Prato, pp. 192.